OFF TOPIC


                   NON SOLO CUBA

 

 

 

HANNO UCCISO TUTTE LE CONQUISTE DEI LAVORATORI, CHI SIA STATO NON SI SA

         Tutta la sinistra, da quella di destra che si spaccia per sinistra  ai centri sociali, è un ammasso di macerie. La scelta di governare la nuova fase del capitalismo intrapresa più di un quarantennio fa, che poco alla volta ha coinvolto tutta la sinistra, si è risolta in una catastrofica sconfitta politica e culturale. Ai lavoratori, alle classi popolari, alle nuove generazioni è stato fatto scientemente pagare il conto di quelle scelte governiste. Questi ladri di futuro tuttora bazzicano la scena politica, ma mai nessun giornalista chiede a costoro di spiegare perché, in che modo “la classe operaia più forte del mondo” ha perso tutte le sue conquiste e chi ne è responsabile. Quanto segue è un promemoria, un riassunto delle tappe principali dell'assalto alle conquiste dei lavoratori. Per capire il presente, per non dimenticare.

L'ULTIMA VITTORIA  

         A Torino, la mattina dello sciopero generale del 23 gennaio 1975 per “l'occupazione, la contingenza e il salario”, un grande e combattivo corteo di lavoratori proveniente da Mirafiori giunge in piazza San Carlo mentre è già in corso il comizio del rappresentante di CGIL-CISL-UIL. Gli slogan che chiedono la firma immediata dell’accordo per il punto unico di contingenza costringono l’oratore a prendersi alcune pause. Poi iniziano i fischi che in breve raggiungono un’intensità da stadio, come quando la squadra ospite si appresta a calciare un rigore. Il malcapitato Rinaldo Scheda della CGIL è costretto a interrompere definitivamente il suo intervento e a lasciare il palco. A mia memoria, è la prima volta che un dirigente sindacale della CGIL, viene contestato, fischiato in piazza dai lavoratori, e non sarà l’ultima.

         Due giorni dopo a Roma, l’avvocato Gianni Agnelli, all'epoca presidente di Confindustria, e i segretari di CGIL-CISL-UIL, Luciano Lama, Bruno Storti e Raffaele Vanni, sottoscrivono obtorto collo l'accordo interconfederale che unifica il “punto” di contingenza: indipendentemente dalla loro qualifica, tutti i lavoratori riceveranno il medesimo importo quale adeguamento automatico del salario all'aumento del costo della vita. E' l'ultima grande conquista egualitaria del movimento dei lavoratori del 1969, ma è un passo indietro per Lama, “migliorista”(1) della prima ora, che vuole dimostrare a spese dei lavoratori l'affidabilità del PCI e della CGIL a governare, nell'interesse dei padroni, il cambio di fase del capitalismo che si sta prospettando.

EVVIVA L'AUSTERITA' PER I LAVORATORI

         Grazie alle lotte e alle conquiste dei lavoratori, le elezioni Amministrative del giugno 1975 vedono una grande avanzata del PCI e delle sinistre che conquistano le principali città italiane. Nelle successive Politiche del giugno 1976 il PCI raggiunge il 34,4%, miglior risultato di sempre, e vota la famosa “non sfiducia” (cioè si astiene) alla nascita del governo “monocolore di solidarietà nazionale” guidato da Giulio Andreotti. Al Comitato Centrale del PCI del 18/20 ottobre 1976, Enrico Berlinguer annuncia che “occorre abbandonare l'illusione che sia possibile perpetuare un tipo di sviluppo fondato su quella artificiosa espansione dei consumi individuali che è fonte di sprechi, di parassistismi, di privilegi, di dissipazione delle risorse, di dissesto finanziario. Ecco perché una politica di austerità, di rigore, di guerra allo spreco è divenuta una necessità irrecusabile da parte di tutti ed è, al tempo stesso, la leva su cui premere per far avanzare  la battaglia per trasformare la società nelle sue strutture e nelle sue idee di base”. 

         E così, il 26 gennaio 1977, “di fronte ai problemi della crisi economica in atto nell’intento di accrescere la competitività del sistema produttivo sul piano interno ed internazionale, allo scopo di contribuire 1) alla lotta contro l'inflazione ed alla difesa della moneta mediante il contenimento della dinamica del costo globale del lavoro e l'aumento della produttivita; 2) alla creazione di condizioni per nuovi investimenti e per lo sviluppo dell'occupazione specie nel Mezzogiorno”, “con l'obiettivo di restringere l'area degli automatismi che incidono sulla dinamica del costo del lavoro”, CGIL-CISL-UIL firmano un accordo che elimina il conteggio dei punti di contingenza dal TFR dei lavoratori a partire dal 1° febbraio 1977 e cancella sette festività dal calendario.

         Non ricordo con precisione  il costo, quantificato all'epoca da alcuni esperti, di questa operazione; ma si tratta di moltissime migliaia di miliardi di lire che restano nelle tasche dei padroni anziché finire come salario differito in quelle dei lavoratori; mentre la perdita occupazionale per l'abolizione delle festività fu calcolata in 250 mila posti di lavoro. I padroni incassano subito i benefici dell'accordo, mentre le presunte contropartite, gli investimenti al Sud, restano una chimera, aria fritta. E' un classico accordo tipicamente migliorista in due tempi: il primo tempo, quando i padroni devono incassare, inizia immediatamente, mentre il secondo tempo non debutta mai. E' una svolta di 180 gradi della politica sindacale, un accordo totalmente  negativo per i lavoratori. Ed è solo l'inizio.

E' ORA, E' ORA, MISERIA A CHI LAVORA

         In questa atmosfera di restaurazione dell'autoritarismo dei vertici aziendali e sindacali sui lavoratori, il 17 febbraio 1977, nel cortile dell'università La Sapienza a Roma, Lama tiene un comizio organizzato da PCI e CGIL. Nelle settimane precedenti l'università è stata luogo di scontri con sparatoria, tra fascisti del FUAN e militanti dell'Autonomia Operaia, ed è diventata il centro della protesta contro la riforma del ministro DC dell'Istruzione Franco Maria Malfatti. L'ala creativa del cosiddetto Movimento del '77, gli “indiani metropolitani”, noti per la revisione ironica dei testi di alcuni storici slogan [E' ora, è ora, miseria a chi lavora - Più lavoro, meno salario - Potere padronale - Siamo felici di fare sacrifici - Non c'è disfatta, non c'è sconfitta senza il grande partito comunista - Lama star, superstar, i sacrifici vogliamo far (sulle note di Jesus Christ Superstar) - Vogliam lavoro nero, nero, nero, vogliam lavoro nero per il padron (sulle note di Sei diventata nera) - ecc.], accolgono il segretario della CGIL cantando sulle note di Guantanamera “Fatti una pera, Luciano fatti una pera, fatti una pera, Luciano fatti una pera”. Un pupazzo raffigurante Lama viene impiccato e iniziano scontri con sassaiola fra militanti dell'Autonomia e un centinaio di persone del servizio d'ordine di PCI e CGIL; scontri che costringono Lama a fuggire precipitosamente. Il camioncino dal quale Lama stava tenendo il comizio viene distrutto.

         Molti di quegli slogan che all'epoca facevano sorridere, oggigiorno rispecchiano una drammatica realtà, ma nonostante questa straordinaria capacità di leggere gli eventi, che è invece mancata a tanta parte della sinistra, il Movimento del '77 dura poco e “rifluisce”, chi nel privato, chi nell'eroina, chi rapito da crisi spirituali, chi nella lotta armata. Lotta Continua era già scomparsa alla fine del 1976.  Anche i numeri certificano che l'onda lunga del 1968-69 sta esaurendo la sua spinta propulsiva: alle elezioni Politiche del giugno 1979 il cartello elettorale di Nuova Sinistra Unita, che mette insieme, ad eccezione del PDUP, tutti gli sbandati sopravvissuti a sinistra del PCI, raccoglie solo un misero 0,8%. E' il crepuscolo dei movimenti, in fabbrica e nella società.

DELATORI

            Il clima in fabbrica è pesante. Coloro che per un decennio hanno tirato le lotte devono adesso impegnarsi su tre fronti: la lotta armata, che tragicamente confonde l'inizio dell'arretramento operaio con il momento propizio per la rivoluzione; la FIAT, che approfitta della stanchezza delle avanguardie, delle contraddizioni create dalla lotta armata e dalle scelte governiste del PCI, per passare al contrattacco; il PCI e la CGIL che non vedono l'ora di guadagnare a qualsiasi costo la fiducia dei padroni svendendo le conquiste operaie, e di dimostrare la loro totale

 estraneità al fenomeno terrorista.

         Quando il 16 marzo 1978 le Brigate Rosse sequestrano Aldo Moro, il PCI capeggia il fronte del rifiuto contro qualsiasi iniziativa/trattativa per salvare la vita del presidente della DC. Fra i partiti, il fronte trattativista è composto soltanto dal PSI di Bettino Craxi e da Democrazia Proletaria (DP). Nel febbraio 1979, un mese dopo la morte a Genova di Guido Rossa, operaio comunista dell'Italsider assassinato per aver sorpreso e denunciato un suo collega che introduceva in fabbrica dei volantini con le risolzioni strategiche delle BR, il PCI, per dimostrare di essere il primo della classe nella lotta al terrorismo, diffonde capillarmente a Torino un “questionario antiterrorismo” composto dalle seguenti sei domande: Quali sono a vostro giudizio le cause del terrorismo? Quali sono gli ostacoli da rimuovere e le cose da fare per ottenere non solo l'isolamento morale, ma la scomparsa del terrorismo? Cosa dovrebbero fare le istituzioni (governo centrale, comuni, province, regioni)? Potete segnalare fatti accaduti a voi personalmente o ad altri nel quartiere che rientrino nella criminalità politica (aggressioni, minacce, intimidazioni, attentati, incendi di auto o di sedi, etc.)? Avete da segnalare fatti concreti che possano aiutare gli organi della magistratura e le forze dell'ordine ad individuare coloro che commettono attentati, delitti, aggressioni? Avete delle concrete proposte da fare per migliorare la situazione nel nostro quartiere?”. Il questionario è indirizzato a tutte le famiglie col seguente appello finale: “Discutetene in famiglia e scrivete senza firmare (sottolineato nel testo) le risposte ad ogni domanda. Mettete la risposta nella busta, chiudetela e speditela o consegnatela alla sezione dei Vigili Urbani o nei punti di raccolta”.

         A Torino, il questionario viene distribuito in 60.000 copie ai bambini nelle scuole, nelle fabbriche, nei negozi, nelle cassette delle lettere e nelle parrocchie. I questionari riconsegnati sono 12.000 di cui solo 35 (0,06%) risulteranno “meritevoli di inchiesta” come dirà poi in un'intervista Dino Sanlorenzo, presidente PCI della Regione Piemonte, ideatore dell'iniziativa assieme al senatore PCI Ugo Pecchioli e a Giuliano Ferrara allora comunista migliorista duro e puro, “poi craxiano con Craxi, filodipietrista con Mani Pulite, antidipietrista e berlusconiano con Berlusconi, dalemiano con D'Alema, riberlusconiano col ritorno di Berlusconi, montiano con Monti  (celebre il suo rap alla vaccinara in cui implorava Silvio con uno straziante 'Tienimi da conto Monti'), napolitaniano con Napolitano, lettiano con Enrico Letta, renziano con Renzi. Sempre con chi aveva il potere in quel momento...”, e oggigiorno innamorato di Salvini a cui scrive una “Lettera d'amore a Matteo” sul quotidiano clandestino Il Foglio (Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano 15 dicembre 2018). Ma “l'obiettivo non era quello di scovare terroristi. Per quello le vie erano altre. L'obiettivo era isolarli, i terroristi” dichiarerà Sanlorenzo.

IL NEMICO COMUNE

         Come sanno tutti coloro che stavano in fabbrica, il terrorismo di sinistra è un parassita che colpisce le lotte dei lavoratori, le sfrutta. Nasce quando sono al loro apice, muore con la loro agonia, salvo poche eccezioni. Ha ragione Sanlorenzo quando dice che l'obiettivo non era quello di scovare i terroristi: posso confermare che la FIAT sapeva con estrema precisione chi in fabbrica era connesso col terrorismo e chi non lo era. Non c'era bisogno di questionari. Quando i tanti Sanlorenzo presenti nel PCI dicono di voler prosciugare il brodo di coltura dei terroristi, isolarli, in realtà intendono far cessare le rivendicazioni, le lotte  dei lavoratori, colpire chi le organizza dal basso. Per dimostrarsi “responsabili”, all'altezza di guidare il Paese, “il PCI avrebbe fatto meglio ad accelerare i passaggi che poi ha fatto come PDS, DS e che molti avevano auspicato”, afferma ancora Sanlorenzo.

         Eliminare il potere operaio è l'identico obiettivo della FIAT, che vuole ritornare ad avere il pieno controllo della fabbrica. E così, la “violenza” operaia, cioè la lotta dei lavoratori, grazie anche a una campagna di stampa ben orchestrata dai giornali padronali e dal PCI, viene assimilata alla violenza terrorista. Il 9 ottobre 1979, la FIAT spedisce una lettera di licenziamento a 61 dipendenti colpevoli di “aver fornito prestazioni di lavoro non rispondenti ai principi della diligenza, correttezza e buona fede e nell'aver costantemente manifestato comportamenti non consoni ai principi della civile convivenza nei luoghi di lavoro”. In sostanza i 61 lavoratori sono accusati di connivenza col terrorismo. Quattro giorni dopo, in un'intervista a La Stampa, Adalberto Minucci della segreteria del PCI dichiara: “Credo che in quest'ultima ondata (di assunzioni) a Mirafiori sia entrato un po' di tutto, dallo studente al disadattato, s'è proprio raschiato il fondo del barile”.

         Ma è Giorgio Amendola, esponente di primo piano della corrente “migliorista”, ad essere il più esplicito su violenza, terrorismo, sindacato. In un articolo che appare su Rinascita del 9 novembre 1979 intitolato Interrogativi sul caso FIAT”, scomunica un decennio di lotte e di conquiste dei lavoratori: “(...) le rivendicazioni sono cresciute incontrollate, con progressivo livellamento delle retribuzioni, in un esasperato egualitarismo, che contribuisce a mortificare, assieme ai nuovi sistemi di organizzazione del lavoro, ogni orgoglio professionale, e senza che l'aumento dei salari sia accompagnato da un crescente aumento della produttività. Solo negli ultimi tempi, per merito essenzialmente di Lama, si è riconosciuto che il salario non può essere considerato una variabile indipendente dalla produttività, () L'errore iniziale compiuto dal sindacato è stato quello di non denunciare immediatamente il primo atto di violenza teppistica compiuto in fabbrica, come quello compiuto nelle scuole. L'errore dei comunisti è quello di non aver criticato apertamente, fin dal primo momento, questo comportamento () Non si vada ora a ricordare la necessaria asprezza derlla lotta di classe per giustificare i nuovi atti di teppismo e di violenza nelle fabbriche () E chi può negare che vi sia un rapporto diretto  tra la violenza di fabbrica ed il terrore? E perché il sindacato, i comunisti non hanno parlato, denunciato in tempo quello che oggi viene rivelato? () E poi ci sono forme di lotta, impiegate a Torino e largamente attuate in tutto il Paese, che si manifestano fuori dalle fabbriche, con occuoazioni stradali, cortei intimidatori, distruzioni vandaliche di macchine e negozi. Sono forme di lotta che quando non sono episodi isolati, esplosioni di collera a lungo represse, quando diventano abitudini correnti, snaturano il carattere stesso della lotte di classe (...)”.

         Nel 20° anniversario dell'autunno 1980, nella trasmissione Porta a porta del 13 ottobre 2000, Giuliano Ferrara, nel 1979 capogruppo PCI al Comune di Torino,  dichiara: “La lista dei 61 licenziati fu concordata da Umberto Agnelli e Ugo Pecchioli, posso testimoniarlo. Ci fu una sorta di screening della lista, il PCI faceva una seria politica di antiterrorismo(Corriere della Sera, 14 ottobre 2000).  Cesare Romiti, amministratore delegato FIAT dell'epoca si limita ad affermare: “La FIAT avvertì in anticipo i vertici sindacali dell'intenzione di licenziare un gruppo di lavoratori: lo dissi personalmente a Luciano Lama in occasione di un incontro a Villa d'Este” (Repubblica, 13 ottobre 2000). Umberto Agnelli smentisce, l'avvocato Gianni Agnelli non parla, mentre Piero Fassino, già responsabile fabbriche PCI afferma: “Non ne so nulla”.  Tengo a precisare che il sottoscritto, modestissimo delegato sindacale a Mirafiori Carrozzeria, ha appreso due giorni prima da fonte autorevole la notizia dei licenziamenti e che le organizzazioni sindacali erano al corrente di tali provvedimenti.  Alla fine, saranno quattro su 61 gli operai per i quali vengono provate connessioni col terrorismo.   

LA PAROLA D'ORDINE E' UNA SOLA, CATEGORICA E IMPERATIVA PER TUTTI

         Fra le tante vicende accadute durante i famosi 35 giorni, quattro sono gli eventi che mi sono rimasti più scolpiti nella memoria. Venerdì 26 settembre 1980, Enrico Berlinguer è a Torino e parla ai lavoratori in sciopero davanti agli stabilimenti di Rivalta, Lingotto, Lancia e Mirafiori. Un corteo partito da corso Tazzoli raccoglie a ogni porta i lavoratori. Alla porta 3 mi aggrego a Liberato Norcia e Bruno Canu che stanno discutendo fra loro della domanda da fare a Berlinguer sulla questione delle forme di lotta che dividela base operaia del PCI: occupazione dello stabilimento o non occupazione? Alla porta 5, davanti alla palazzina principale di Mirafiori dove si tiene il comizio, Liberato va sul palco e pone la famosa domanda al segretario del PCI: se ci sarà l'occupazione delle fabbriche come si comporterà il PCI? Berlinguer dà l'unica risposta che poteva dare: se gli operai nella loro autonomia decideranno per l'occupazione, il PCI starà con gli operai che avranno come sempre il sostegno di tutto il partito. La risposta di Berlinguer scatena l'ira della classe politica. Per il segretario della DC Flaminio Piccoli istigherebbe la violenza,  mentre il segretario della CISL Pierre Carniti si sente scavalcato. Gli operai la intendono come un chiaro benestare ad occupare le fabbriche FIAT.

         Lo sciopero generale del 10 ottobre si conclude davanti alla porta 5 di Mirafiori con il comizio del segretario della UIL Giorgio Benvenuto. Durante il comizio, Benvenuto racconta di un operaio che gli ha chiesto  quale sarà il finale della vicenda FIAT: “Gli ho risposto: le strade sono due, o molliamo noi o molla la FIAT . E l'operaio ha ribattuto: 'No compagno Benvenuto, o molla la FIAT o la FIAT molla'”. Solo quattro giorni dopo, a seguito della famosa “marcia dei 40.000” (cifra fornita dalla sinistra Repubblica, per la questura 12.000, ma ad esser generosi 10.000), assieme ai suoi compagni di merende Lama e Carniti, Benvenuto firmerà l'accordo scritto da Cesare Romiti. Accordo che prevederà cassa integrazione a zero ore per circa 24.000 lavoratori; cassa integrazione a rotazione per le linee dei modelli 131 e 132; processi di mobilità extraziendali. I lavoratori che entro il 30 giugno 1983 non avranno ancora trovato un lavoro saranno reintegrati in FIAT. In sostanza tutti i desideri della FIAT saranno esauditi.

         La marcia dei 40.000  del 14 ottobre è l'evento tanto atteso per chiudere la vicenda FIAT; Lama, Carniti e Benvenuto non aspettavano altro, si dichiarano immediatamente sconfitti e Lama lascia a Romiti il compito di stendere il testo dell'accordo. L'indomani al cinema Smeraldo in via Tunisi, presente tutto il gotha sindacale, si riunisce il Consiglione di Mirafiori. Enzo Mattina della UILM fatica assai per portare a termine l'intervento introduttivo. Tutti gli interventi dei delegati, tranne due o tre sono contrari all'accordo. Carniti replicherà con arroganza alle contestazioni dei delegati. L'intervento più emozionante è del delegato Giovanni Falcone della Carrozzeria. Ricorda in breve l'arrivo a Torino da un paesino del Sud, la sua assunzione in FIAT, la sua alfabetizzazione, la sua politicizzazione, l'impegno nelle lotte, e si chiede perché la FIAT dovrebbe richiamare in fabbrica nel 1983 uno come lui. Con una calma e una  lucidità impressionanti spiega che un ciclo storico è finito, ma lui non si pente di nulla di ciò che ha fatto, anzi (2).

         Il 16 ottobre è la giornata delle assemblee con i lavoratori. Sono presenti i tre big del sindacato: Lama alla Carrozzeria, Carniti alla Meccanica, Benvenuto alle Presse. Tutto l'apparato sindacale e quello del PCI è mobilitato al gran completo, la parola d'ordine è una sola, categorica e imperativa per tutti: l'accordo deve essere approvato a tutti i costi. In Carrozzeria, al momento della votazione per alzata di mano è evidente che ha vinto il no, ma lo speaker annuncia che “l'assemblea approva a larga maggioranza. Scoppia qualche tafferuglio, vola qualche pugno, Lama sparisce. Alla Meccanica dove si ha lo stesso risultato, Carniti è costretto a fuggire a gambe levate. Benvenuto è più fortunato e viene solo insultato. All'Autobianchi di Desio, constatata la manifesta ostilità dell'assemblea, i dirigenti sindacali non mettono ai voti l'accordo sostenendo che la decisione spetta solo agli stabilimenti torinesi. A Rivalta e alla Lancia di Chivasso, l'accordo non viene messo in votazione perché ritenuto palesemente non corrispondente al mandato. Le assemblee del pomeriggio si risolvono tutte con la netta vittoria del no. In serata le organizzazioni sindacali annunciano: “I conteggi delle votazioni sono stati un po' problematici, ma risulta evidente la netta maggioranza dei voti favorevoli all'accordo”.

         Quando oggigiorno si ciancia di pericolo fascista, di deterioramento della democrazia, di fine dello stato di diritto, automaticamente il mio pensiero corre sempre a quel piovoso mattino del 16 ottobre 1980 quando CGIL-CISL-UIL, PCI e FIAT uniti nella lotta seppellirono la democrazia diretta, il sindacato rivendicativo, e compilarono aumm aumm la lista dei circa 24.000 cassintegrati a zero ore da espellere dalla fabbrica.

 

 


 

 

 

IL DECRETO DI SAN VALENTINO

         Dopo l'accordo del 1977 che sterilizzava gli effetti della scala mobile sul TFR dei lavoratori, prosegue l'attacco agli automatismi salariali. Verso la fine del 1983 il governo Craxi intavola una  lunga trattativa con CGIL-CISL-UIL sulla scala mobile, considerata la principale causa dell'inflazione che veleggia intorno al 16%.  Per i partiti di governo, per Confindustria, per la CISL, per la UIL, per la componente socialista nella CGIL, per i miglioristi, sono i lavoratori che, recuperando solo al 60% con la scala mobile il potere d'acquisto dei loro salari, alimentano l'inflazione. Tutti, PCI compreso, sono d'accordo che occorre tagliare la contingenza per frenare questo “effetto perverso”. La divergenza fra i sindacati sorge sul fatto se i punti tagliati debbano essere o non essere recuperati nella busta paga al termine del periodo emergenziale. Il 14 febbraio 1984, Craxi mette fine alle discussioni e decide con un decreto legge di tagliare tre punti  di contingenza. La componente comunista della CGIL reagisce con scioperi e una grande manifestazione a Roma. In Parlamento, PCI, PDUP e DP fanno ostruzionismo, il decreto decade, ma viene reiterato e infine approvato (Legge 219 del 12 giugno 1984).

         La sera precedente all'approvazione definitiva del decreto, muore a Padova Enrico Berlinguer; poco prima aveva annuciato che sarebbero state raccolte le firme per un referendum abrogativo del decreto di San Valentino, ma la corrente migliorista che vuole abolire del tutto la scala mobile è contraria alla consultazione popolare. Il referendum si svolge il 9-10 giugno 1985, si pronunciano per il Sì PCI, DP, MSI Destra Nazionale e Partito Sardo d'Azione. Vince il No col 54,3%. Alle ore 14 del 10 giugno, cioè all'ora della chiusura dei seggi, il presidente di Confindustria Luigi Lucchini disdetta l'accordo sull'indennità di contingenza. Si domanda: ma i  sempre più numerosi sostenitori della corrente migliorista all'interno del PCI, i Napolitano, i Fassino, nel segreto dell'urna cosa avranno votato?

LA STANGATA

         Solo cinque giorni dopo il suo insediamento, nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1992, il governo di centrosinistra presieduto dal socialista Giuliano Amato, appoggiato da DC, PSI, PSDI e PLI, effettua per decreto un prelievo forzoso del sei per mille su tutti i depositi bancari degli italiani. Oltre al prelievo forzoso, Amato introduce in autunno tutta una serie di misure e nuovi balzelli, fra i quali i ticket sanitari e l'imposta straordinaria del tre per mille sugli immobili (ISI), in seguito trasformata in ordinaria (ICI). Inizia con questo governo la lunga agonia delle pensioni. I primi provvedimenti della “riforma” prevedono: l'ammontare pensionabile calcolato sugli ultimi dieci anni di lavoro anziché su cinque, l'età per la pensione alzata da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 per gli uomini, il blocco immediato delle baby pensioni, misure restrittive sulla cumulabilità delle pensioni. E' una manovra finanziaria da quasi 100 mila miliardi di lire, la più pesante del secondo dopoguerra, si programmano tre anni di lacrime e sangue per i lavoratori.

         Negli stessi giorni in cui i conti correnti bancari degli italiani sono alleggeriti dalla patrimoniale di Amato, l'inchiesta Mani Pulite (partita il 17 febbraio 1992 con l'arresto in flagranza di reato di Mario Chiesa presidente socialista del Pio Albergo Trivulzio di Milano che intasca una tangente) giunge a toccare i vertici della politica, la casta. Il 3 luglio, per difendersi dalle accuse di finanziamento illecito al partito, Craxi alla Camera accusa a sua volta tutti gli altri partiti: “I partiti, specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte a varie strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono all'uso di risorse aggiuntive in forma irregolare o illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest'aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro”. 

         Nel frattempo, il PCI di Occhetto si era liberato dell'imbarazzante insegna comunista, non senza qualche lacrimuccia di circostanza, e nel congresso di Rimini del 3 febbraio 1991 era nato il Partito Democratico della Sinistra (PDS). Ma alle elezioni Politiche del 5-6 aprile 1992 la nuova formazione ottiene un modesto 16,1%, una debacle. I numeri elettorali suggeriscono che i padroni non lo ritengono ancora in grado di guidare il Paese. Lo scandalo di Tangentopoli e l'inchiesta Mani Pulite che azzerano i vecchi partiti della Prima Repubblica sembrerebbero favorire il PDS, ma la discesa in campo di Berlusconi nell'inverno del 1993 con la promessa di riforme liberali bloccherà la gioiosa macchina da guerra di Occhetto & C.

         Il 1992 è un anno cruciale: il 7 febbraio viene firmato a Maastricht il trattato che stabilisce le regole, i famosi cinque parametri, per l'ingresso nell'Unione Europea. Attorno alla moneta unica si gettano le basi dell'Europa dei e per i padroni. Il trattato è ratificato dalla Camera dei Deputati il 29 ottobre con 403 voti  favorevoli, 46 contrari e 18 astenuti: votano contro solo il MSI-DN e Rifondazione Comunista (RC), astenuti Verdi e Rete.  Ecco il bilancio sull'operato della UE in questi 27 anni tracciato da Paolo Savona, economista, poi ministro per gli Affari Europei del governo Lega-M5S: “Io sarei per l'Europa unita, per questo non posso che dire peste e corna di quello che vedo a Bruxelles. Le difficoltà della UE sono colpa delle élite che la guidano: dicono di interessarsi del popolo, ma si occupano solo di loro stesse e non ammetteranno mai il fallimento dell'Europa perché significherebbe autocondannarsi. E questo acuisce i problemi.  La mancanza di diagnosi comporta l'assenza di terapia. Le élite italiane hanno voluto questa Europa, sbagliando. Si prendano la colpa o qualcuno gliela attribuisca”(il  manifesto, 24 maggio 2018).   

         Venerdì 31 luglio 1992, mentre le fabbriche stanno chiudendo per le ferie, con la supervisione del governo Amato, CGIL-CISL-UIL e Confindustria firmano un accordo che sopprime definitivamente la scala mobile, congela per due anni i contratti aziendali, blocca le retribuzioni fino a tutto il 1994, e comincia a lavorare ai fianchi le pensioni. Il presidente di Confindustria Luigi Abete commenta: “Ha vinto il senso di responsabilità” (l'Unità, 1° agosto 1992). “Finalmente una prova di coraggio” titola La Stampa del 1° agosto 1992. Anche Ottaviano Del Turco, socialista, numero due della CGIL, è contento: “Difendo l'accordo, anzi dico che il sindacato ha firmato un bell'accordo(l'Unità, 2 agosto). La CGIL “sfiora la rottura interna” scrive Flavia Amabile su La Stampa del 1° agosto, “poi a maggioranza approva il protocollo. La Confederazione dice addio al passato della CGIL. E alla fine il sì a denti stretti di Trentin”. Bruno Trentin si dimette da segretario della CGIL: “Ho dovuto firmare un brutto accordo. Non mi pento della firma, ma la Confederazione voleva altro” dichiara. E riceve l'onore delle armi.  Piero Sansonetti firma un editoriale su l'Unità del 2 agosto dal titolo: “Una brutta intesa, un gesto coraggioso”. Abete: “Grande rispetto”, Claudio Martelli, ministro PSI di Grazia e Giustizia: “Spero che resti”, Achille Occhetto, segretario PDS: “E' un gesto dignitoso”,  Vittorio Foa, PDS: “Difendo lui e il suo atto di coraggio”, Sergio Cofferati, segretario dei chimici CGIL: “Quella firma era inevitabile”. Solo Fausto Bertinotti, già segretario regionale CGIL Piemonte nel 1980 all'epoca dei 35 giorni, afferma: “Per il sindacato è un accordo di resa”. Come si sa, in Italia le dimissioni, se non subito accettate, hanno sempre una scadenza ravvicinata, come le mozzarelle; infatti, al ritorno dalle ferie, il 4 settembre, Trentin le ritira. Dopo che ogni personaggio ha recitato al meglio la sua parte in commedia, nel sindacato si ricaricano le stilografiche e ci si appresta alla prossima grande svendita.

PENSIONI, DA BERLUSKAISER AL ROSPO (3)

         Il 27-28 marzo 1994 la coalizione di centrodestra che nel Nord Italia si presenta come Polo delle Libertà (Forza Italia-Lega Nord-Centro Cristiano Democratico) e al Sud come Polo del Buon Governo (Forza Italia-Alleanza Nazionale-Centro Cristiano Democratico) vince le elezioni Politiche contro l'Alleanza dei Progressisti (PDS-RC-Verdi-Rete e formazioni minori). L'11 maggio nasce il primo governo Berlusconi che a fine settembre presenta in Parlamento la Finanziaria 1995 contenente anche una “riforma” del sistema pensionistico che prevede parecchi tagli. Dopo lo sciopero generale contro la Finanziaria del 14 ottobre con imponenti manifestazioni in tutte le città italiane, il governo apre un tavolo di trattative con tutti i sindacati; trattative che vengono rotte da Berlusconi sul tema delle pensioni. Il 12 novembre i sindacati organizzano una oceanica manifestazione nazionale a Roma, Berlusconi stralcia la riforma delle pensioni dalla legge Finanziaria, ma il 17 dicembre la Lega Nord si ritira dal governo. Tre giorni dopo la Camera approva la Finanziaria 1995 priva dei provvedimenti sulle pensioni, ma PDS, Lega Nord e Partito Popolare Italiano (PPI) presentano una mozione di sfiducia: Berlusconi, senza più maggioranza, si dimette, va dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e chiede immediate nuove elezioni. Ma Scalfaro, constatato che in Parlamento esiste una maggioranza alternativa (PDS, Lega Nord, PPI, Patto dei Democratici) (4), affida l'incarico per un nuovo governo a Lamberto Dini, ministro del Tesoro del defunto governo Berlusconi, che si insedia il 17 gennaio 1995. 

         L'8 maggio 1995 CGIL-CISL-UIL raggiungono un accordo col governo Dini su una riforma del sistema pensionistico che introduce il criterio contributivo che andrà a sostituire quello retributivo. La riforma è del tutto simile, se non addirittura in alcuni punti peggiorativa per i lavoratori, a quella proposta da Berlusconi un anno prima, sulla quale CGIL-CISL-UIL avevano chiamato milioni di lavoratori a mobilitarsi, a opporsi. La differenza sta nel fatto che questa volta la riforma non la propone la destra “fascista”, berlusconiana, ma un governo appoggiato dagli ex “comunisti” del PDS, che vogliono così guadagnare punti fedeltà per giungere al governo del Paese. Il 4 agosto il Parlamento approva la riforma Dini sulle pensioni: votano a favore PDS, Lega Nord, PPI e Cristiano Democratici Uniti; votano contro Alleanza Nazionale (AN) e RC; si astengono Forza Italia e CCD. 

         Invece Confindustria non firma l'accordo sulla riforma definita dal vicepresidente Carlo Callieri “tecnicamente vergognosa (Repubblica, 9 maggio); mentre le assemblee dei lavoratori pur fra le contestazioni di Cobas e RC la approvano, secondo i dati forniti dai sindacati, col 65%. Partono anche degli scioperi spontanei contro l'accordo, RC ed Essere Sindacato (corrente di sinistra nella CGIL) indicono una manifestazione nazionale a Milano per sabato 13 maggio, mentre Cofferati, segretario della CGIL esprime soddisfazione: “Ognuno dovrà assumersi le proprie responsabilità. Chi in questi mesi ha dato il poco edificante spettacolo di criticare senza produrre misure alternative, dovrà adesso parlare chiaro. Questo accordo fa giustizia di tutti i sospetti che fossimo noi ad impedire la riforma” (Repubblica, 9 maggio). Anche il “più estremista” di tutti, il leader della FIOM, Claudio Sabattini, appoggia l'intesa che però va accompagnata ad una “forte campagna di verità” (Repubblica, 9 maggio). E' evidente anche in questo caso che ogni personaggio recita la sua parte nella commedia, con Confindustria che si finge delusa per salvare la faccia di un sindacato che ha firmato l'ennesima intesa tutta negativa per i lavoratori. Tutti i governi di centrodestra, di centrosinistra o “tecnici” che succedono a quelli di Amato del 1994 e di Dini del 1995, apporteranno delle modifiche al sistema pensionistico, ma sempre peggiorando, chi più chi meno, le prestazioni per i lavoratori.

         Dal 1995 a oggi, CGIL-CISL-UIL proclameranno solo dieci scioperi generali antigovernativi di tutte le categorie: la classifica vede nettamente al comando Berlusconi con cinque scioperi (due della sola CGIL), segue Monti con due (per la legge Fornero solo tre ore a fine turno), in coda D'Alema, Amato e Renzi con uno, quest'ultimo sul Jobs Act, dichiarato soltanto da CGIL e UIL. I numeri dicono che in presenza di politiche antipopolari, che hanno massacrato il salario, i diritti dei lavoratori, messe in atto indistintamente da governi di centrodestra e centrosinistra, la Troika sindacale chissà come mai ha scioperato solo contro i governi di Berlusconi.

E' ARRIVATA LA PRECARIETA', A TEMPO INDETERMINATO

         Si intitola “Norme in materia di promozione dell'occupazione” la legge 196 del 24 giugno 1997, meglio nota come Pacchetto Treu, varata dal governo Prodi sostenuto da una coalizione di centrosinistra (PDS, Popolari per Prodi, RC, Verdi, Rete, Rinnovamento Italiano). L'idea ispiratrice del provvedimento è genuinamente iperliberista: più flessibilità del lavoro, meno diritti per i lavoratori, uguale più occupazione. Sono istituiti tutta una serie di nuovi contratti di lavoro: interinale, a tempo determinato, part-time,  collaborazioni coordinete e continuative, formazione lavoro, apprendistato, tirocinio, stage, socialmente utili e varie altre forme contrattuali definite “atipiche”. I successivi interventi sulle norme del lavoro, legge Biagi (2003), riforma Fornero (2011), decreto Poletti (2014), Jobs Act (2014/2015), seguiranno tutti quell'indirizzo. Al termine di questo ciclo di riforme liberiste,  il lavoro precario o in nero ha ormai preso il sopravvento e diventa la normalità. La profonda manomissione delle disposizioni sul lavoro in combinazione con le manovre sulle pensioni cancella qualsiasi possibilità di futuro per le giovani e meno giovani generazioni. Per i giovani entrati nel mondo del lavoro dopo la riforma Dini si dovrebbe parlare di sussidio di sopravvivenza e non più di pensione.

         In verità Tiziano Treu non è stato il primo a mettere mano alle disposizioni sul lavoro e a creare precarietà. Ovviamente sempre col nobile intento di “favorire l'occupazione”, già il terzo governo Andreotti, quello che aveva incassato la “non sfiducia” del PCI, con legge 285 del 1° giugno 1977 aveva varato il “contratto di formazione lavoro”. Lo Stato offriva incentivi in forma di sgravi contributivi al datore di lavoro che assumeva ragazzi con lo scopo di insegnar loro un mestiere. Ma in realtà è solo una scappatoia, una forma di assunzione dei lavoratori in condizioni peggiori.

         Il governo Lega-5 Stelle è il primo dopo un quarantennio che pare non voler peggiorare ulteriormente  lo sfruttamento, il tenore di vita dei lavoratori, ma anzi sembra volgere in direzione opposta. Questa inversione di tendenza che ha generato il successo elettorale delle due forze politiche ha miracolosamente ravveduto i perdenti del 4 marzo 2018: “Il PD si è completamente scordato dei poveri” dice un giovane candidato alle primarie per la segreteria, tale Dario Corallo, ma sembra un problema medico più che politico; è consigliabile qualche integratore di memoria, rivolgersi al farmacista di fiducia. Per Walter Veltroni la precarizzazione del lavoro non è stata promossa dalla “sinistra”, ma è caduta dal cielo: “Qual è stato l'errore principale della sinistra? Aver accettato la precarizzazione delle persone” (Piazza Pulita, 8 novembre 2018). “Abbiamo perso perché abbiamo lasciato la questione sociale alla destra” dichiara Pierluigi Bersani intervistato da Floris in una puntata di Di martedì dello scorso settembre; ma i fatti dimostrano al contrario che la “sinistra”  ha perso proprio perché si è occupata con ossessivo accanimento terapeutico delle tematiche sociali. Ma soprattutto c'è l'improvvisa riscoperta oltre che dei poveri, anche dei giovani. Chi ha lavorato con zelo fino a ieri a distruggere qualsiasi speranza di futuro, oggi se ne preoccupa, reclama attenzione per i giovani. Provoca perciò una istintiva sensazione di ribrezzo chi ha l'indecenza di definire la Finanziaria dell'attuale governo Lega-5 Stelle “una manovra contro i giovani” (Elsa Fornero, Di martedì, 30 ottobre 2018).    

LA RAPINA DEL SECOLO

         Il 30 dicembre 1997, Romano Prodi, leader dell'Ulivo e presidente del Consiglio, per star dentro a uno dei parametri di Maastricht necessari ad entrare nell'euro, quello del 3% fra deficit e PIL, si inventa un “contributo straordinario per l'Europa” noto anche come “eurotassa” che si impegna a restituire negli anni a venire, ma che non restituirà mai interamente. Questa manovra straordinaria consente di giungere ad un rapporto Deficit/PIL del 2,7%. Uno dei capolavori della propaganda europeista è che riesce a convincere anche  le vittime della convenienza dell'operazione. E' la prova generale, un esercizio propedeutico, di una delle più grandi rapine perpetrate contro lavoratori e pensionati. Le forze politiche sono concordi, pur con sfumature diverse, sul fatto che l'ingresso nella moneta unica porterà solo vantaggi, per tutti.  Siamo nel paradossale caso di un condannato a morte che viene convinto a pagare le spese per la sua esecuzione. In una famosa intervista di Stefano Feltri pubblicata su Il Fatto Quotidiano del 13 maggio 2012, sui retroscena dell'entrata dell'Italia nell'euro, l'ex ministro delle Finanze del governo Prodi I, Vincenzo Visco, dice: “Un'Italia fuori dall'euro, visto il nostro apparato industriale, poteva fare paura a molti, incluse Francia e Germania che temevano le nostre esportazioni prezzate in lire. Ma Berlino ha consapevolmente gestito la globalizzazione: le serviva un euro deprezzato, così oggi è in surplus nei confronti di tutti i Paesi, tranne la Russia da cui compra l'energia. Era un disegno razionale, serviva l'Italia dentro la moneta unica proprio perché era debole. In cambio di questo vantaggio sull'export, la Germania avrebbe dovuto pensare al bene della zona euro nel suo complesso”. 

         Il 1° gennaio 2002 entra in circolazione la nuova moneta, ma il passaggio all'euro non è uguale per tutti. Mentre le pensioni e i salari dei lavoratori sono convertiti al cambio ufficiale di 1936,27, i prezzi di buona parte di merci e servizi adottano il cambio di mille lire per un euro. Pur governando Berlusconi, ricordo che la sera in tv appare un rubicondo e gioioso Prodi con sorriso a piena dentiera che, ritenendosi non a torto il padre dell'operazione sulla moneta, mostra la nuova banconota ed esprime tutto il suo compiacimento di poter finalmente girare l'Europa senza dover più perdere tempo da un cambiavaluta. Ben presto però gli italiani a reddito fisso scoprono che il loro potere d'acquisto si è quasi dimezzato e milioni di pensionati finiscono ai limiti della soglia di povertà; però vuoi mettere la comodità di non dover più frequentare il cambiavaluta!       

UN MODERNO, DEMOCRATICO COLPO DI STATO

         Il 5 agosto 2011, il presidente della Banca Centrale Europea Jean-Claude Trichet e il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi indirizzano al presidente del Consiglio italiano Berlusconi una lettera “strettamente confidenziale” sulle misure di politica economica da prendere per uscire dalla crisi: liberalizzazioni dei servizi professionali, privatizzazioni dei servizi pubblici locali, dare priorità a contratti aziendali al posto dei contratti nazionali di lavoro, pareggio di bilancio anticipato al 2013, deficit pubblico all'1% del PIL entro il 2012, stretta sulle pensioni di anzianità, innalzamento dell'età pensionabile delle donne, riduzione dei costi della Pubblica Amministrazione anche con tagli agli stipendi se necessario, pareggio di bilancio in Costituzione, abolizione delle Province. 

         Da più di un anno il quarto governo presieduto da Berlusconi è ritenuto inadeguato dall'Europa dei padroni a garantire i loro interessi; tutti i grandi giornali, Corriere della Sera in testa, mobilitano quotidianamente le loro migliori bocche da fuoco per attaccare il governo di centrodestra incapace di realizzare quelle riforme “liberali” da anni promesse. Il 26 maggio 2010, all'assemblea annuale di Confindustria, Berlusconi offre alla presidente Emma Marcegaglia la poltrona di ministro dello Sviluppo Economico e chiede all'assemblea una votazione immediata, ma neanche una mano si alza per approvare.

         Nessun raggruppamento politico potrebbe realizzare il programma antipopolare richiesto da Bruxelles e salvare la pelle. Occorre una persona, un governo che non abbia nulla da perdere, che non debba poi sottoporsi a un giudizio popolare, un “tecnico” che faccia il lavoro sporco per far quadrare i conti. Mentre lo spread sale alle stelle opportunamente sollecitato dalle massicce vendite di titoli italiani da parte di banche tedesche, il 9 novembre 2011 Napolitano nomina senatore a vita Mario Monti, già da tempo in attesa in anticamera. Tre giorni dopo, avvisato dal Fedele Confalonieri che sono in corso manovre speculative sulle aziende di famiglia che rischiano il tracollo, Berlusconi si dimette e il giorno dopo Napolitano dà a Monti l'incarico di formare il nuovo governo “tecnico”con lo scopo di realizzare il programma dettato dai gerarchi europei. 

         Le dimissioni di Berlusconi provocano un grande entusiasmo nella sinistra. Se ne fa portavoce uno degli intellettuali più in vista, Marco Revelli, con un articolo dal titolo “Bacio il rospo Monti, ma ...” di cui si consiglia la lettura integrale per comprendere l'inutilità della sinistra italiana e le ragioni della sua disfatta: “Confesso innanzitutto che se fossi stato a Roma, sabato scorso, avrei probabilmente preso una bandierina (tricolore) e sarei sceso in strada a festeggiare, perché quella sera, alle 21 e 42, è davvero finito 'ufficialmente' il berlusconismo (…) Confesso anche - e la cosa mi costa un po' di più - che ho fatto il tifo per Mario Monti. Forse per una questione di pelle. Più estetica (ed etica) che politica. Perché dopo tanto strepitare sopra le righe, dopo la volgarità al potere, il disgusto quotidiano e lo strepito da caravanserraglio, i troppi nani e ballerine e pailettes e cotillon nel cuore dello Stato, la sua normalità sembra un miracolo. La sua sobrietà di abito e di parola una rivoluzione. Ma anche perché, politicamente, mi rendo conto che al suo governo non ci sono alternative (...)” (il manifesto, 17 novembre 2011) .

         E così, mentre il professor Revelli con il calice di spumante in una mano e la bandierina (tricolore) nell'altra sta ancora festeggiando la caduta del donnaiolo di Arcore, già il 30 novembre viene votato il pareggio di bilancio in Costituzione con soli sei astenuti, mentre con legge 214 del 21 dicembre è approvata la famigerata riforma delle pensioni Fornero; votano contro solo la Lega Nord e l'Italia dei Valori. Per i lavoratori è come cadere dalla padella nella brace, però all'estero con Monti facciamo un figurone.

E FINALMENTE RENZI

         Matteo Renzi non è un alieno, non ha sbagliato partito, non è arrivato per caso al vertice del PD. Renzi è il figlio legittimo dell'orrendo serpentone metamorfico PCI-PDS-DS-PD, è il prodotto finale più genuino, biologico di quel percorso. Non nasce per rottamare le cariatidi della vecchia politica; i Bersani, i D'Alema e compagnia si sono già da parecchio tempo culturalmente e politicamente autorottamati. Il governo Renzi nasce il 22 febbraio 2014 col compito di portare velocemente a compimento la precarizzazione totale del lavoro subordinato e distruggere le ultime garanzie legislative per i lavoratori: Jobs Act, abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, nuova legge elettorale, riforma della Costituzione. Renzi riesce a realizzare solo le prime tre voci del suo programma, poi il 4 dicembre 2016 quasi il 60% degli italiani boccia il nuovo testo costituzionale e alle elezioni Politiche  del 4 marzo 2018  il PD crolla al 18,7% e implode, mentre il M5S diventa il primo partito con il 32,6%.

         Questi, sommariamente, i fatti determinanti riguardanti il mondo del lavoro accaduti negli ultimi 40 anni. Non occorre l'acume di Hercule Poirot per scoprire gli assassini di tutte le conquiste dei lavoratori. Diceva Agatha Christie che un lettore attento e perspicace già dopo una quarantina di pagine dei suoi gialli ha tutti gli elementi per scoprire il colpevole. Nel caso in questione, invece, il colpevole lo si conosce già dall'inizio, come nei gialli del tenente Colombo. Ma come è stato possibile che abbia potuto godere di 40 anni di impunità? 

         La sinistra, il centrosinistra supportati dalla Troika sindacale per 40 anni hanno campato grazie al terrorismo elettorale nei confronti dei lavoratori: votate per noi anche se siamo costretti a bastonarvi perché i mercati ci guardano, ce lo chiede l'Europa, perché se vince Berlusconi è peggio ancora. Votate per noi perché Berlusconi è il cavaliere nero, ademocratico, fascista, la Costituzione nata dalla resistenza è in pericolo, la democrazia muore, il fascismo è sempre in agguato, il fascismo eterno, quello che minaccia l'umanità intera sin dal peccato originale. L'involontario merito di aver svelato al popolo della sinistra questi sotterfugi va tutto a Renzi, che Dio lo benedica, che ancor prima di diventare presidente del Consiglio stipula col “fascista” Berlusconi un patto di governo, il “Patto del Nazareno”: crolla così il principale alibi degli assassini delle conquiste dei lavoratori.

         Ma il terrorismo elettorale non era sufficiente: occorreva addebitare a Berlusconi tutti i provvedimenti antipopolari varati da sinistra e centrosinistra in collaborazione con la Troika sindacale. Ed ecco l'invenzione geniale della maxi bufala del ventennio berlusconiano.  Ancora oggigiorno incontro persone che quando dimostro numeri alla mano che non è mai esistito un ventennio berlusconiano restano basite. Nella storia d'Italia c'è stato un solo “ventennio”, ma non è quello berlusconiano. Il termine ventennio berlusconiano viene coniato da Massimo Giannini del dipartimento ideologico del PD in un suo libro del 2008 per paragonarlo al ventennio mussoliniano. Oltretutto non si tratta neanche di un ventennio avendo Berlusconi governato alternandosi però col centrosinistra dall'11 maggio 1994 al 16 novembre 2011. Di questi 17 anni, 6 mesi e 6 giorni, il centrodestra con i governi Berlusconi I, II, III, IV ha governato 9 anni, 1 mese e 20 giorni, mentre il centrosinistra con i governi Dini, Prodi I e II, D'Alema I e II e Amato II ha governato 8 anni, 4 mesi e 16 giorni. Ma, al di là dell'aritmetica, la dicotomia era finta, le due coalizioni non erano alternative, ma complementari, si legittimavano a vicenda: difatti mai nessuna coalizione di centrosinistra ha abrogato una legge contro i lavoratori varata dalla precedente coalizione di centrodestra, e viceversa. 

         Alla “sinistra” sopravvissuta non restano che due argomenti per autocertificare l'esistenza in vita: fascismo e immigrazione, altro dire non sa. Dell'uso dell'antifascismo come arma di distrazione di massa ne ho scritto e ne ho detto fino alla nausea (5).  L'ultimo tentativo di distrarre il popolo dai problemi reali è stato davvero divertente. In un saggio dal titolo Istruzioni per diventare fascista (Einaudi) Michela Murgia propone un fascistometro, test con 65 frasi per misurare il tasso di fascismo presente in noi. Ma, “secondo il demenziale fascistometro sarebbero fascisti financo Lenin e Togliatti, Gramsci e il Che Guevara di Patria o Muerte” scrive il filosofo Diego Fusaro. L'iniziativa finisce nel ridicolo perché Il Tempo pubblica il Comunistometro, analogo test per misurare quanto sei comunista o radical chic; Travaglio il ladrometro, Andrea Scanzi il sinistrometro. Perfino il britannico The Guardian propone un populistometro. 

         Non ho mai ascoltato in vita mia un serio dibattito sul tema immigrazione. A Torino e dintorni non c'è mai stato. E non c'è mai stato perché il tema è complesso, tocca tante altre materie, l'Europa, il lavoro, le questioni internzazionali, eccetera. Anche se poi tutta la classe politica nostrana tende a ridurlo agli sbarchi, a ordine pubblico e alla cosiddetta “integrazione”. E infine la “sinistra” tende in generale a evitare di parlare di fatti che potrebbero confutare le opinioni consolidate. Nell'ottobre scorso ho pubblicizzato la presentazione di un libretto scritto da Sonia Savioli intitolato ONG, il cavallo di Troia del capitalismo globale - Zambon editore. Chi sono i  creatori e i finanziatori delle ONG, chi le dirige, che mestiere facevano precedentemente costoro? Fra i tanti casi indagati mi ha colpito quello di Haiti del dopo terremoto di dieci anni fa, uno dei Paesi più poveri del mondo. Dove, a fronte di una popolazione di circa 11 milioni di abitanti, operano n° 10.000 ONG, una ogni 1.100 abitanti. Un record mondiale. Che ci sarà mai ad Haiti di così importante? Che progetti ha il capitalismo americano per Haiti? Ovviamente la risposta la si trova leggendo il libro e non la svelo. Scrive l'autrice: “Con tutti i miliardi che ogni anno le fondazioni filantropiche e le ONG spendono per aiutare i poveri, non ci dovrebbe essere più un emigrante sulla faccia della terra. A spostarsi da un Paese all'altro dovrebbero essere rimasti solo i filantropi , i turisti e i laureati e ricercatori italiani”. Quando ero giovane un libretto del genere sarebbe stato definito di controinformazione. Invece, due persone di sinistra appena sentito il titolo hanno storto il naso. Una terza mi ha detto che, con Salvini all'attacco delle ONG, questo libro è “inopportuno”. Ma la verità è ancora rivoluzionaria?

Torino, 19 dicembre 2018                                                   Cesare Allara

Note  

(1)  Il migliorismo è una corrente politica che si pone all'estrema destra  all'interno del PCI. L'obiettivo è di far abbandonare al partito l'ideologia marxista e migliorare con riforme il capitalismo. Dopo la morte di Berlinguer (11 giugno 1984) i miglioristi  diventano la netta maggioranza nel partito e propongono l'unificazione col PSI e col PSDI, che non si farà a causa dello scoppio dello scandalo di Tangentopoli. Il leader di questa corrente è sempre stato Giorgio Napolitano.  Altri miglioristi famosi sono stati o sono tuttora: Giorgio Amendola, Giancarlo Pajetta, Paolo Bufalini, Mario Alicata, Nilde Iotti, Luciano Lama, Gerardo Chiaromonte, Napoleone Colajanni, Gianni Cervetti, Achille Occhetto, Piero Fassino, Enrico Morando, Sandro Bondi …

(2)  Una parte dell'intervento  di Giovanni Falcone  si può ascoltare nei dvd di Pietro Perotti  FIAT autunno 80, per non dimenticare e Senza chiedere permesso.

(3)   Berluskaiser del Tuben, Berluskaz , due dei tanti nomignoli con cui Umberto Bossi, leader della Lega Nord, bersagli ain campagnelettorale il suo alleato Berlusconi.  Il nuovo presidente del Consiglio Lamberto Dini fu battezzato il rospo. Il dilemma della sinistra era : gioire per la caduta di Berlusconi  e baciare il rospo Dini  oppure gioire ma non baciare il rospo.

(4)   Il Patto dei Democratici era una coalizione elettorale composta da Alleanza Democratica di Willer Bordon, Patto Segni e Socialisti Italiani guidati da Enrico Boselli.

(5)  Vedere ad esempio prefazione  di Cesare Allara a Paolo Borgognone, L'immagine sinistra della globalizzazione. Critica del radicalismo liberale, Zambon editore

 

 

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