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              Adesso basta Bertirospi,que 
              se vayan todos: 
              
              
              
              scheda 
              annullata! 
              
                
              
              GLI AVVOLTOPI DELLE TRE DESTRE 
              
              Compiacenze, obbedienze, connivenze di una sinistra ex,
              vedi Fiera del Libro (mentre con il 
              Kosovo si allunga la fila degli Stati criminali e la diaspora 
              serba che fa? Balla e canta) 
              
                  
              
              23/02/2008     
                
              
              La forma peggiore di tirannia, o certamente quella di maggiore 
              successo, non è quella contro la quale ci 
              mobilitiamo, ma quella che si insinuano nell’immaginario 
              della nostra coscienza e nel tessuto delle nostre vite in modo 
              tale da non essere percepita come tirannia. 
              (Michael Parenti) 
              
              Un popolo schiacciato dalla legge no ha 
              speranza se non dalla forza. Se le leggi sono i suoi nemici, 
              saranno nemici della legge. E
              coloro che hanno molto da sperare e 
              nulla da perdere saranno sempre pericolosi. 
              (Edmund Burke) 
              
              Se tirannia e oppressione verranno nel nostro paese, sarà sotto 
              forma di guerra a un nemico esterno. 
              (James Madison) 
              
              Al vincitore non si chiederà mai se ha detto 
              la verità 
              (Adolf Hitler) 
                
                
                
              
              Enormità 
              Ci stanno rifilando, gli avvoltoi di 
              destra e i topi di “sinistra”, delle enormità talmente enormi che 
              neppure i nostri stomaci, coltivati ad aculei di spinosa da 
              decenni di orrori imperialipiduisti e 
              di prostrazioni e connivenze sinistre, riescono più a digerire. 
              Facciamo un parzialissimo elenco. Il 
              voto di una transumanza a ritroso di elezione in elezione cui ci 
              trascinano pastori bastonatori e carotieri che ci fanno credere, 
              da pecore che siamo, di essere soggetti decisionali; i falsari 
              della sinistra che, ridando una mano di rosso ai loro panni 
              sporchi di mille schizzi di fango, vorrebbero farci acqua da 
              portare ai signori della guerra di classe contro di noi; i 
              rigurgiti di un Vaticano che più gli viene a mancare la base dei 
              fedeli e più riesce a irreggimentare in battaglioni di squadristi 
              etici il ceto politico “laico” per rimettere al guinzaglio le 
              donne e, addirittura, quel grumo di cellule che vogliono
              vivo anche se scaturisce sotto forma di 
              freak iracheno uranizzato; il 
              nauseabondo pachiderma filo-aborto clandestino e filo-stermini di 
              massa (la 194 ha ridotto gli aborti del 40%) che,
              stampellato da quattro ginecologi 
              Frankenstein in vena di insufflatori di anima a quel grumo, non 
              perde occasione per farsi apripista di qualsiasi terrorista di 
              Stato o di Chiesa; un esercito di sgherri che, uscito dalle
              madrasse di 
              Starace, Scaiola, Pisanu e 
              Amato, spara, pesta, terrorizza chiunque osi ancora valersi di 
              diritti, leggi, ambiente e qualità della vita, costituzione, legge 
              194 compresa; le femministe degenerate in 
              ginocrate che belano a Santa Hillary Clinton e che compiono 
              il miracolo transgenico di trasformare in “donne mascolinizzate” 
              tutte quelle che non riescono a far rientrare nella categoria 
              superiore della “donna donna”, 
              respingendo con sdegno la possibilità che alberghi in entrambi i 
              generi la radice dell’autoritarismo e della prevaricazione, come 
              storia e lotta di classe dovrebbero insegnare; i
              glbt che si collocano nell’ombelico 
              del mondo e, analogamente, ignorando esistenza e rapporti di 
              classe, vedono l’universo mondo sub 
              specie del modo di
              coitare, cacciando nel dimenticatoio 
              l’obliterazione di donne e “diversi” in Iraq e Afghanistan. E 
              questo vale tanto più per le vociferanti 
              ginocrate di regime che s’inalberano più per il
              burka che per chi ci sta dentro, come 
              dimostra il totale oblio in cui seppelliscono donne, bambini, 
              “diversi” che in Iraq vengono 
              massacrati dagli occupanti e dai fanatici che gli occupanti hanno 
              coltivato: a Basra gli invasati 
              “iraniani” di Moqtada al
              Sadr amazzano 
              più donne che i trafficanti di morte a Ciudad 
              Juarez . Quel Bertinotti lì che, corrotti in cortigiani un 
              manipolo di opportunisti pronti a tutto pur di poter mugolare 
              sotto il tavolo dei banchetti, mastica ed espelle i residui che si 
              erano fatti illudere dalla sua
              comunistofobia travestita da 
              “nuova sinistra”. Poi, guantato con 
              pelle di militante, contribuisce a calare sul popolo di sinistra 
              la mannaia veltrusconiana dello Stato 
              di polizia bipartitico; “il manifesto” rivelatosi definitivamente 
              lobbista catto- 
              israelo-clintoniano e punta di lancia, con i
              denudatissimi Parlato,
              Ciotta, D’Eramo, 
              di quell’agente 
              orange che è lo 
              strumentale anatema dell’antisemitismo; i pianti osceni dei bonzi 
              della Repubblica sulla morte di militari italiani in Afghanistan, 
              fatti passare per distributori di caramelle, ma lì mandati per 
              giocarsi la pelle e farla a qualunque afghano non contento di 
              farsi colonizzare da feroci barbari, sia che 
              sparino e bombardino, sia che si fingano dame di
              S.Vincenzo. Documenti inoppugnabili, 
              militari e delle autorità e popolazioni locali,
              accreditate negli Usa e in Gran 
              Bretagna, rivelano che le forze speciali italiane sono impegnate 
              direttamente in combattimenti, bombardamenti, indicazioni di 
              obiettivi da radere al suolo. Un governo di “centrosinistra” 
              nasconde al parlamento e alla nazione questo fatto, non solo 
              agghiacciante, ma giuridicamente criminale. Come ci ha nascosto il 
              suo accordo illegale alla partecipazione italiana allo Scudo 
              Spaziale d’assalto degli psicopatici di Washington. Se non sono 
              enormità queste! E Veltroni promette peggio. Perché tace Gino 
              Strada?   
                
                
              
              Se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire 
              alla gente ciò che non vuole sentire 
              (George Orwell) 
              
              Le prodezze dello Stato invitato alla Fiera del
              Libro  
              Incominciamo dal tonfo suicida del 
              “manifesto”. Contorsionisti al limite 
              del prodigioso, quelli del “manifesto”, guidati da un Valentino 
              Parlato tanto più arrogante, quanto più intellettualmente vacilla, 
              si sono fatti Delta
              Force della risposta
              ebraico-israeliana al sacrosanto 
              boicottaggio dell’ormai intoccabile Fiera del Libro torinese. 
              Questa aveva invitato Israele – lo Stato! Non i letterati – nel 
              60° della fondazione. Stato saprofita 
              innestato come il virus dell’Aids nel corpo del popolo titolare di 
              quella terra. Stato teocratico e razzista, parassita e 
              bulimico che, da allora, si è nutrito, gonfiato, espanso, a forza 
              di crimini contro l’umanità che, per durata e connivenze 
              internazionali, non ha paragoni nella storia. Un dato recente sul 
              carattere democratico di quel regime militare? Dal 2001 questo 
              regime ha concesso ai palestinesi, in costante espansione 
              demografica (meno male!), 91 autorizzazioni a costruire case, 
              nello stesso tempo 18.472 ai coloni ebrei arrivati da ogni dove. 
              E’ il corollario del genocidio. Stato che celebra il suo invito al 
              salone del libro con l’ennesimo macello di donne e bambini in una 
              Gaza assediata come neanche Riccardo Cuor di Leone (che decapitò 
              tutti i cittadini musulmani di Acri), con un pogrom stragista a
              Nablus, con l’invito del ministro
              Zeev Boim 
              a Tsahal
              di liquidare tutti i dirigenti –eletti!
              – della Resistenza palestinese, con la 
              benedizione impartita dal ministro-pirata 
              Gideon Ezra all’ennesimo 
              assassinio mirato del Mossad, quello 
              del comandante di Hezbollah Imad
              Mughniyeh a Damasco. Stato 
              responsabile di ininterrotte guerre 
              d’aggressione, ultimamente condotte con armi proibite usate sui 
              civili. E se la guerra d’aggressione, senza neanche parlare di 
              ergastoli extragiudiziali di massa accompagnati da tortura 
              legittimata, è, per Norimberga, il “crimine massimo contro 
              l’umanità”, quello è giuridicamente uno Stato criminale. Stato che 
              é stato capace di ammazzare in sette anni 5000 cittadini di un 
              paese occupato, dei quali la maggioranza 
              civili, per un quarto bambini e che, dall’inizio 
              dell’Intifada, ha fatto morire ai  suoi spietati 550
              check
              point ben 98 persone, di 
              cui 17 bambini,  Stato composto da cittadini ebrei, di prima 
              classe, tutti buoni, pacifici, immuni da pulsioni razziste, che da 
              sessant’anni eleggono governi di criminali di guerra. Con la scusa 
              delle bombe-carta palestinesi 
              Kassam, Israele 
              nel gennaio 2008 ha ucciso 96 
              palestinesi, 10 erano bambini, 10 erano donne. 
              Dal 1. al 16 febbraio 2008 l’esercito “più etico” del 
              mondo, 
              Tsahal,
              ha rapito 300 palestinesi nei territori occupati, dei 
              quali 32 minori tra 14 e 18 anni, rinchiusi in centri di 
              detenzione in aggiunta agli 11mila incarcerati senza processo, 
              contro la Quarta Convenzione di Ginevra.  
                
              
              Con l’antisemitismo contro tutti, 
              soprattutto contro i semiti arabi 
              Però 
              rivoltarsi contro quell’invito, nel 60° dell’inizio di un 
              genocidio, quello no, quello è censura, anticultura, libertà 
              d’espressione negata, siamo alle leggi razziali del ’38, 
              soprattutto e sempre, inesorabilmente e collettivamente, siamo 
              antisemiti. Si è 
              chiesto di negare la parola agli esperti di 
              lifting di quello 
              Stato, Oz, 
              Jehoshua, Grossman? Neanche un 
              po’, anche se le basi etiche c’erano tutte, viste le loro 
              mistificazioni da finti critici che sostengono muri di apartheid e 
              invasioni di terre altrui. Si è chiesto invece che i palestinesi, 
              derubati, espulsi, fottuti e ammazzati, 
              venissero invitati anche loro, venissero trattati almeno alla 
              pari, e già sarebbe stato uno squilibrio da ciucca di alcol puro. 
              Quando avrà finito di sfinirci, di turlupinarci questa ormai quasi 
              umoristica coazione a ripetere il decrepito karma
              del’antisemitismo? Collaboriamo tutti a 
              uno tsunami mondiale di calunnie antislamiche, 
              per la maggiore soddisfazione dei veri antisemiti, e ci facciamo 
              ancora intimidire da questa sporco anatema! E’ possibile che non 
              emerga e s’imponga il paradosso lubrico 
              di uno Stato antisemita, lui, che più antisemita non si può, ma 
              che maschera i suoi delitti facendosi vittima di antisemitismo? 
              Uno Stato che, oltre a occupare le terre di otto milioni di 
              palestinesi, tra residenti e esiliati, 
              tra i suoi cittadini riconosciuti ha un milione e mezzo di arabi, 
              semiti, una spruzzata di ebrei semiti (i sefarditi), un’altra 
              minoranza di ebrei camiti (i falasha) 
              e una stragrande maggioranza di ebrei indoeuropei (i
              kazari di origine caucasica. Vedi, tra 
              gli altri, lo studio di Arthur Koestler). 
              In Occidente imperversa, innescata dalla truffa dell’11 settembre, 
              un’islamofobia che non ha niente da 
              invidiare ai tempi delle crociate e di Lepanto. Ai musulmani qui 
              basta starnutire in arabo per finire sugli aerei Cia
              della 
              extraordinary
              rendition. Israele non 
              cessa di aggredire, invadere, occupare, paesi arabi, musulmani, 
              semiti. Epperò si brandisce lo 
              spuntatissimo spadone dell’antisemitismo, 
              oltrettutto costantemente e 
              impudicamente riaffilato con le ossa delle vittime dell’olocausto, 
              con particolare virulenza quando c’è da coprire una qualche 
              nefandezza di Israele. Cioè sempre.  
                
              
              Liste nere per occultare liste nere 
              E non trova, 
              il rullo compressore del vittimismo truffaldino e predatorio della 
              lobby,  immancabilmente la benzina di una qualche stronzata 
              “antisemita”? Vi siete stupiti che, nel pieno della burrasca del 
              boicottaggio alla Fiera del Libro, sia 
              spuntata, come Osama quando Bush deve rilanciare qualche porcata 
              bellica o antidemocratica, la “lista nera degli accademici ebrei”? 
              A chi è convenuta nel frangente?  Domande che non si sognano di 
              porre tanti comunicatori “di sinistra”. Penso a quel Gennaro 
              Carotenuto che, dimentico del passo falso compiuto entrando a 
              gamba tesa nel coro delle demonizzazioni delle
              Farc colombiane in  occasione della 
              liberazione degli ostaggi, uscendo dal seminato latinoamericano 
              che gli è famigliare si è prontamente 
              inserito nel coro dell’esecrazione della “feccia 
              antisemita”. Quella che si è manifestata nella famosa 
              “lista nera”, quella che indicherebbe come 
              l’antisemitismo stia tornando 
              rampante (anche in frammenti dell’estrema sinistra).
              Boccalone, si dice a Roma, 
              inconsapevolmente ma inconsultamente ricettore di riconoscenza di 
              quel Mossad che di provocazioni del 
              genere è maestro supremo. Cosa prova, 
              Carotenuto, a trovarsi compagno di merende tale
              Magdi Allam, 
              vicedirettore del “Corriere della Sera” per grazia sionista di 
              Paolo Mieli (ex-Potop), che, per 
              l’altra grazia di schermi lobbizzati, 
              tuona anche lui contro la “feccia antisemita” dei boicottatori, 
              per poi affiancarsi, rigorosamente coerente, all’obeso tagliagole 
              Cia nell’esecrazione sanfedista dei “feticidi”? Ci vuole proprio 
              un paese ridotto a cloaca perché galleggino certe scorie. 
                
              
              Una lobby ebraica, ma cosa dite!  
               A Gennaro Carotenuto, perché mediti 
              sui propri sbandamenti
              collateralisti, andrebbe suggerito un 
              sabatico sulla disinformazione e sulle operazioni sporche dei 
              servizi. Tanto più che, da esperto di 
              Latinoamerica, dovrebbe essere ben equipaggiato a 
              riconoscere gli interventi di Israele sotto le mentite spoglie di 
              “esperti di sicurezza”, “consiglieri economici”, “istruttori vari” 
              e sotto quelle effettive di spioni, terroristi, provocatori, 
              armaioli, al servizio dell’estrema destra di quei paesi.
              Eppoi, 
              davvero non c’è una lobby? E com’è che tutti, al fischio di Tel 
              Aviv, si muovono d’intesa, sincronici e con la compattezza di una 
              falange macedone? Non è vero, Marco D’Eramo, 
              altro sponsor di Israele nel “manifesto”, che fai lo spiritoso 
              sfottendo i bipartisan del nostro universo 
              inciucista perché stigmatizzano 
              di antiamericanismo chi non sgavazza nella scia di sangue di Bush? 
              Per quale prodigio di acrobazia logica non ti scatta il corto 
              circuito con coloro che sgavazzano 
              nell’oceano di sangue palestinese e ci danno dell’”antisemita”? 
               Non c’è collettività che sia più unanime nel sostegno a Israele, 
              nel silenzio sui suoi delitti, nella demonizzazione di vittime e 
              resistenti, nell’assalto coordinato a chi si permette di 
              sbirciare, dietro al paravento di Auschwitz, sui
              sessantennali crimini israeliani. 
              Salvo coraggiose eccezioni che salvano il rispetto per la comunità 
              ebraica, direi eroiche per quello che gli 
              viene riservato in termini di ostracismo e demonizzazione. 
              E’ lecito parlare di lobby dei petrolieri, 
              lobby dei tabaccai, lobby dei tassisti, lobby cubana. A 
              parlare di lobby israeliana si rischia l’esecuzione civile.
              Se non di peggio, visto il braccio lungo e 
              assai articolato del Mossad. In 
              Olanda, il deputato Geert
              Wilders, scatenato sostenitore dello 
              “scontro di civiltà”, ha realizzato un filmaccio razzista in cui 
              si perora la “cacciata del Corano (cioè dei musulmani) 
              dall’Europa”. Pensate cosa avrebbero 
              combinato la lobby e i suoi chierichetti se in Iran fosse uscito 
              qualcosa che inneggia alla cacciata degli ebrei dal Medio Oriente 
              (e non alla sostituzione dello 
              Stato etnico sionista, 
              come ha suggerito Ahamdinejad).  
               
                
              
              Chi 
              minaccia è meglio che faccia finta di essere minacciato
               
              Il feldmaresciallo
              Olmert, persa la guerra, si è dovuto 
              accontentare di 1.300 morti libanesi, degli esperimenti riusciti 
              con le armi chimiche e a energia, e di un futuro di bimbetti e 
              contadini libanesi squarciati dal milione di bombe a grappolo 
              degli ultimi tre giorni di aggressione. Impersonando uno Stato che 
              di guerre d’aggressione ne ha fatte sette in mezzo secolo, ora ne 
              minaccia un’altra all’Iran. Ahmadinejad 
              ha detto che lo Stato 
              di Israele va cancellato dalle mappe. E’ stato truculento e, 
              come gli tocca nel gioco dello “scontro di civiltà”, animatore 
              delle guerre di religione congeniali 
              all’imperialismo. In compenso, a far nascere uno Stato 
              palestinese, Israele non ci pensa nemmeno e intanto il 
              popolo che osa 
              pretenderlo lo cancella per davvero dalle mappe. Israele ha 400 
              ordigni nucleari che bastano per far scomparire non uno ma cento 
              Iran. L’Iran non ne ha neanche una e, anche volendo, non potrebbe 
              averne prima di dieci anni. La spesa militare di Tehran è la più 
              bassa in tutto il Medioriente, 
              nonostante lì ci sia la popolazione più numerosa dopo l’Egitto. 
              Nel 2008 tale spesa era del 55% inferiore a quella di Israele,
              nonostante in Iran ci sia dieci volte 
              tanta gente che in Israele. La spesa militare pro capita 
              israeliana – $1.737 – è dieci volte 
              quella di Tehran ($110), è seconda nel mondo solo agli Usa e 
              rappresenta il 7,9% del PIL, percentuale più alta in assoluto nel 
              mondo. Dagli Usa arriveranno in Israele 
              tra il 2009 e il 2018 armamenti per 30 miliardi di dollari, il 25% 
              in più rispetto alla decade precedente. 
                
              
              Falce e martello? Non quella dei PC… 
              E’ impressionante la cecità con cui 
              questi sinistri politici e mediatici non si avvedono dei 
              chilometri morali e di coscienza che si stanno allungando tra loro 
              e quello che vorrebbero fosse il loro bacino elettorale. Quando 
              Bertinotti detta al suo siniscalco di scatenare “Liberazione” 
              contro Cuba e contro il Venezuela, non prevede, il navigatore di 
              lungo corso, che la conseguente revulsione dei lettori gli avrebbe 
              ridotto di un terzo la già esigua vendita del miserabile tabloid. 
              A che livello sarà sceso il già stazzonato “manifesto” dopo le 
              novene cantate dai suoi prelati agli ukase della lobby e alla 
              candidata democratica del cannibalismo Usa?  
              Quanto alla questione di falce e martello, personalmente non mi ci 
              sento eccessivamente coinvolto. Il simbolo del lavoro, ma 
              anche delle benedette mazzate in capo ai padroni, ai preti e ai 
              guerrafondai (niente di meglio che un martello e una falce) era 
              sacro e indiscutibile  sui vessilli di 
              Lenin. Successivamente, da noi come in 
              tante parti del mondo, in ispecie
              Medioriente e America Latina 
              (ricordiamoci del tradimento del PC boliviano al Che, 
               dell’adesione del PC argentino alla dittatura di
              Videla, delle funzioni “moderate” dei 
              PC arabi nel momento della lotta di liberazione nazionale), quella 
              falce e quel martello erano i lustrini a coprire la corrosione 
              delle “lunghe marce attraverso le istituzioni”. Se
              ne è fatto scudo 
              finchè ha potuto addirittura il primatista italiano del 
              trasformismo. Noi di Lotta Continua avevamo già preferito il pugno 
              chiuso dei bolscevichi e delle Pantere Nere. 
              Le migliori gambe rivoluzionarie nel mondo, in America Latina, non 
              marciano sotto falci e martelli, la storia della seconda metà del 
              ‘900 glie li ha consegnati offuscati e lisi, gli basta il rosso. 
              Tutto questo, chiaramente, è detto da sinistra. I topi che
              formicolano squittendo intorno al becco 
              degli avvoltoi, la falce e il martello l’hanno buttata decenni fa. 
              L’ha sporcata Togliatti quando ha preferito l’amnistia ai fascisti 
              alla continuità dei partigiani, ne ha corroso il ferro Berlinguer 
              quando ci ha aperto sulla testa “L’ombrello Nato”. Bertinotti ne 
              ha fatto la scala a pioli per la 
              propria santificazione nel compromesso storico. Tutti si 
              limitavano a brandire sui nostri occhi un falso d’autore, a mo’ di 
              medaglione da ipnotizzatore. Il loro rifiuto arriva da destra e 
              apre spazi a bombe, conti bancari e turiboli.       
                
              
              Parole false non sono solo un male in sé, infettano l’anima col
              male 
              (Socrate) 
              
              Le lobby padrone del “manifesto”. Addio Stefano Chiarini 
              Sfidando, con l’esito certo di 
              vedere svaporare un’altra fetta dei 
              sofferenti, ma ancora irriducibili, supporter del 
              “manifesto”, quella maggioranza di lettori che hanno espresso 
              indignazione alla demonizzazione del boicottaggio della Fiera del 
              libro,Valentino Parlato si è distinto per ulteriore protervia e 
              cafonaggine intimando sergentescamente, 
              su una  pagina di lettere di lui critiche, “piantiamola 
              con il boicottaggio”. E tra le lettere c’era pure una 
              firma che al Parlato dà molti punti deontologici:
              Giulietto Chiesa. Ma una volta di più, 
              insieme all’Angelo d’Orsi della nostra dignità e intelligenza 
              collettiva,  è stata un’ebrea a 
              rinchiudere Parlato e la sua lobby nei contorni che gli spettano. 
              Paola Canarutto, di “Ebrei contro 
              l’occupazione”, da sempre combattente per i diritti, per la vita 
              conculcata dei palestinesi e contro i crimini israeliani, ha messo 
              a posto il fondatore del “manifesto” che era addirittura arrivato 
              a scandalizzarsi del paragone tra razzisti sudafricani e razzisti 
              israeliani. Ricordato il boicottaggio europeo e italiano dei 
              palestinesi per aver votato Hamas e rilevato come impedire ai 
              palestinesi di andare a scuola non viene 
              giudicato boicottaggio culturale come quello che si stigmatizza 
              per la Fiera, Paola conclude: 
              “Per Parlato gli ebrei israeliani sono diversi dai sudafricani 
              bianchi. E’ vero. Sono peggiori. In Sudafrica 
              lo scopo era di sfruttare i neri, non di espellerli”. 
              E di sterminarli, va aggiunto. Rimane da evidenziare un’altra 
              delle asimmetrie del “manifesto”, nonché 
              del foglio di Piero 
              Sionetti, 
              “Liberazione” e di tutti gli altri media “democratici”. Non sono 
              solo coglioni nazifascisti, provocatori 
              eterodiretti, a compilare liste di ebrei in sincrono
              significativo con il boicottaggio di 
              Torino (a ulteriore soddisfazione del Mossad). 
              Il vizio delle liste nere non è loro esclusiva. A parte 
              l’esponente della comunità ebraica romana che prometteva di 
              mettere in lista coloro che non manifestavano 
              con la “Sinistra per Israele”, più concretamente ci sono le 
              diffusissime liste  dei siti razzisti e bellicisti ebraici. Autori 
              di grandissimo valore, come Norman 
              Finkelstein, Ilan Pappe, Naomi 
              Klein, Gilad 
              Atzmon, Nuri
              Peled e centinaia di altri, sono 
              elencati e criminalizzati come “traditori”, “minaccia”, “ebrei che 
              odiano se stessi” (selfhating
              jews). Un sito di questi lo 
              segnala il “Forum Palestina”:
              
              http://masada2000.org/list-A.html. Vedere per credere. 
              Vorrebbero incastrare i veri difensori dei diritti umani che 
              boicottano Torino, sovrapponendogli  
              provocazioni nazifasciste. Coda di paglia! Per chi è il massimo 
              modello di società Israele, se non per la destra fascistizzante 
              mondiale, da Bush giù giù 
              fino a Fini e Mussolini?  Viene da piangere pensando al mai 
              sufficientemente compianto Stefano Chiarini. 
                
                
              
              Hillary Clinton, eroina del “manifesto”. E le sue donne… 
              C’è poi il capitolo Mariuccia
              Ciotta, più grave perché trattasi 
              della condirettrice del “manifesto” che, quindi, governa, promuove 
              e licenzia quanto viene scritto dai 
              vari sicofanti dell’”antisemitismo”, i Parlato, i
              Lania, i D’Eramo, 
              i Fouad Allam, 
              gli Zvi 
              Schuldiner, i Raffaelli. Ciotta 
              vola a dare il suo contributo alla 
              satanizzazione di coloro che avevano 
              chiesto almeno un pari trattamento di Israele e Palestina a 
              Torino, ricorrendo ai più triti addebiti della propaganda 
              sionista: che si voglia negare a Israele il diritto di esistere, 
              che il boicottaggio esclude il dialogo (quando il dialogo viene 
              annichilito proprio dalla Fiera, celebrando uno Stato colonialista 
              e serial killer e 
              espungendo la controparte palestinese), che chi boicotta – e non 
              chi occupa, ruba e stermina – fa 
              cultura della morte.
              Ciotta e D’Eramo, 
              poi, fanno coppia, per fortuna a fianco di altre più sobrie voci 
              nel giornale, nelle celebrazioni di quella farsa immonda che sono 
              le primarie statunitensi. D’Eramo 
              percepisce quanto nessun cittadino italiano ha lontanamente 
              percepito, che cioè qui in Italia 
              stiamo seguendo
              le primarie Usa con una passione 
              ineguagliata negli altri paesi europei… non ricordo un tifo simile 
              per Bill Clinton… tanto entusiasmo deriverebbe 
              da un’ardente ma repressa voglia 
              di poter scegliere… Viene da chiedersi chi mai 
              frequenti questo giornalista, oltre alla redazione di Emilio Fede 
              e al loft del 
              pappagorgia yes,
              we can. Un’altra 
              giornalista del quotidiano, Ida Dominijanni, 
              acuta quando tratta delle miserie nostrane, perde anch’essa la 
              bussola individuando nella battaglia di 
              Billary la posta in 
              gioco reale e cruciale, l’accesso ai vertici del potere di una 
              donna… in una società… fin qui dominata, come tutto l’occidente e 
              tutto il mondo, dal potere maschile e bianco…Ovunque si riscontra 
              una spinta femminile a rompere il famoso tetto di cristallo che 
              mantiene inaccessibile alle donne il potere politico. E 
              già, a cucinare broccoli e non ai vertici stavano le varie brave 
              donne impedite dal potere, Albright, Condoleezza, conduttrici
              della guerre preventive e infinite, non 
              l’analoga Thatcher, non l’affine Golda
              Meir, non la 
              Merkel, non Evita Peron, non la
              Bhutto, non la 
              Bandaranaike, non Teodora di Bisanzio… Già, ma quelle, dice 
              Ida, erano donne travestite da uomini. Debole la qualità donna, 
              con tutto l’esercizio di morte che praticava.  
                
              Facile, no? A conforto della sua 
              tesi, vittima di involontario umorismo, 
              l’opinionista del “manifesto” cita poi 
              Ritanna Armeni e il suo lavoro 
              rivendicativo “Prime donne” quando dice che non di sola misoginia 
              si tratterebbe, ma di un vero 
              e proprio terrore dell’invasione femminile nel monopolio virile 
              dell’ordine politico, terrore fondato sul fatto che 
              dietro a ogni Hillary e ogni
              Ségolene si agitano i fantasmi di 
              Elena, Didone, Antigone 
              (nientemeno!),
              Semiramide. Lasciamo che 
              questi miti dell’autentico femminile si rotolino nelle loro tombe 
              e pensiamo al “vero e proprio terrore” che si manifesta ogni sera 
              a “Otto e mezzo” sul bolso faccione di Giuliano Ferrara nello 
              sparuto pigolìo della sottoposta
              Armeni. 
                
              Dei deliri osannanti a Hillary 
              Clinton di Mariuccia Ciotta, descritta 
              come l’apertura a un radioso, se non rivoluzionario futuro degli 
              Usa e del mondo, s’è scritto in altro “Mondocane”. 
              Dobbiamo ringraziare qualche raro infiltrato nel “quotidiano 
              comunista” impegnato a perdere colpi e lettori, come Rita Di Leo, 
              perché ci si conforti di non aver buttato €1,20 nello slot di un 
              videogioco da Alice nel paese delle meraviglie. Di Leo castiga 
              pesantemente i corifei delle “Grandi Democrazie che propongono una 
              donna” ricordandoci il ruolo truffaldino e predatorio che
              esercitano sui risultati delle 
              primarie, anche in contrasto con la volontà popolare, i Grandi 
              Elettori, cioè i bonzi del potere costituito: 
              un marchingegno…che lascia i 
              potere nelle mani di chi lo ha sempre avuto. Nelle mani della sola 
              comunità che veramente conta nel paese, i 
              businessmen che hanno cambiato tanti volti in conseguenza e 
              in parallelo del cambiamento delle forme della 
              ricchezza, grano, carbone, petrolio, macchine, armi, servizi, 
              informatica, finanza. E’ un potere elitario 
              che da 250 anni neutralizza efficacemente la possibilità di una 
              rappresentanza politica di chi dissente. La comunità del business 
              punta sui possibili suoi 
              rappresentanti, li finanzia equamente e poi ne sceglie uno, quello 
              che meglio le si adatta e lo aiuta a entrare nella Casa Bianca. 
              Donna o uomo, bianco o nero che sia. 
              Gli entusiasti alla D’Eramo delle 
              elezioni Usa, i fan della Clinton “rivoluzionaria”, sono serviti. 
                
              
              Non fa differenza per chi votate, i due partiti sono in realtà un 
              unico partito che rappresenta il 4 per cento del
              popolo 
              (Gore Vidal) 
              
              Hillary di Iraq, Monsanto e Wal
              Mart 
              Ma vediamola da 
              vicino, questa benedetta Hillary, foriera del riscatto 
              morale americano e umano. Chissà che, 
              leggendoci, una Ciotta di 
              buonafede, non corregga il tiro. Sono 166mila, dalla fine dei ’90, 
              i contadini indiani che hanno commesso suicidio perché rovinati 
              dalla Monsanto, dai suoi semi ogm 
              sterili e quindi da ricomprare raccolto dopo raccolto. Sono 
              milioni gli ettari sudamericani avvelenati, insieme a chi ne 
              lavora e consuma i prodotti, dagli anticrittogamici della 
              Monsanto. Milioni sono gli agricoltori del mondo che la Monsanto 
              contribuisce a cancellare in piena sintonia con la strategia di 
              sfoltimento della specie perseguita dai dirigenti
              del proprio paese.  La Monsanto mette 
              in bilancio $10 milioni e 75 dipendenti 
              per perseguire agricoltori che protestano. La Monsanto ha creato
              l’agente 
              orange, produce componenti 
              per armi nucleari, fabbrica steroidi per ingrassare animali e chi 
              li mangia, sparge sostanze tossiche. Le dobbiamo buona parte dei 
              tumori che ci crescono addosso. La lobby 
              Rural
              Americans for 
              Hillary (Rurali americani per Hillary) è della 
              Monsanto. Come sono per Hillary i finanziamenti corporativi
              plurimiliardari spalmati solo sui 
              personaggi “non alternativi” con programmi politici
              ad encefalogramma piatto, finanziamenti 
              dalle ricadute garantite, come evidenzia, tra l’altro, la 
              sostanziale adesione alla cannibalesca politica fiscale e al folle 
              indebitamento pubblico dell’Amministrazione al potere. A scorno di
              una Mariuccia 
              Ciotta che sui candidati democratici azzarda addirittura:
              Dietro le loro maschere di 
              revenant, spettri di una rivincita, si nascondono i senza-potere, 
              che hanno vissuto l’esclusione in quanto non-iniziati alla grande 
              tavola del dominio. E a proposito della furbesca 
              lacrimuccia versata in un fast
              Food dalla consigliera 
              d’amministrazione di una roba schiavista come 
              Wal Mart, questi vertici di 
              lirismo encomiastico: La sua 
              commozione tradiva non la donnina dai nervi fragili, ma la 
              passione politica che scuote gli Stati Uniti dopo l’era della 
              guerra e il primato della forza e che trascina alle urne gli 
              americani… Segni dissonanti, simboli di un’inversione di tendenza. 
              Forti in quanto deboli, agli antipodi 
              della rappresentanza del comando. Solo in America, forse, è 
              concepibile una così radicale metamorfosi delle insegne del potere. 
              Non basta, siamo all’apoteosi: 
              Barack 
              e Hillary, uguali e diversi, vogliono 
              ridare voce alla politica… sotto gli occhi scorre il tentativo di 
              trasformare il futuro mondiale… non sarà la rivoluzione 
              (ma no!), ma l’uscita 
              almeno dal medioevo di un occidente suicida. L’11 settembre è 
              finito (aspetta, aspetta). 
              Ci vorrebbe una doccia fredda.  
                
              Tornando all’establishment 
              dello Stato ontologicamente razzista, esso ha ripetutamente 
              auspicato l’ingresso della Clinton alla Casa Bianca. La senatrice, 
              visitando Israele nel 2005, ignorò 
              vistosamente i palestinesi, incontrò solo dirigenti 
              israeliani, esaltò la politica israeliana e, in particolare, 
              quella himmleriana muraglia che 
              Israele costruisce nella Cisgiordania occupata. Eloquente è 
              l’esame dei consiglieri di Billary. 
              Perlopiù si tratta di elementi dell’amministrazione del marito 
              (guerra ai poveri, alla Jugoslavia, embargo e bombardamenti 
              all’Iraq, macelli in Somalia): politica estera,
              Madeleine Albright (sionista, quella
              del “500mila 
              bambini iracheni 
              uccisi dall’embargo sono valsi la pena”, fidanzata 
              morganatica del serial killer Hashim
              Thaqi del Kosovo); sicurezza 
              nazionale, Sandy Berger; consulenza generale, Richard
              Holbrooke, quello dello squartamento 
              della Jugoslavia, del puntellamento del dittatore Marcos nelle 
              Filippine e degli stermini di Suharto 
              a Est Timor. I consiglieri di Obama, 
              per quel che vale, vengono tutti da ambienti 
              liberal, 
              favorevoli alla riduzione delle spese militari e al 
              multilateralismo. Berger, Albright, Holbrooke
              sostengono l’azione di Bush in Iraq e, 
              con lui, chiamano Ahmadinejad “Hitler” 
              e denunciano la minaccia iraniana come questione della massima 
              urgenza. La Clinton, diversamente dall’oppositore
              Obama, ha sistematicamente condiviso 
              le panzane di Bush sulla minaccia ADM di Saddam e votò a 
              favore della guerra. Così Berger, Albright e 
              Holbrooke. Altri consiglieri di Hillary hanno sostenuto 
              l’attacco, l’occupazione e non hanno cambiato idea: Jack
              Keane, Kenneth 
              Pollack, Michael O’Hanlon. 
              Tutto questo giro condivide gli allarmismi sulla minaccia 
              terroristica del fasullo Al Qaida, 
              l’utilità di ignorare il diritto internazionale e le opinioni 
              degli alleati e di lanciare guerre preventive. Insomma, è frivola 
              ma gravissima la responsabilità di questi apologeti nell’oscurarci 
              la realtà di una Clinton (ma alla lunga anche dell’altro fantino, 
              dalla giubba meno accesa, sull’unico cavallo dell’establishment 
              Usa) molto diversa da Bush e del suo epigono Bill, quello del 
              decennio di sanzioni genocide all’Iraq che dettero continuità fino 
              ad oggi alla Guerra del ’91. C’è solo un grado 
              di ipocrisia in più.  
                
               Scrive giustamente Gianluca 
              Bifolchi di “Achtung
              Banditen”: 
              I presidenti si trovano i copioni 
              già scritti dalle imprese sulla scrivania della Stanza Ovale.
              E quanto alla diversità che le 
              ginocrate del “manifesto” riconoscono alla sorella Hillary, 
              basta la definizione di Jane Fonda: 
              Un portavoce del patriarcato in 
              vagina e gonnella. Un portavoce del patriarcato che ha 
              lasciato all’avversario repubblicano, l’universal
              soldier 
              McCain, l’esclusiva del rifiuto della 
              tortura legittimata dalla banda Bush.    
                
              
              Una nazione che ne riduce in schiavitù un’altra, forgia le proprie
              catene 
              (Carlo Marx) 
              
              Il Kosovo e il silenzio della diaspora serba, in
              altre faccende affaccendata 
              Una delle cose più incomprensibili è 
              la reazione – la mancata reazione – 
              della comunità serba all’estero, in Italia dov’è foltissima, alla 
              suprema offesa e lacerazione inflitta da una banda di Stati 
              canaglia al loro paese. Ma come, qui si 
              strappa l’ultimo (?) arto al corpo storico, geografico, culturale, 
              umano della loro patria/matria e cosa 
              s’è visto? Qualche italiano volenteroso e pertinace ha messo 
              commenti e cronache in rete. Ma una 
              manifestazione dei serbi nelle tante città in cui risiedono? Un 
              presidio davanti alle ambasciate UE, tedesca, francese, 
              britannica? Un appello da far firmare ai soliti intellettuali? Un 
              picchetto e un uragano di e-mail a Palazzo Chigi? Un coordinamento 
              europeo per assediare Bruxelles?* 
              *(Aggiungo, 
              ad articolo ormai inoltrato, l’apprezzamento per quel migliaio di 
              lavoratori serbi che, a secessione proclamata, hanno manifestato a 
              Vicenza. Iniziativa degna di plauso, ma, 
              ahinoi, isolata e tardiva). 
                
              Ogni tanto si 
              sente di una festa, un ballo col cotillon, una
              mossetta contro i pogrom anti-rom, una 
              promozione turistica per la Bosnia. E il milione di profughi 
              senzapatria, senzacasa, senza soldi, cacciati dalle loro terre? E 
              la Zastava, cuore operaio della 
              Serbia, polverizzata e svenduta ai predatori stranieri (Astrit
              Dakli, lo slavofobo, ha solo da 
              recriminare contro il proficuo accordo tra la russa
              Gazprom, dell’unico amico dei serbi, 
              Putin, e la società del gas di Belgrado)? E i 150mila fratelli 
              rimasti alla mercè dei tagliagole del 
              “premier” Hashim 
              Thaqi, narcotrafficante e assassino-capo dell’UCK, assurto 
              al vertice del nuovo mafiastatarello 
              in vista dei profitti che le elites 
              occidentali incamerano dalle basi militari d’assalto (Bondsteel), 
              dal passaggio di stupefacenti afghani, turchi e ora anche 
              colombiani, tutti sotto tutela Cia, dal traffico di donne, bambini 
              e organi? Quel pendaglio da forca di Thaqi, 
              premier kosovaro, è come se Totò Riina fosse il nostro presidente 
              del consiglio (magari, di questo passo, ci diventa…). 
                
              
              Le lacrime di Tommaso De Francesco e i suoi “ultranazionalisti” 
              Qualcosa si deve essere spento nei 
              serbi quando Milosevic non mobilitò il suo esercito e il suo 
              popolo contro l’ingresso dei briganti Nato in Kosovo. Ne sarebbe 
              venuta un’invasione della Serbia, ma anche una guerriglia di 
              massa, probabilmente grandi lutti e distruzioni, ma anche la 
              vittoria assicurata alle lotte di liberazione condotte nella forma 
              della guerra asimmetrica in un territorio che più idoneo alla 
              guerriglia non si può. Iraq, 
              Afghanistan, Cuba, gli stessi serbi sotto il tallone nazista,
              insegnano. Vi potete immaginare cosa 
              sarebbe successo a D’Alema e al suo governo di 
              Sturmtruppen se avesse 
              dovuto impegnare i militari italiani contro i partigiani serbi, 
              già vittoriosi della macchina da guerra tedesca! Se avesse dovuto 
              accogliere processioni di bare dei “nostri ragazzi”!  
                
              Io, invece, mi sono trovato accanto 
              a Tommaso Di Francesco, balcanista del 
              “manifesto”, durante la cerimonia degli amici di Stefano Chiarini 
              nel primo anniversario della scomparsa del grande giornalista. Con 
              Tommaso ci eravamo incrociati nelle 
              guerre balcaniche e anche all’università di Napoli, ove ebbi 
              l’occasione di chiedergli cosa mai determinasse quella sua 
              coazione a ripetere gli stereotipi imperialisti su Slobodan 
              Milosevic “dittatore”. Mi rispose: 
              quali stereotipi? 
              Tommaso era amico di Stefano e nel “manifesto”, insieme
              a lui, a Manlio 
              Dinucci, Robecchi, Rita Di Leo 
              e a pochi altri, l’argine ostinato contro la deriva moderata dei 
              vecchi e nuovi “venerandi maestri” del giornale. Ci lesse, quel 
              giorno, una toccante e intelligente lettera al compagno che non 
              c’era più. Gli ero seduto accanto e mi disse con tono afflitto, 
              riferendosi all’imminente secessione del Kosovo: 
              Avevamo capito fin dall’inizio 
              come sarebbe andata a finire in Serbia, vero?
              Gli risposi: 
              Già, peccato che il tuo giornale, 
              nel giorno del golpe Otpor/Cia contro 
              Milosevic, cioè contro la Jugoslavia, così titolò: “La primavera 
              di Belgrado”. Lo scambio finì lì. Perché TDF non 
              è solo un onesto giornalista che la tragedia dei serbi e i delitti 
              euro-statunitensi contro il popolo serbo li ha sempre fedelmente 
              squadernati ai lettori, con la penna e con il cuore, come tocca ai 
              giornalisti con coscienza e professionalità. TDF ahinoi è anche 
              nella comitiva di coloro (Giuliana Sgrena, Marina Forti, M. Cocco, 
              altri) che partecipano, sì, alle sofferenze delle vittime, 
              denunciano, sì, i crimini e l’ottusità dei carnefici politici e 
              militari, ma al tempo stesso di questi ultimi condividono aporie, 
              stereotipi, falsi luoghi comuni, micidiali operazioni di 
              mistificazione e inganno. In questo modo sconfiggono il loro 
              stesso assunto informativo, politico, morale, ideologico. Cosa che 
              va di pari passo e sortisce gli stessi 
              effetti disastrosi del pertinace rifiuto a sinistra di investigare 
              e produrre analisi alternative sulla truffa 
              sconvolgimondo dell’11/9, di Osama, di Al
              Qaida, del terrorismo islamico. Fino a 
              riprendere e avallare con stanca pigrizia 
              ancor oggi la surreale sostituzione, operata dagli 
              occupanti, della Resistenza, baathista 
              e islamica, fino a  ieri accreditata dai comandi Usa di 200mila 
              combattenti, con un improvvisamente onnipresente Al
              Qaida. Tecnica vecchia e logora, 
              ricorda gli occupanti tedeschi che per meglio giustificare le loro 
              stragi davano del 
              Banditen ai 
              partigiani.  
                
              Torna particolarmente desolante il 
              fatto che un dabbenuomo come Tommaso
              continui, implacabile in ogni suo 
              articolo, a ripetere frusti e falsi concetti, in modo lampante 
              strumentali alla promozione di guerre. Ed ecco il karma della
              contropulizia 
              etnica degli albanokosovari, a
              ribadire una mai attuata pulizia etnica 
              serba che invece era una rabbiosa e inevitabilmente dura risposta 
              di Stato alla quinta colonna secessionista, scaturita dalla 
              criminalità organizzata albanese, dai marchi tedeschi e dai 
              sabotaggi di George Soros e Madre 
              Teresa (cui i briganti secessionisti hanno ora coerentemente 
              intitolato la via principale di Pristina). Ecco la balla di un 
              Milosevic inesorabilmente carico dei bugiardi misfatti 
              attribuitigli dagli aggressori, definito alla 
              Remondino despota
              (l’equilibrista Rai che ora definisce 
              teppisti i 
              manifestanti che giustamente hanno assediato l’ambasciata dello 
              Stato assassino), in un paese dalle elezioni a gogò, dalle 
              maggiori città amministrate dall’opposizione, dalla stampa in mano 
              all’opposizione al 90%, dalle mai represse manifestazioni
              dei collaborazionisti tipo Vichy (non 
              avevano, a Belgrado, consuetudine con i De Gennaro). Un Milosevic 
              che, estremo difensore del pluralismo 
              etnico-confessionale, avrebbe oppresso il Kosovo 
              togliendogli lo statuto d’autonomia, quando si era limitato a 
              eliminare il paralizzante, mai visto altrove, veto kosovaro a 
              tutte le decisioni delle istituzioni federali e regionali. Ed ecco 
              il disco rotto dei “nazionalismi” 
              e “ultranazionalismi” 
              serbi, laddove fu la Serbia a resistere, prima in nome dell’unità 
              jugoslava e poi della sua sopravvivenza agli sciovinismi razzisti 
              e religiosi dei microstati, coloniali, mafiosi o fascistizzanti, 
              fabbricati in provetta dall’imperialismo lanciato verso Est. Si 
              fosse mai sentito parlare di quell’ 
              “ultranazionalista” di D’Alema  che pensa di dover difendere gli 
              “interessi del’Italia” massacrando paesi altrui.      
                
              Vedendo il solito “nazionalismo 
              estremo”, o “ultranazionalismo” là dove si 
              tratta e si è sempre trattato di mera difesa contro gli 
              sciovinismi frazionisti dei proconsoli coloniali in Croazia, 
              Slovenia, Bosnia, Kosovo e Montenegro, Di Francesco accredita, mi 
              auguro inconsapevole, tutti le invenzioni demonizzanti elaborate 
              dalle centrali della guerra psicologica occidentale e finalizzate 
              a  lubrificare i cingoli dell’aggressione. Così, come certi 
              farabutti fanno con la Palestina, appare molto equilibrato porre 
              tutti, serbi e secessionisti, sullo stesso piano e
              risulta invece molto connivente. Come 
              quando ancora una volta, contro ogni evidenza, si attribuisce a 
              una “decisione” (documentare, prego!) serba la fuga dal Kosovo di 
              “centinaia di migliaia di abitanti”, di cui è stato provato che 
              scappavano invece dai bombardamenti a tappeto e all’uranio degli 
              amici Nato (ma poi, ai microfoni dovevano fantasticare su atrocità 
              serbe, sennò col cazzo che venivano 
              ammessi nei campi di quell’associazione a delinquere che i giudici 
              individuarono nel dalemiano 
              “Arcobaleno”. Balle di sopravvivenza che per TDF erano “dignitose 
              e credibili”). Del premier “moderato” 
              Ibrahim Rugova, volto umano 
              dell’operazione colonialista e noto in Svizzera per traffico di 
              droga, TDF si dice ottimo 
              amico. Probabilmente influenzato dall’albanese 
              slavofobo e russofobo del “manifesto”, Astrit
              Dakli, TDF 
              diffida di Putin e 
              ritiene strumentale 
              la sua condanna della secessione e dello stupro del diritto 
              internazionale che rappresenta. E conclude 
              vantandosi di aver conosciuto la Politovskaja, 
              sapete la giornalista russa anti-Putin 
              e cortigiana di Eltsin e degli oligarchi, che parlava di Russia e 
              di Cecenia come gradivano Cia e Pentagono, suoi editori di 
              riferimento nelle collaborazioni a “Radio Liberty” e “Radio Free
              Europe”. Sulle elezioni presidenziali 
              serbe, TDF si esalta alla vittoria del filo-europeo Boris
              Tadic, ultraliberista, devoto alle 
              potenze che hanno sfasciato il suo paese, a scapito del “radicale” 
              Tomas Nikolic, chissà perché ancora 
              pervicacemente definito di destra e “ultranazionalista”, a 
              dispetto di un suo programma elettorale socialmente, politicamente 
              e geopoliticamente assai più di 
              sinistra di quello dell’avversario. 
              Arriva, TDF, addirittura a compiangere l’assassinio di
              Zoran Djindjic, 
              collega di partito del destro Tadic, 
              da parte, afferma senza prove, 
              dello stesso ultranazionalismo 
              che lo aveva aiutato a defenestrare Milosevic. Fosse 
              anche vero, non ci sarebbe davvero da versare una lacrima su quel
              Djindjic, losco figuro di rinnegato e 
              quinta colonna dei tedeschi, che era arrivato 
              a fornire agli aggressori gli obiettivi serbi da bombardare.
               
                
              
              Le cadute di TDF e le ragioni di Slobodan Milosevic 
              Rinverdendo i fasti delle menzogne 
              che coprirono il golpe occidentale, portato avanti dai giovinastri 
              di Otpor, addestrati per la bisogna da 
              generali Usa a Budapest, TDF parla di un Milosevic nelle elezioni 
              del 2001 contestato dalla 
              folla in rivolta per i risultati improbabili che presentava.
              Rovescia la verità nel suo contrario quando afferma 
              che, nel 2001, “il popolo” invase il 
              parlamento per bruciare le schede di una “falsa vittoria di 
              Milosevic”. Ci si 
              chiede quale Belgrado mai abbia visto De Francesco nei giorni 
              della sedizione di Otpor che, istruita 
              e armata dalla Cia, raccattando elementi fascisti dalla periferia, 
              era arrivata a bruciare in parlamento le schede, non della 
              “improbabile vittoria di Milosevic”, ma quelle che avevano 
              correttamente assegnato la vittoria ai partiti della sinistra. Non 
              contento, TDF, mitragliando i suoi anatemi contro questo 
              fantomatico “ultranazionalismo” serbo, non riesce a trattenersi 
              dal tornare all’attacco delle 
              precedenti responsabilità del nazionalismo serbo e di Milosevic, 
              contrapponendo a queste i Tadic e i 
              Kostunica “moderati” e virtuosi, dato che 
              sono i soli leader a non aver 
              partecipato alle guerre fratricide che hanno insanguinato i 
              Balcani. Un osservatore meno candido, meno credulone, 
              direbbe che sono stati questi leader ad aver abbandonato e tradito 
              la lotta di Milosevic e dei serbi per l’unità della Jugoslavia 
              contro il colonialismo e i suoi miserevoli burattini indigeni. E 
              che poi si sono fatti investire dagli stupratori del loro paese 
              del compito di consegnarlo ai 
              licantropi del più becero e mafioso capitalismo. Non si rende 
              neanche conto, TDF, che la collera degli attuali dirigenti serbi 
              contro gli Usa e gli europei che li hanno traditi, ma ai quali per 
              trenta denari avevano venduto il presidente leader della 
              Resistenza, è l’inconfutabile conferma che Milosevic aveva visto 
              giusto. Sono lacrime sul latte versato.  
                
              La cosa verrebbe 
              a noia per il profumo rancido che emana, se non fosse che fa pena 
              un giornalista, di sicura dabbenaggine, che, alle lacrime per le 
              disgrazie dei serbi, associa le diffamazioni e menzogne che a un 
              D’Alema, a questo punto invano deprecato da TDF, hanno consentito 
              prima di bombardare la Jugoslavia (non per nulla i giuristi di 
              Rifondazione lo denunciarono come criminale di guerra) e poi di 
              farsi rompighiaccio internazionale della costituzione e del 
              riconoscimento di un orrendo narcostato 
              etnico.  
                
              
              Testa-coda di TDF anche in Medioriente 
              I tonfi di De Francesco non si 
              limitano ai Balcani. Ogni tanto il Nostro fa delle incursioni in 
              altri settori. Il risultato non cambia. Quando invade lo spazio 
              assolutamente irreprensibile che era di Stefano Chiarini, si 
              precipita a sostenere il raggiro Usa sull’onnipresenza di Al
              Qaida in Iraq, un Al
              Qaida che, come ripetutamente 
              denunciato dalle più attendibili fonti irachene, a cominciare 
              dalla prestigiosa Associazione degli 
              Ulema, non è altro che l’etichetta che, nelle loro ambasce, 
              occupanti e fantocci applicano alla Resistenza onde screditarla 
              agli occhi del mondo e rinverdire il teorema del “terrorismo 
              islamico”. Sulla Palestina, per esempio, pertinacemente avallando 
              il rovescio delle verità praticate da 
              USraele e dai suoi sicofanti, 
              azzarda l’auspicio che Hamas 
              ripensi il tragico errore del colpo di Stato. Possibile 
              che nessuno gli abbia fatto leggere i documenti scovati da Hamas, 
              dopo la neutralizzazione dei quisling dell’ANP, e pure pubblicati 
              dalla stampa egiziana, che dimostrano come il 
              l’agente Cia-Mossad Mohammed
              Dahlan, capo della sicurezza di
              Fatah, era lì lì 
              per scatenare un golpe contro il legittimo governo di Hamas, 
              democraticamente eletto, comportante la liquidazione dei suoi 
              dirigenti? L’intervento di Hamas aveva semplicemente neutralizzato 
              il complotto di Israele e dell’ANP ai danni della democrazia e del 
              popolo palestinese resistente. Si può chiamare golpe il rifiuto 
              del tradimento di un’ANP che si fa finanziare, armare e addestrare 
              la guardia pretoriana dai nemici del suo popolo? Di Tommaso non è 
              solo, gode del conforto di altre penne 
              assai superficiali e corrive. C’è quella dell’equilibrista Ennio
              Remondino, con le 
              sua coazione a ripetere il concetto caro all’Occidente del 
              despota Milosevic e i suoi 
              sgherri. Quella dell’augusta cofondatrice del giornale, 
              Luciana Castellina (pure lei devota 
              alla frode dell’11/9), che esprime tutta la sua riprovazione per 
              la fatale ripresa di egemonia 
              delle forze serbe più nazionaliste, a tutto danno di quelle 
              democratiche che oggi governano. Una volta di più il 
              manifesto toglie le parole di bocca a Bush e sodali,
              giù giù 
              fino a D’Alema e Veltroni, per i quali aggredire e colonizzare 
              sono interventi umanitari, mentre estremisti nazionalisti sono 
              coloro che non ci stanno e”democratici” quelli che applicano i 
              diktat politici ed economici dei loro padroni a Washington e
              Wall Street. Con un triplo salto 
              carpiato logico questa veneranda 
              maestra, afferma poi impunemente che 
              con i 
              bombardamenti Nato sulla 
              Jugoslavia… si è solo ritardata la vittoria degli oppositori di 
              Milosevic. Anche lei, dunque ballava alla musica della
              manifestaiola 
              Primavera di Belgrado 
              sulla fossa comune dei popoli jugoslavi.  
                
              I 
              giocolieri dei due pesi e due misure 
              Così, agevolato dalle aporie 
              truffaldine dei colonialisti, ribadite 
              dal “manifesto” e da altri media di “sinistra” , D’Alema e i suo 
              padrini hanno potuto compiere lo sporco lavoro di destabilizzare 
              una residua legalità internazionale, inventandosi un microstato di 
              delinquenti, tutelato per i comuni interessi dalle forze di 
              polizia europee (Eulex). Un’entità 
              etnica, razzista, sorta dal genocidio di quasi metà della sua 
              popolazione (altro che kosovari albanesi al 90% nel 1998) e che 
              ora serve da retroterra per i traffici criminali di tutti i suoi 
              mallevadori, dalla droga al commercio di esseri umani e delle loro 
              parti, dalla rapina delle sue ricchezze minerarie, compresi i 
              nuovi giacimenti di gas e greggio recentemente scoperti al confine 
              tra Albania e Kosovo, ulteriore stimolo 
              al lavoro sporco di D’Alema e compari. Con sul 
              groppone l’identificazione con la scellerata politica degli zombie 
              anglosassoni, l’Iraq dei 2,5 milioni di morti nella guerra 
              1991-2008, la Palestina cui far fare la fine degli
              Incas, l’Afghanistan da devastare per 
              obiettivi esclusivamente predatori, il Libano da tenere
              libanizzato e al guinzaglio, la 
              Jugoslavia frantumata in ridicoli bantustan 
              per masticarla meglio, e tutto questo al costo di una macelleria 
              sociale senza precedenti, con il corollario dello Stato 
              picchiatore e carceriere, come si fa ad ancora risparmiare alla 
              nostra classe politica ed ecclesiastica il termine di fuorilegge?
              Macchè, sono fuorilegge e meritevoli 
              di 7 anni di prigione i ragazzi che a 
              Firenze si erano fatti spaccare la testa per urlare al consolato 
              Usa quello che si faceva alla Jugoslavia.  
                
              Ovvio che i serbi un giorno si
              riprenderanno la terra delle loro 
              origini e del loro destino. Ovvio che, crollata la Grande Bestia 
              imperialista e dispersi i suoi clienti, la Jugoslavia riprenderà 
              forma e coesione, condizione perché quei popoli non muoiano. Ma 
              non saranno le compiacenze, obbedienze e connivenze dei politici e 
              dei giornali sedicenti di sinistra a sostenerli
              ed affiancarli nella rivincita. Quelli 
              dovranno leccarsi le ferite, se non saranno già stati affidati 
              alla discarica della storia. 
                
              
              Ogni candidato si comportava bene nella speranza che
              lo si giudicasse degno di elezione. 
              Tuttavia, questo sistema divenne un disastro 
              allorchè la città era diventata corrotta. Poiché allora non 
              era il più virtuoso, ma il più potente che si candidava alle 
              elezioni e i deboli, perfino i virtuosi, erano troppo impauriti
              per candidarsi. 
              (Nicolò Machiavelli) 
              
              Un partito pluriball 
              Bertinotti, uomo per ogni stagione
              purchè gli dia lustro e lo mantenga 
              sulla giostra, si affanna trafelato, disponibile come non mai, 
              appresso alla Grande Cosca 
              Veltroni-Berlusconi, pur di rimediare ancora qualche 
              sprazzo dal cono di luce di quel mafio-potere. 
              C’è dell’orrido e del patetico nelle giravolte di quest’uomo, che 
              riesce a trascinarsi dietro perfino i recalcitranti all’abbandono 
              della falce e del martello per mettere in piedi un minestrone che 
              ha la densità di contenuti di un pluriball. 
              Mi è capitato di assistere, della parti 
              del mio non natìo borgo selvaggio, a 
              un’assemblea di circondario della “Sinistra l’Arcobaleno”.
              Un Bonelli 
              che esternava pie genericità, un Cancrini 
              psichiatra che solo di psichiatria parlava (ma non della demenza 
              onanista delle “sinistre”), un ometto barbuto della SD che pareva 
              un busto del Pincio e di quello aveva 
              la vivace eloquenza, un rifondarolo da 
              comizio. Qualche sprazzo veniva dagli interventi di uno sconsolato 
              pubblico, per il resto un vuoto da interno di mongolfiera. Accenni 
              autocritici per quanto di scelleratezze 
              prodiane hanno contribuito a cacciare nel gozzo della 
              gente, una visione di società sottratta alla paralitica egemonia 
              dell’agonizzante esistente, un 
              break dell’abbraccio 
              mortale con la borghesia berlusconizzata? 
              Meglio chiedere agli asini di volare. Invece una conferma, 
              iniettata dalle compatibilità bertinottiane, 
              del ruolo di ruotino di scorta del 
              pateracchio veltrusconiano, con la 
              pietosa insistenza dell’invocazione al PD che ci ripensi e conceda 
              ancora una volta tale particina in commedia. Fenomenale il dato 
              che nessuno dei quattro moschettieri del re abbia ritenuto di fare 
              un  accenno alla questione guerra, 
              missioni, basi, Nato, Vicenza, come se si trattasse non del nodo 
              dirimente di tutta la nostra epoca, ma di una fastidiosa mosca che 
              era meglio ignorare piuttosto che spiaccicarla.
              Certo, una coda di paglia lunga da qui a 
              Kabul, intrisa di sangue. 
              
                
              
              Vota sempre per principi, anche se voti 
              da solo. Avrai il conforto che il tuo voto non sarà mai perso. 
              (John Quincy 
              Adams)   
              
              Annullare la scheda dell’antipolitica, stare con la politica vera 
              di Vicenza, Val di
              Susa, i
              Zero-rifiuti, Cobas… 
              Sono per la scheda annullata. C’è 
              chi in rete, e anche qualche gruppettaro sul “manifesto”, invoca 
              l’astensione, inconsapevole della quasi totale irrilevanza di un 
              dato numerico che può essere attribuito a semplice e indistinta 
              insofferenza al solito trucco elettorale. Le schede annullate 
              significano invece un’attiva manifestazione di volontà politica e, 
              per quanto si vorranno poi attribuire ai partiti, senza cambiare 
              la qualità dell’esito, rappresentano nel loro incremento 
              esponenziale una spada di Damocle su governanti e “oppositori”,
              nonché un terreno di coltura per la 
              rinascita di una sinistra che non sia la maschera di carnevale del 
              padrone. Correttamente, anche stavolta, i Cobas hanno dichiarato
              nelle prossime elezioni non 
              sosterremo nessuna lista, non daremo indicazioni di voto per 
              nessuno, non metteremo candidati in nessuna lista. Mi 
              pare implicita la constatazione che non c’è proprio nessuno da 
              poter eleggere. 
                
              
              Non fidarsi è meglio 
              Non c’è da fidarsi di chi 
              , pur indossando abiti candidi, ripete le parole d’ordine 
              dei carnefici militari e sociali: dal “terrorismo” 
              all’”integralismo” islamico (il 
              mostro dell’estremismo radicale islamico, come lo 
              chiama l’emissario a Kabul del mostro dell’estremismo moderato 
              apostolico romano nel “manifesto”), dall’11 settembre 
              dell’attentato bushiano, all’agenzia 
              Cia Al Qaida, dalle montature a fini 
              colonialisti del Darfur, del Myanmar o 
              dello Zimbabwe strappato alle grinfie dei vampiri bianchi, alla 
              turlupinatura letale della “nonviolenza”, dal perfido strumento 
              colonialista dei “diritti umani”, alla prostrazione davanti a un 
              arnese della reazione teocratica come il Dalai Lama. Ci sono 
              quelli che, messi alla porta dal Veltroni nazionale, nel segno 
              della coerenza e della dignità rientrano nel retrobottega del 
              Rutelli municipale – e di altri fiduciari locali di costruttori, 
              redditieri, automobilieri,
              elettroinquinatori, camorristi, preti 
              – per godere ancora dei frutti dello scempio 
              di Roma. Non c’è da fidarsi di verdi – e tanto meno di
              legambientini, topastri
              da tempo brulicanti nel formaggio del 
              potere – che, pur arrossendo, annuiscono dalla lontana a strumenti 
              di morte come gli inceneritori, o la TAV. Né c’è da fidarsi di 
              tutta quella rancida “società civile”, che ora si balocca tra 
              Veltroni e Bertinotti alla ricerca di qualche candidatura 
              “indipendente”: sindacati ormai tutti gialli, Arci
              ( la maestrina dalla penna nera
              Raffaela Bolini: 
              noi non siamo a priori contro le 
              missioni all’estero, la comunità internazionale ha il dovere di 
              mettersi in mezzo…), Ong, 
              Tavole della pace, conventicole varie. In una cosa sono bravi e 
              utili: nel confondere la distinzione tra giusto e ingiusto, tra 
              chi subisce e chi infligge, ciarlando di “diritti degli uni e
              diritti degli altri”, di estremisti e 
              di moderati di ambo le parti, finendo col mettere tutti, vittime e 
              carnefici, nello stesso sacco.  
                
              
              Dove sono  finiti gli occhiali di
              Trotzky?  
              E, malgrado 
              il rispettabile Turigliatto, non mi 
              fido nemmeno di quel trotzkismo, ingordo di 
              minoritarismo e perciò grottescamente trino su un corpo 
              solo. Dietro a falce e martello coltiva il suo arrogante, 
              eurocentrico e quindi essenzialmente razzista disdegno, anzi la 
              sua nasuta disapprovazione, verso tutto ciò che si muove fuori
              dalla proprie oniriche coordinate,
              Chavez, Fidel, la Resistenza irachena, 
              quella islamica, Mugabe, milioni di persone che nel mondo si
              strabattono contro l’urgenza assoluta 
              del momento, l’imperialismo. Diranno, costoro, anche delle cose 
              condivisibili sulle sciagure sociali interne, sulla “brutta 
              guerra”, ma tralignano quando dall’albero allargano lo sguardo 
              alla foresta e siccome è la condizione della foresta che determina 
              l’ambiente e la vita di ogni sua singola 
              componente, sbagliare lì è vanificare la cura dell’albero. 
              Il padre nobile al quale questa triade fa riferimento aveva lo 
              sguardo ben più acuto e lungo. Non mi fido di 
              un Cannavò, leader della neonata “Sinistra Critica”, che 
              con la sua falce avrebbe voluto decapitare Slobodan Milosevic e 
              con il martello liberava la strada ai venduti di
              Otpor. Indimenticabile e indecente il 
              titolo con cui, su “Liberazione”, esaltò 
              il golpe euro-statunitense contro la Serbia libera e sovrana: 
              Belgrado ride. Si sa 
              bene ora, caro lungimirante Cannavò, chi ridesse allora e continua 
              a ridere. E intanto, senza dirmi nulla, 
              cestinava le mie corrispondenze da Belgrado perché, intervistati, 
              i dirigenti Otpor si dichiaravano 
              orgogliosi di essere stati addestrati dalla Cia. O perché 
              descrivevo i lindi quartieri e le protezioni sociali che il 
              Partito Socialista di Slobo aveva 
              assicurato ai rom. 
              Ti paga Milosevic?
              mi chiese. E non mi fido dei boyscout 
              che insistevano a contrapporre ai rivoluzionari passati e presenti 
              l’uomo mascherato del Chapas, quando 
              anni di scempiaggini letterarie, vaniloqui galattici, rosari 
              recitati alla nonviolenza e al non-potere, assoluta sterilità 
              operativa e vanitoso isolamento geopolitico, 
              autoculto della personalità, 
              avevano già fatto giustizia di questo stratega del depistaggio per 
              fighetti europei. Li abbiamo visti, i boyscout, appena un po’ 
              disorientati quando il neo-Zorro da 
              operetta ha assolto il compito dei suoi mandanti di dare una mano 
              al Berlusconi locale, Caldiron, 
              facendo le scarpe al candidato presidenziale Lopez
              Obrador, unica e credibile speranza 
              per il Messico di affiancarsi al nuovo e positivo che muove 
              l’America Latina.     
                
              Si tratta di sinistre che diranno 
              pure qualcosa di assennato sulle politiche del 
              coacervo veltrusconiano, che, 
              un po’ tardi, si tirano fuori dalla morta gora
              bertinottesca (invitati da noi 
              autoconvocati nel 2004 a unirsi contro il monarca, fecero orecchie 
              di mercante), ma che non si libereranno mai da una responsabilità 
              degna dei pesi di Sisifo: aver 
              impedito, con l’assunzione delle patacche su Milosevic e sul 
              “nazionalismo” serbo, quella mobilitazione, di massa e senza 
              riserve mentali, per la Jugoslavia e accanto alla sua dirigenza, 
              che solo così avrebbe potuto mettersi tra le ruote dell’incipiente 
              “guerra infinita”. Altro che “si, ma”, 
              altro che “né con, né con”. E’ gente che pensa di difendere Cuba 
              dalle mene Usa dando del “dittatore sanguinario” a Fidel Castro, e 
              l’Iraq ripetendo da sonnambuli le fole su Saddam e sulla 
              Resistenza. 
                
              E, per finire là dove non
              sembra ahinoi esserci fine, non mi fido 
              neanche di coloro che oggi inalberano vessilli dell’antagonismo 
              sociale e della lotta contro il militare, ma che un attimo fa, 
              offrendo al Veltroni a stelle strisce e stella di Davide, tanto 
              opportunisticamente quanto demenzialmente, 
              una lista elettorale “arcobaleno”, tali vessilli li avevano 
              scordati in soffitta. C’è un limite alle “svolte”. Si rischia di 
              frantumarsi contro un muro: presero lo 0,6%. E, guardate, dirò una 
              bestialità, ma non mi fido neanche delle quote paritarie per il 
              genere rosa. Penso a quelle che già hanno dato 
              la loro prova: Binetti, Turco,
              Santanchè, Brambilla,
              Finocchiaro, 
              Menaguerra, Deiana, Bonino,
              Bernardini, 
              Pollastrini, Pivetti, Mascia, Sereni, Mussolini… 
              Moltiplicarle? Sarà equo, ma non mi pare risolva il problema. 
              Anzi, se si allarga lo sguardo a Clinton, 
              Livni, Albright, Rice, Bhutto,
              Merkel, Royal, 
              Elisabetta… fa paura. Troppo facile farne una questione di genere. 
              Tina Anselmi, quella sì. Ce ne fossero. 
                
              E’ il TG3 delle 
              19. Sfilano nell’invereconda passerella di tutti i
              telegiornali i gaglioffi presuntuosi e 
              ottusi della vera antipolitica: strepitose maschere da film de 
              paura, corruzione, protervia, ipocrisia, furberia, ottusità, 
              rozzezza, vaniloquenza. Su tutte, la 
              faccia di Veltroni che si smolla sul gorgoglio sempre più 
              indistinto di putrefatte demagogie e 
              mafiosi avvertimenti. Pare un Luigi XVI della Magliana. Siamo al 
              1789? Mancano i sanculotti. 
              
               
          
          
          
        
         
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