CUBAOGGI


CUBA  E LA CATTIVA COSCIENZA DELLA SINISTRA

 


 

 

di Sandro Scardigli

 

 

“Il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d’amore. E’ impossibile concepire un autentico rivoluzionario che non abbia questa qualità. Forse è proprio questo uno dei maggiori drammi del dirigente, che deve unire a uno spirito appassionato una mente fredda, e deve saper prendere le più dolorose decisioni senza che un solo muscolo gli si contragga”.

(Ernesto “Che” Guevara, da “Il socialismo e l’uomo a Cuba”)

 

Di Cuba solitamente si parla poco. Mito politico giovanile nella seconda metà degli anni sessanta e fino all’inizio dei settanta, assimilata dai più al sistema “sovietico” negli anni seguenti, si ricominciò a prestare un po’ di attenzione a questa realtà parallelamente alla riscoperta della figura di “Che” Guevara, avvenuta in Italia ed in Europa verso la fine degli anni ottanta.

A Cuba era il periodo del “Processo di Rettifica”, un tentativo (fra l’altro) di revisione critica da sinistra del parziale appiattimento sulle posizioni dell’Urss e delle tendenze al burocratismo e al conformismo che si erano estese e consolidate durante tutti gli anni settanta.

Con l’avvento di Gorbaciov alla guida del Pcus i cubani cominciarono a mettere seriamente in conto la possibilità di una restaurazione capitalistica in quel paese, con la conseguente necessità di evitare che la “Perestroika” attecchisse anche a L’Avana, vanificando la Rivoluzione. Il recupero del pensiero di Josè Martì e di Guevara, l’approfondimento delle radici nazionali della Rivoluzione ebbero una forte spinta. Ne derivò una maggiore vivacità anche in campo culturale, con l’affermazione di giovani scrittori e registi cinematografici, con uno “svecchiamento” del dibattito sia politico che culturale.

Unendo tutto ciò ad una situazione di relativo benessere economico su basi pressoché egualitarie, si può dire che gli anni ottanta furono un periodo molto buono per i cubani.

Purtroppo durò poco. A partire dal 1990 la morente Urss troncò quasi di netto i propri rapporti economici e politici con L’Avana, provocando un crollo dell’83% del commercio estero cubano (1991-92). Iniziava il “Periodo Speciale”, del quale parlerò più estesamente nella seconda parte di questo articolo.

All’estero quasi tutti si aspettavano un rapido crollo della Rivoluzione. Quando si vide che ciò non avveniva, si smise semplicemente di parlare di Cuba. Da allora dell’“Isola Rossa” si parla quasi soltanto (con l’eccezione del caso Elian e della visita papale) quando ci sono problemi migratori con gli Usa, quando vengono condannati supposti dissidenti o quando il suo governo è costretto ad accordi di compromesso con il capitale straniero.

Evidentemente, la cattiva coscienza di una “sinistra” che ha buttato a mare ogni riferimento classista e socialista per abbracciare (nel migliore dei casi) teorie liberal-cattoliche di libertà individuale e “diritto di cittadinanza”, ha bisogno di convincere soprattutto se stessa  che qualsiasi tentativo di liberazione sociale e politica del proletariato e delle classi subalterne è improponibile e che gli stati che vi si richiamano sono residui autoritari del passato.

Il culmine di questa isteria anticomunista si è raggiunto in concomitanza con le condanne a pene detentive di 78 “dissidenti” cubani e, soprattutto, con la fucilazione di tre terroristi dirottatori di un’imbarcazione.

Nei limiti di spazio di un pur lungo articolo cercherò di inquadrare la questione, non limitandomi alla cronaca dell’oggi.

 

CUBA DALLA CONQUISTA ALL’ “INDIPENDENZA”

Cuba è scoperta da Cristoforo Colombo il 27 ottobre del 1492, durante il suo primo viaggio verso le Americhe. Il navigatore genovese sbarca sulla riva della località di Baracoa. Il nome Cuba forse deriva dalla parola con la quale gli indigeni chiamavano il proprio territorio.

La popolazione autoctona fu sterminata. Il capo degli indigeni Hatuey venne condannato al rogo. Nella Cuba di oggi non resta alcuna traccia di quelle popolazioni. Il genocidio fu pressoché totale. Quando gli spagnoli iniziarono la conquista di Cuba, si calcola che gli indigeni fossero circa 100.000. Nel 1550 ne erano rimasti 5.000.

L’Avana diventò uno dei più grandi porti del mondo, ma anche ritrovo di scorribande di pirati e contrabbandieri che cercavano di assaltare la flotta spagnola. L’isola acquistò la funzione di punto per la sosta durante la traversata verso o dalle Americhe. Il simbolo di Cuba diventò quindi una chiave, la chiave d’accesso da un punto all’altro del continente americano.

Diego Velazquez, nel nome di Spagna e Compagnia delle Indie, inizia la distribuzione delle proprietà e fonda le città principali dell’isola.

La coltivazione su larga scala di zucchero e tabacco inizia nel 1614. Questi diventano presto prodotti pregiati per tutto il mercato europeo. Intorno alle suddette attività economiche, nel Settecento si forma una borghesia creola.

Di pari passo con lo sviluppo del commercio via mare inizia a prosperare la tratta degli schiavi neri, provenienti dall’Africa. Lo schiavismo era necessario per la mancanza di una sufficiente forza-lavoro autoctona. In quattro secoli (1500-1800) furono deportati a Cuba dall’Africa quasi quindici milioni di schiavi. Alla fine del Settecento cinquecento famiglie controllavano la ricchezza dell’isola.

Le scorrerie dei pirati rappresentarono la minaccia più grave per i commerci spagnoli, che passavano obbligatoriamente da Cuba. Un’altra minaccia era costituita dagli inglesi, che nel 1762 riuscirono ad occupare L’Avana per undici mesi.

Nonostante la brevità di questa presenza, i più avanzati modelli economici inglesi si affermarono in sostituzione di quelli spagnoli e fu introdotto il libero commercio.

Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, a seguito della rivolta degli schiavi ad Haiti, Cuba vede un incremento vertiginoso della produzione ed esportazione dello zucchero.

Nonostante i progressi economici Cuba non partecipa, nei primi decenni dell’Ottocento, alle lotte di indipendenza dalla Spagna, che investono il resto dell’America Latina. Ciò perché la borghesia creola teme che neri e schiavi (il 56% della popolazione) prendano il potere in mancanza della presenza spagnola.

Ma una parte della borghesia nazionale inizia a guardare con favore  ad una possibile annessione di Cuba agli Usa, ipotesi caldeggiata anche negli Stati Uniti dalla “Dottrina Monroe” del 1823 (“L’America agli americani”, cioè agli yankees).

La percentuale di neri residenti a Cuba tocca il 58% nel 1841. Si verificano in quegli anni diverse rivolte di schiavi. Lo sviluppo dell’industria dello zucchero da l’avvio alla contaminazione tra cultura bianca e cultura nera, che diventa una delle principali caratteristiche cubane.

Nel 1848 la borghesia cubana teme che i movimenti rivoluzionari europei mettano a rischio i propri mercati. Il deterioramento dei rapporti tra Inghilterra e Spagna fa temere l’implosione dell’impero spagnolo. Ciò da forza alla tendenza annessionista verso gli Stati Uniti. Nel 1850 questi settori di borghesia organizzano una ribellione contro gli spagnoli. Contemporaneamente comincia a prendere forma un movimento per l’indipendenza nazionale di Cuba.

La prima fase della lotta per l’indipendenza di Cuba dalla Spagna (la “Guerra dei Dieci Anni”) dura dal 1868 al 1878. Questa fase è egemonizzata dalla borghesia creola ed inizia il 10 ottobre 1868, quando il proprietario terriero Carlos Manuel De Cespedes libera gli schiavi urlando lo slogan “Viva Cuba libre!” davanti a centinaia di persone. Dopodiché si mette alla testa di duecento uomini in armi.

La borghesia creola assunse questo atteggiamento indipendentista a causa del superato sistema economico che si basava sulla schiavitù e per i problemi irrisolti nei rapporti tra Cuba e la Spagna.

Nell’aprile 1869 fu varata la prima Costituzione per i territori liberati, nella parte orientale dell’isola. Tra i suoi principi: l’abolizione della schiavitù, l’elezione democratica di Presidente della Repubblica e Camera dei Deputati. De Cespedes viene eletto Presidente.

La guerra indipendentista infiamma anche il resto di Cuba e, nel 1874, Maximo Gomez guida un tentativo di liberazione della sua parte occidentale. Cespedes e altri leaders furono uccisi ma, sotto la guida di Antonio Maceo: “La lotta deve continuare fino all’abolizione della schiavitù e all’indipendenza dell’isola” (Giuramento di Baraguà). Non andò bene: Gomez e Maceo furono esiliati.

La lotta da comunque i suoi frutti: la schiavitù viene abolita ufficialmente e la raccolta dello zucchero avviene tramite lavoratori salariati. Ciò provoca la trasformazione capitalistica dell’economia cubana.

L’intellettuale Josè Martì guida la fase finale della seconda guerra di indipendenza (1895), dopo aver riunito le varie componenti indipendentistiche nel Partito Rivoluzionario Cubano. Questa agognata sintesi unitaria del movimento patriottico in una sola forza politica costituisce la base ideale della scelta del partito unico dopo il trionfo rivoluzionario del 1959: in un paese sottosviluppato e dipendente solo il popolo politicamente unito può costruire uno stato indipendente dall’imperialismo.

Josè Martì cadde in combattimento il 19 maggio del 1895. Il giorno prima aveva scritto una lettera nella quale, a proposito degli Usa, affermava: “Ho vissuto nel mostro e conosco le sue viscere”.

Prima di Martì e degli altri leaders politico-militari indipendentisti furono Felix Varela e suo nipote Josè de la Luz y Caballero gli artefici principali di una coscienza nazionale cubana e di un pensiero progressista e anticolonialista.

Dopo il trattato di pace del 10 dicembre 1898, si arriva all’indipendenza formale di Cuba. Con la firma dell’”Emendamento Platt”, che accompagna la sigla della pace (mediata dall’Amministrazione statunitense): “Cuba acconsente che gli Usa conservino il diritto di intervento per il mantenimento dell’indipendenza e di un governo stabile nell’isola”. Cuba non può firmare trattati internazionali senza l’autorizzazione di Washington e concede agli Usa l’usufrutto della base militare di Guantanamo su territorio cubano. Si da vita alla “Pseudo-Repubblica”, come viene definita dai cubani.

La bandiera nazionale è composta da: tre bande blu che rappresentano le antiche province dell’isola; due bande bianche che rappresentano la pace; il triangolo rosso il sangue sparso per l’indipendenza; i tre lati, ispirati alla Rivoluzione francese, la libertà, l’uguaglianza, la fratellanza; la stella bianca al centro la libertà conquistata dopo trenta anni di lotte (“un rubin, cinco franjas y una estrella” della canzone “Que linda es Cuba”).

 

DALLA PSEUDO-REPUBBLICA AL TRIONFO RIVOLUZIONARIO

Dopo l’occupazione militare nordamericana (1898-1902) fu proclamata la Repubblica di Cuba. Si succedono vari governi conservatori legati agli interessi economici statunitensi. Nel 1925 Julio Antonio Mella fu tra i fondatori del Partito Comunista Cubano. Per questo partito, il primo obiettivo è l’unità nazionale tra bianchi e neri come rifondazione dell’idea di nazionalità cubana. Si forma nello stesso anno la Confederazione nazionale operaia.

Mella fu assassinato in Messico ufficialmente da due sicari del dittatore cubano Machado. Va però detto che, negli ultimi anni della propria vita, questo giovane rivoluzionario fu perseguitato dalla Gpu sovietica, guidata in Messico da Vittorio Vidali (l’assassino di Andres Nin in Spagna). Mella era fautore della rivoluzione latinoamericana e questo cozzava contro la dottrina del “Socialismo in un solo paese” dell’Urss.

Dal 1925 al 1933 Cuba vive sotto il tallone della dittatura fascista di Machado, defenestrato da una rivolta popolare e militare. Il successivo governo di Grau San Martin si poneva obiettivi progressisti che andavano a cozzare contro gli interessi Usa. Dopo un semi-blocco economico dell’isola gli Stati Uniti portano al potere con un golpe il colonnello Fulgencio Batista (dietro il paravento del moderato Carlos Mendieta). I presidenti si succedono, la dipendenza dagli Usa aumenta, Batista esercita il potere effettivo.

Durante l’Amministrazione Roosevelt, Batista (Presidente della Repubblica dal 1940 al 1944) intesse buoni rapporti con i comunisti, appoggia alcune riforme sociali e una nuova Costituzione molto avanzata. Ma, con la Guerra Fredda, la situazione cambia ed il movimento operaio e popolare viene perseguitato.

La corruzione dilaga, denunciata principalmente dal progressista Partito Ortodosso.

Il 10 marzo 1952 Batista, con un golpe militare, destituisce il Presidente Prio Socarras, dando vita ad una sanguinaria dittatura di destra.

Il primo tentativo rivoluzionario contro Batista avvenne nel 1953, centenario della nascita di Josè Martì. Il 26 luglio un gruppo di giovani guidati dall’avvocato Fidel Castro, ex leader degli studenti e proveniente dal Partito Ortodosso, da l’assalto alla Caserma Moncada di Santiago di Cuba e ad altri edifici strategici della città. L’impresa fallisce ed i rivoluzionari vengono sopraffatti. Su 160 partecipanti, 70 vengono uccisi dopo la cattura, 32 processati e una quarantina riesce a darsi alla macchia.

Durante il processo Castro pronuncerà una celebre autodifesa, diventata famosa con il titolo “La storia mi assolverà”. E’ il primo manifesto programmatico della futura Rivoluzione e, secondo la storiografica cubana, il documento che ne definisce implicitamente il carattere socialista.

Per dare una risposta politica alla crescente simpatia popolare verso gli insorti, il regime indice elezioni farsa e promulga una amnistia. Gli insorti del Movimento 26 luglio si trasferiscono in Messico, da dove preparano lo sbarco armato a Cuba.

Il 2 dicembre 1956 lo yacht “Granma”, con a bordo 82 guerriglieri, sbarca sulla costa cubana. Nei mesi precedenti il Movimento 26 luglio, l’organizzazione studentesca “Direttorio Rivoluzionario” ed il Partito Socialista Popolare (nuovo nome del PC), avevano organizzato scioperi, attentati, manifestazioni, alle quali il regime aveva risposto con una sanguinosa repressione.

I guerriglieri sbarcati vengono intercettati dall’esercito batistiano. Fu una strage: solo 12 furono i superstiti ancora in grado di combattere. Con il passare dei mesi questo piccolo nucleo (“i dodici apostoli della libertà”) acquisisce nuovi elementi e supera la diffidenza dei contadini. Nel 1958 il PSP ed il Direttorio si uniscono al Movimento 26 luglio.

Contemporaneamente allo sviluppo della guerriglia in montagna si sviluppa la guerriglia urbana e, il 13 marzo 1957, il Direttorio Rivoluzionario, guidato da Josè Antonio Echevarria, assalta il Palazzo Presidenziale. Batista riesce a fuggire ed Echevarria viene abbattuto a colpi di fucile.

Nella notte tra il 31 dicembre 1958 ed il 1° gennaio 1959 Batista fugge dal paese. L’Avana, che era diventata una città casino, piena di prostitute, mafiosi e giocatori d’azzardo, si prepara ad accogliere i “Barbudos”.

 

SUI FONDAMENTI TEORICI E POLITICI DELLA RIVOLUZIONE CUBANA

Il pensiero e la vita di Josè Martì costituiscono il riferimento di fondo dell’ideologia del Movimento 26 luglio prima e del “martiano e marxista” Partito Comunista di Cuba (nato nel 1965 dalla definitiva fusione di tutte le correnti rivoluzionarie) poi.

Dal forte contenuto sociale ed antimperialista, gli scritti dell’”apostolo” Martì (scrittore, poeta, uomo d’azione) costituiscono una sintesi matura del pensiero sociale e indipendentista latinoamericano che si era sviluppato in tutto l’Ottocento. Josè Martì fu costretto, tra l’altro, ad emigrare negli Stati Uniti e, dalla conoscenza di quella realtà, trasse una chiara consapevolezza della pericolosità del nascente imperialismo Usa per la libertà e l’indipendenza degli altri popoli del continente.

Ne scaturisce un pensiero valido per le lotte di liberazione di tutta l’America Latina e ricco di indicazioni per l’emancipazione sociale delle classi subalterne.

Il profondo umanesimo della Rivoluzione cubana, l’importanza quasi maniacale data all’educazione, l’internazionalismo costitutivo del patriottismo cubano, sono un lascito del pensiero martiano.

Marxismo e leninismo, in questo quadro, costituiscono la sistematizzazione scientifica e la prosecuzione logica di una scelta di campo a favore degli sfruttati e degli oppressi che, negli anni sessanta, si inserisce nel vasto movimento anticolonialista e antineocolonialista che individua nella scelta socialista la risposta al sottosviluppo, all’esclusione sociale, all’imperialismo.

“Si può fare la rivoluzione se si interpreta correttamente la realtà storica e se, altrettanto correttamente, si utilizzano le forze che vi intervengono, anche senza conoscere la teoria. E’ chiaro che una adeguata conoscenza della teoria semplifica il compito e impedisce di cadere in pericolosi errori: purchè però la teoria  corrisponda alla verità. Parlando concretamente di questa Rivoluzione, va sottolineato il fatto che i suoi principali protagonisti  non erano proprio dei teorici, anche se non ignoravano i grandi fenomeni sociali e l’enunciazione delle leggi che li governano. Questo ha consentito, sulla base di alcune conoscenze teoriche e di una profonda coscienza della realtà, la nascita graduale di una teoria rivoluzionaria” (Ernesto “Che” Guevara, “Note per lo studio dell’ideologia della Rivoluzione Cubana”, 1960). Mi sembra che queste parole di Guevara sintetizzino chiaramente il metodo prassi-teoria-prassi seguito dai rivoluzionari cubani, che ha portato ad un’adesione pragmatica e non dogmatica al marxismo e al leninismo.

L’arringa difensiva pronunciata da Castro durante il processo contro i partecipanti all’assalto della Caserma Moncada del 26 luglio 1953 contiene le rivendicazioni principali della Rivoluzione, tra le quali la riforma agraria, la lotta all’analfabetismo, una sanità pubblica e gratuita, l’indipendenza nazionale dall’imperialismo Usa. Secondo la storiografia ufficiale cubana è qui che sostanzialmente si compie in maniera implicita la scelta socialista di Fidel. La cattolicità di molti cubani e l’influenza culturale nordamericana avrebbero reso impopolare una scelta da subito esplicitamente marxista. Questa doveva maturare nel corso della lotta e con la chiarificazione a livello di massa del vero volto del capitalismo imperialista.

Una sistematizzazione teorica del socialismo cubano è contenuta nel testo “Il socialismo e l’uomo a Cuba”, scritto da Guevara nel 1965. Vi si ripercorrono le varie fasi della Rivoluzione: presa di coscienza e azione di un nucleo guerrigliero dove il fattore individuale volontaristico era fondamentale; contaminazione tra avanguardia e mobilitazione popolare (con conseguente progressiva proletarizzazione del pensiero rivoluzionario) mantenendo e incoraggiando il ruolo fondamentale dell’individuo cosciente animato da spirito di servizio ed emulazione; vittoria militare e presenza dell’Esercito Ribelle come garanzia armata del potere rivoluzionario; mobilitazione di massa permanente in rapporto diretto e dialettico con Fidel ed il Comando della Rivoluzione, circolo virtuoso per la creazione graduale della nuova società e delle sue istituzioni; costituzione del nuovo Partito Comunista di Cuba come organizzazione di avanguardia tendente ad ingrandirsi proporzionalmente allo sviluppo culturale e politico delle masse. Tutto ciò in una ricerca continua degli strumenti e dei metodi per mantenere ed ampliare una politicizzazione e partecipazione permanente della società, trasformando questa (in tutti i propri aspetti) in una “scuola” permanente di formazione dell’uomo nuovo comunista, vittorioso sull’asservimento e sull’alienazione.

Nella sua sinteticità questo testo è molto bello ed interessante. Sicuramente condensa il meglio del pensiero teorico del “Che” e delle aspirazioni della Rivoluzione. Superato (grazie all’esperienza diretta) il periodo dell’adesione quasi acritica al “Socialismo Reale”, Guevara sviluppa qui una critica intelligente del dogmatismo nell’arte, criticando il “Realismo Socialista”; afferma inoltre che “non dobbiamo creare dei docili stipendiati ossequienti al pensiero ufficiale, né dei ‘borsisti’ che vivano al riparo del bilancio statale, fruendo di una libertà tra virgolette. Ormai verranno i rivoluzionari, che intoneranno il canto dell’uomo nuovo con l’autentica voce del popolo”.

Purtroppo, negli anni seguenti, ci furono sia gli ossequienti che i borsisti, ed era inevitabile. La mancata estensione della Rivoluzione ad altri paesi dell’America Latina ed il legame economico con Urss e compagnia favorirono una parziale involuzione burocratica e un minor spirito di ricerca nel campo artistico ed intellettuale.

Ma Fidel e la generazione di quadri provenienti dal Movimento 26 luglio, insieme allo spirito ribelle del popolo cubano, hanno contribuito in maniera decisiva a mantenere sane le radici del sistema, impedendone l’involuzione autoritaria che Mosca, ma anche alcuni settori del Partito cubano provenienti in massima parte dal PSP (come Anibal Escalante) avevano (in buona fede, perché era la loro linea politica), perseguito.

Il tanto vituperato (fuori da Cuba) partito unico è, come ho già accennato, uno dei fondamenti politici della Rivoluzione Cubana.

Nello statuto del Partito Rivoluzionario Cubano di Josè Martì si affermava che il Partito si costituisce, concretamente, per arrivare all'indipendenza di Cuba, fomentare e aiutare quella di Porto Rico; condurre una guerra generosa e breve  indirizzata ad assicurare nella pace e nel lavoro la felicità degli abitanti dell'isola; unire gli elementi rivoluzionari esistenti e coinvolgerne di nuovi, senza accordi immorali con nessun uomo o nazione, con il fine di fondare una nazione capace di assicurare la felicità dei suoi figli e svolgere nella vita storica del continente i compiti difficili che la sua situazione geografica le additava; fondare un popolo nuovo e di sincera democrazia, capace di vincere i pericoli della libertà in una società segnata dalla schiavitù; salvare il paese dai pericoli esterni o interni che lo minacciano e sostituire il disordine economico con un sistema pubblico che permetta le diverse attività dei propri abitanti.

Martì concepì e organizzò il Partito come organizzazione democratica tendenzialmente di massa, fronte unico di tutti gli indipendentisti non legati agli Usa, organizzatore della guerra, strumento politico pluralista per la gestione del futuro stato. Le diverse opzioni politiche al suo interno dovevano verificarsi nell'azione ("Fare è il miglior modo di dire").

Questo progetto fallì, il Prc post-Martì si dissolse dopo essere passato in mano a Estrada Palma, filo-Usa e primo Presidente di Cuba.

La storia della Pseudo-Repubblica, come abbiamo visto, dimostra quanto i principali partiti fossero appendici dell'imperialismo Usa e quanto la divisione dei rivoluzionari abbia inciso negativamente nella storia cubana.

Il primo Partito Comunista guidato da Julio Antonio Mella intuì l'importanza non solo della liberazione di classe, ma della necessità di rifondare la "cubanità" sulla base di un nuovo concetto di nazione, senza discriminazioni razziali e sociali.

Il concetto di patria e di patriottismo si pone in maniera diversa in un paese imperialista rispetto ad un paese oppresso dall'imperialismo. Se nel primo caso "i proletari non hanno patria", nel secondo è proprio liberando la propria di patria che si può realizzare un regime emancipato ad un tempo dall'oppressione di classe e da quella straniera.

In questo senso l'odierno Partito Comunista di Cuba è "martiano e marxista": la scelta socialista è vista come realizzazione sostanziale dell'indipendenza, della giustizia sociale e della dignità personale.

In una situazione di permanente attacco dall'esterno e con rapporti di forza internazionali favorevoli nettamente all'imperialismo, l'introduzione del pluripartitismo favorirebbe solo la creazione di gruppi politici fittizi (e controrivoluzionari) tenuti in piedi dai finanziamenti statunitensi e occidentali. Il Partito Comunista di Cuba è un'avanguardia pluralista e composita. Non è un Partito-Stato. E le istituzioni politiche di Cuba, per i loro criteri di elezione e funzionamento, permettono una concreta democrazia partecipativa.

Chi agisce concretamente per far tornare Cuba una colonia è un fuorilegge.

E' un bene che sia così.

 

LA POLITICA ESTERA DELLA RIVOLUZIONE: “CUBA PRIMO TERRITORIO LIBERO D’AMERICA”.

 

“…I proiettili morali sono un’arma di efficacia così distruttiva, che tale elemento diventa il più importante nella determinazione del valore di Cuba”. Questa frase del Che, tratta dal suo articolo “Tattica e strategia della rivoluzione latinoamericana”, pubblicato dopo la sua morte, sintetizza bene a mio avviso i principi che hanno ispirato la politica internazionalista della Rivoluzione e che continuano ad ispirarla ancora, nonostante quel che è successo nel mondo dal 1989 ad oggi: il principale apporto che Cuba, “primo territorio libero d’America”, può offrire alla causa della liberazione sociale e politica del Terzo Mondo è il suo esempio.

Un internazionalismo che affonda le proprie radici nel pensiero latinoamericanista di José Martì e nel primo programma politico del Partito Rivoluzionario Cubano, parte essenziale di un patriottismo che non è sciovinista ma, al contrario, pienamente cosciente di quanto sia interdipendente il destino di tutti i popoli oppressi e di quanto lottare per la libertà di un popolo significhi aiutare la causa di tutti gli altri. Come recitava nel 1962 la Seconda Dichiarazione de L’Avana: “Cos’è la storia di Cuba se non la storia dell’America Latina? E cos’è la storia dell’America Latina se non la storia dell’Asia, dell’Africa e dell’Oceania? E cos’è la storia di tutti questi popoli se non la storia dello sfruttamento  più spietato e crudele dell’imperialismo sul mondo intero?”

Il governo rivoluzionario cominciò subito ad aiutare materialmente le lotte di liberazione, inviando armi al Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) algerino dal 1961 ed ospitando a Cuba feriti ed orfani di guerra da quel paese. Subito dopo l’indipendenza la giovane Algeria fu minacciata militarmente dal Marocco neo-coloniale e Cuba regalò al governo del FLN armi e mezzi blindati avuti dall’Urss per la propria difesa.

Il legame politico tra Cuba e l’Algeria di Ben Bella fu molto stretto e portò a momenti di coordinamento effettivo nell’aiuto politico-militare ai movimenti anticolonialisti e rivoluzionari: “Durante uno dei suoi soggiorni ad Algeri, il Che mi fece una richiesta da parte di Fidel e della direzione rivoluzionaria cubana. Per loro non era più possibile intervenire efficacemente a partire da Cuba in aiuto alla rivoluzione armata in America Latina. Poiché Cuba era sottoposta ad una rigida sorveglianza, non si poteva organizzare nulla di serio in direzione dell’America del Sud, per inviarvi le armi ed i quadri militari che erano stati addestrati a Cuba. L’Algeria non si sarebbe potuta sostituire a Cuba? (…) La mia risposta fu ovviamente spontanea e positiva. E così cominciò immediatamente l’organizzazione delle strutture necessarie ad accogliere i movimenti rivoluzionari dell’America Latina, poste sotto il controllo diretto del Che (…) Uno stato maggiore composto dai vari movimenti si stabilì sulle alture di Algeri” (Ahmed Ben Bella, discorso commemorativo nel 20° anniversario della morte del Che; da Roberto Massari, “Che Guevara, l’uomo dal mito alla storia”).

Durò poco: nel 1965 un golpe militare destituì Ben Bella, portando al governo Houari Boumedienne. La politica algerina divenne compatibile con l’imperialismo.

America Latina ed Africa sono stati terreni di scontro tra movimenti di liberazione ed imperialismo che hanno visto un massiccio e concreto intervento politico e militare di Cuba per circa trent’anni.

Nella prima metà degli anni ’60 si sviluppano movimenti armati in diversi stati latinoamericani, dei quali il più forte è quello venezuelano. Cuba addestra sul proprio territorio i guerriglieri, fornisce armi ed assistenza di ogni tipo. Il Ministero degli Interni (MININT) cubano si dota di un “Viceministero tecnico”, guidato da Manuel Pinneiro Losada (il leggendario Barbarroja), avente il compito di aiutare i movimenti di liberazione e di indagare su eventuali tentativi di aggressione all’Isola da parte dei controrivoluzionari.

I movimenti di liberazione in Sud America vengono purtroppo soffocati nel sangue e gli unici che negli anni sono riusciti (pur senza vincere) a svilupparsi sono stati quelli colombiani FARC ed ELN. Migliore sarà la sorte del Centro America con la vittoria del FSLN nicaraguense nel 1979 e lo sviluppo di forti guerriglie in El Salvador e Guatemala. Quel che anche in quest’area è successo dopo il 1989 lo sappiamo.

L’unica guerriglia latinoamericana degli anni ’60 che sia oggi un po’ conosciuta in Europa al di fuori di circoli ristretti è quella boliviana del 1966-1967, ma solo perché lì morì il Che.

Nel suo messaggio alla Tricontinentale, noto con la parola d’ordine “creare due, tre, molti Vietnam”, Guevara teorizza la moltiplicazione degli scenari di guerra tra movimenti di liberazione ed imperialismo, allo scopo di impegnare simultaneamente gli Usa su più campi di battaglia, frazionando e indebolendo le loro forze.

In questo quadro la Bolivia era stata scelta per la tradizionale combattività del suo popolo e per la disponibilità dichiarata alla lotta armata da parte del Partito Comunista locale. Compito dei cubani doveva essere quello di attivare un piccolo movimento armato che poi i rivoluzionari boliviani di ogni tendenza avrebbero dovuto prendere in mano e trasformare in un vero esercito di liberazione nazionale.

La guerriglia in Bolivia avrebbe dovuto “incendiare” gli altri paesi del Cono Sud.

Ma la fiducia riposta da L’Avana nel Partito Comunista Boliviano si rivelò infondata. Nonostante una sua parte consistente, soprattutto l’organizzazione giovanile, aderisse onestamente al tentativo guerrigliero, la frazione guidata dal segretario Mario Monje tentò in ogni modo di estromettere i cubani dalla sua guida e di espellerne i rivoluzionari appartenenti a gruppi rivali del PCB. A ciò va aggiunta l’influenza dell’Urss sul Partito, contraria alla politica interventista de L’Avana e desiderosa di non disturbare troppo il rivale-interlocutore a stelle e strisce nel proprio giardino di casa.

A causa del sabotaggio del PCB, delle difficoltà materiali e forse anche della sopravvalutazione delle possibilità reali di successo, l’esperienza fallì tragicamente con la morte di quasi tutti i suoi partecipanti. Inutilmente si cercò di farla rivivere negli anni immediatamente seguenti.

Come abbiamo visto, l’intervento internazionalista in Africa iniziò già almeno dal 1961, ma gli avvenimenti simbolicamente più importanti sono la missione del Che in Congo nel 1965 e la vittoria cubana di Cuito Cuanavale contro l’esercito sudafricano in Angola nel 1988.

Dopo l’assassinio di Patrice Lumumba, perpetrato dagli imperialisti dietro la copertura dell’intervento militare Onu che doveva evitare la secessione della regione mineraria del Katanga, la guerra civile in nell’ex Congo-Belga continuò e si formarono gruppi guerriglieri che si dicevano eredi e continuatori dell’esperienza di Lumumba.

Guevara capeggiò una spedizione militare cubana di poco più di cento uomini, scarsamente equipaggiati, aventi il compito di addestrare i guerriglieri congolesi. Ma in realtà toccò ai primi sobbarcarsi il peso quasi esclusivo della guerra, a causa di una dirigenza “rivoluzionaria” locale più occupata a gozzovigliare nella vicina e ospitale Tanzania che a portare avanti la lotta di liberazione del proprio paese. Fra questi leaders c’era anche la buonanima Laurent Kabila, che trent’anni dopo riuscì a diventare presidente del Congo, senza differenziarsi troppo dai cleptocrati sanguinari che continuano ad infestare l’Africa.

Contro migliaia di soldati regolari belgi e mercenari sia europei che statunitensi, costantemente riforniti e avvicendati, c’era poco da fare in quelle condizioni. Il contingente cubano venne dolorosamente ritirato.

Con l’aiuto alla Guinea Bissau contro i colonizzatori portoghesi, in Etiopia contro le truppe somale di Siad Barre, in Angola contro i razzisti sudafricani ed anche in altri luoghi, l’internazionalismo politico-militare di Cuba in Africa è continuato almeno fino al 1990, anno dell’indipendenza namibiana.

L’Angola ha festeggiato quest’anno il 28° anniversario della propria indipendenza. Quando, in conseguenza della Rivoluzione dei Garofani, il Portogallo iniziò a ritirare le proprie truppe dalle colonie, si instaurarono in quasi tutti i nuovi stati (Angola, Mozambico, Guinea Bissau e Capo Verde, Sao Tomè e Principe) delle Repubbliche Popolari di orientamento marxista. L’Angola si proclamò Repubblica l’11 novembre 1975. La Repubblica Sudafricana, sia con un proprio contingente che appoggiando i gruppi armati angolani pro-imperialisti UNITA ed FNLA, tentò di invadere il paese e di rovesciare il governo dell’MPLA (Movimento Popolare per la Liberazione dell'Angola). Su richiesta di Luanda i cubani inviarono migliaia di soldati (che arrivarono a 20.000 unità nei momenti più acuti dello scontro). Per circa quindici anni il contingente militare cubano ha così garantito l’indipendenza angolana senza avere in cambio praticamente niente, neanche petrolio, (dal momento che la sua estrazione rimase sempre in mano alle multinazionali) e sacrificando migliaia di giovani vite.

Con la vittoria nella battaglia di Cuito Cuanavale, sferrata da angolani, namibiani e cubani contro le truppe d’aggressione sudafricane, viene aperta la strada all’indipendenza della Namibia ed alla fine dell’apartheid in Sud Africa.

Bolivia, Congo, Angola, Nicaragua, El Salvador. Per questi e tanti altri popoli il nome di Cuba significa solidarietà militante, disinteressata e leale.

La caduta del cosiddetto Campo Socialista ed il conseguente isolamento economico-politico di Cuba, hanno portato ad una ridefinizione della politica estera e dell’internazionalismo di questo paese.

Se negli anni ’70 l’avvicinamento di Cuba all’Urss, pur non diventandone mai un satellite, era stato certamente eccessivo e foriero di burocratizzazione interna, a partire dagli anni ’80, ma soprattutto dopo il ’90, la politica estera del governo de L’Avana ha puntato in maniera sistematica a favorire un processo di integrazione sia politica che economica dei paesi latinoamericani, cercando prima di riallacciare le relazioni diplomatiche con i nuovi governi costituzionali liberisti nati dopo il crollo delle dittature, poi appoggiando come ha potuto i vari tentativi di integrazione economica regionale che potessero portare ad una maggiore autonomia dagli Usa, come il Mercosur.

In questo quadro ritengo sia molto intelligente la politica cubana tesa a stipulare accordi di collaborazione in campo sanitario, educativo e talvolta sportivo, che il governo dell’Isola ha stipulato anche con alcuni governi non certo progressisti dell’America Latina (Honduras, Nicaragua, ecc.). Infatti una politica di questo tipo non è altro che un intervento internazionalista condotto con altri mezzi, in uno scenario geo-politico nel quale un intervento militare diretto in aiuto di qualsiasi popolo trasformerebbe immediatamente Cuba in un nuovo Iraq.

Le migliaia di medici ed alfabetizzatori inviati nel Terzo Mondo contribuiscono a liberare gli oppressi da ignoranza e malattie, sparando le pallottole più pericolose per le oligarchie: “i proiettili morali”. Gesti come regalare all’Uruguay farmaci necessari alla popolazione che il governo di quel paese si è rifiutato di comprare proprio perché fabbricati in quel paese, contribuiscono a rafforzare nell’opinione pubblica latinoamericana la contrarietà alla continuazione dell’isolamento politico-economico di Cuba nel subcontinente.

L’affermazione in vari paesi del Sud America del movimento bolivariano, che ha trovato la sua massima espressione nell’assediata ma in marcia Rivoluzione venezuelana, contribuisce parallelamente allo sviluppo concreto degli ideali di unità continentale, in una battaglia apparentemente di bassa intensità contro l’affermazione dell’ALCA, la cui entrata in vigore porterebbe la regione alla completa colonizzazione economica da parte degli Stati Uniti.

I segnali non sono incoraggianti. Il Brasile di Lula, che non ha finora fatto niente  per il miglioramento del tenore di vita del proprio popolo, sta mostrando preoccupanti segnali di cedimento sull’ALCA; il presidente ecuadoriano Gutierrez è saltato sul carro yankee non appena vinte le elezioni.

Nonostante che gli accordi economici di questi ed altri stati con Cuba aumentino, che il Brasile stia portando avanti una politica estera di amicizia con Cuba, se l’ALCA passa per l’Isola Rossa saranno guai seri, vista anche la nuova politica dell’UE nei suoi confronti, allineata a Washington.

 

L'ECONOMIA CUBANA FINO AL "PERIODO SPECIALE".

 

Con l'"indipendenza" e la nascita della Pseudo-Repubblica l'economia cubana viene monopolizzata dagli Usa e questa condizione sussiste sostanzialmente fino al 1959. Durante questo mezzo secolo la monocoltura della canna da zucchero è la caratteristica produttiva di questa economia. L'esportazione negli Usa dello zucchero venne contingentata a seconda delle esigenze dei produttori di quel paese.

I prodotti statunitensi importati a Cuba godono di un vantaggio tariffario del 20% sulle altre nazioni. Ciò stronca la concorrenza.

Il trattamento preferenziale accordato dalla "quota" allo zucchero cubano fa sì che nessun altro tipo di raccolto per l'esportazione sia competitivo.

Quindi le uniche due attività agricole rilevanti (senza considerare il tabacco) sono la coltivazione della canna da zucchero e l'allevamento di un bestiame di scarsa qualità sui pascoli che servono da riserva per i proprietari delle piantagioni di canna da zucchero.

La disoccupazione rurale porta all'inurbamento, senza una contestuale industrializzazione. Ciò determina un commercio estero di tipo coloniale, con l'esportazione di materie prime e l'importazione di manufatti.

Per molti anni la borghesia cubana, legata alle importazioni, ostacola l'industrializzazione del paese. Negli anni quaranta e cinquanta la borghesia si allea con settori manifatturieri Usa per creare industrie con impianti, materie prime, tecniche nordamericane e forza-lavoro locale. La formazione di un'aristocrazia operaia meglio pagata della parte restante del proletariato è una delle conseguenze sociali di questa "industrializzazione".

Il modo di vita, le mode, i tipi di consumo nordamericani influenzano sempre più gli abitanti dell'isola (almeno quelli che possono permetterselo).

Alle crisi economiche degli anni '50 si risponde soprattutto con l'incoraggiamento creditizio degli investimenti privati nell'industria e l'aumento delle voci di bilancio per costose e poco utili opere pubbliche.

Le industrie si dividono in due gruppi: quelle di livello tecnico alto, proprietà dei monopoli Usa, che godono dei crediti dello stato cubano; poche fabbriche cubane vetuste ed antieconomiche, i cui proprietari acquistano nuovi macchinari  Usa anch'essi con crediti dello stato cubano.

Malversazioni di fondi, arricchimenti illeciti ed aumento del debito pubblico coronano il tutto.

Nel 1958 il 25% della popolazione potenzialmente attiva è disoccupata e le importazioni coprono il 35% del reddito nazionale.

I primi problemi economici che dovette risolvere il governo rivoluzionario a partire dal 1959 furono quelli della disoccupazione e della mancanza di divise estere.

Un grosso passo avanti nella soluzione del primo problema si compie con la Riforma Agraria, che eliminò buona parte degli ostacoli che impedivano un pieno utilizzo della forza-lavoro rurale. I latifondi e le grandi piantagioni capitalistiche furono rapidamente trasformate in grandi aziende statali e cooperative. Ciò, fra l'altro, ostacolò la tendenza all'eccessivo spezzettamento della proprietà fondiaria, che non consentiva l'utilizzo di tecniche moderne per migliorare la produttività.

Uno sforzo di diversificazione delle colture, teso all'autosufficienza alimentare, si fece soprattutto in questi primi anni. Ma fu condotto in maniera troppo rapida e molto ideologica (il desiderio di eliminare la monocoltura, simbolo del neocolonialismo, con una eccessiva differenziazione), e ciò portò ad una riduzione della produzione di zucchero senza un contestuale sufficiente incremento produttivo delle altre colture.

Si ritornò alla priorità dello zucchero pur senza abbandonare i tentativi di diversificazione.

In campo industriale lo sviluppo fu notevolmente favorito dal rapido aumento della domanda creato dalla redistribuzione del reddito, dal monopolio statale del commercio con l'estero e da una politica protezionistica sulle importazioni. La carenza di combustibile, macchinari e pezzi di ricambio, causata dall'embargo Usa, fu superata tramite accordi economici con l'Urss e gli altri paesi dell'Est.

Molto importante, verso la fine della prima metà degli anni sessanta, fu il dibattito (e la sperimentazione economica) che si tenne pubblicamente su "sistema di finanziamento di bilancio" e "calcolo economico". Questo dibattito è noto semplicisticamente come alternativa tra "incentivi morali" e "incentivi materiali" nell'organizzazione socialista del lavoro. In realtà si tratta in primo luogo di due forme diverse di gestione aziendale e di rapporto tra azienda singola, aziende dello stesso settore produttivo, azienda e stato.

I sostenitori del sistema di "calcolo economico", marxisti economicisti, sono fautori di unità produttive con personalità giuridica propria, gestite in quanto tali, che dispongono di fondi propri (autogestione). Le relazioni con le banche sono simili a quelle dei produttori privati in quanto l'azienda deve presentare piani e dimostrare di essere solvibile.

Per quanto riguarda le norme di lavoro, le imprese del calcolo economico usano il lavoro regolamentato a tempo e il cottimo. Le inadempienze sono punite con pene pecuniarie.

Nel sistema del "finanziamento di bilancio" (propugnato principalmente dal Ministero dell'Industria guidato da Guevara) l'impresa è un conglomerato di fabbriche o unità di produzione che hanno una base tecnologica simile, una comune destinazione della produzione, a volte una medesima localizzazione geografica. Per esempio: tutti gli zuccherifici vanno considerati Impresa Consolidata dello Zucchero.

Il denaro opera come riflesso, in prezzi, della gestione d'impresa, analizzato dagli organismi centrali per verificarne il funzionamento.

Le imprese non dispongono di fondi propri. Possono essere fatti prelievi in banca in base al conto generale di spese e da quello speciale per pagare i salari, ma i depositi effettuati passano automaticamente allo stato.

In entrambi i sistemi il piano generale dello stato è la massima autorità ma, mentre nel "calcolo economico" c'è un decentramento aziendale e i premi economici per i lavoratori sono determinati dal risultato monetario della gestione, nel "finanziamento di bilancio" la gestione è accentrata a un livello superiore e l'incentivo monetario, pur presente, è limitato e non direttamente dipendente (dal diverso rapporto con le banche e la mancanza di autonomia aziendale) dall'andamento economico.

Per metterla sul piano teorico i sostenitori del "finanziamento di bilancio" si rifanno principalmente al giovane Marx dei "Manoscritti Economico-Filosofici" del 1844 e sono fautori dell'"atto cosciente" soggettivo come elemento fondante della transizione al comunismo. Di conseguenza la centralità dell'incentivo materiale come leva fondamentale nella produzione viene visto come causa della formazione di una "aristocrazia operaia" che tendenzialmente volge a proprio favore i rapporti di forza rispetto agli altri.

Per i sostenitori del "calcolo economico" invece l'incentivo materiale è determinante nell'aumento della produzione ed è proprio questo risultato, cioè l'aumento graduale dei beni di consumo per il popolo, che alla fine renderà inutili gli incentivi materiali e parificherà tutti verso l'alto.

Fu un dibattito questo al quale presero parte eminenti marxisti di tutto il mondo, fra i quali Mandel e Bettelheim.

Negli anni successivi furono adottati criteri misti, ma il grande dibattito economico si esaurì. Riprese parzialmente col "Processo di Rettifica" che, anche in campo economico tentò di riprendere le tematiche guevariane.

 

IL "PERIODO SPECIALE".

 

La rapida dissoluzione dei regimi politici scaturiti dalla progressiva deviazione post-rivoluzionaria dell'Urss e dalla spartizione dell'Europa in due aree di influenza nel 1945, pose fine al rinnovamento socialista degli anni ottanta e inaugurò il difficile "Periodo Speciale" che dura tuttora.

Ciò perchè, a partire dal 1990, l'Urss taglia di netto la collaborazione economica con Cuba, preceduta dai nuovi governi reazionari dell'Est europeo.

Le esportazioni cubane che, a causa del blocco economico Usa e (di fatto) occidentale, avvenivano quasi esclusivamente con gli stati del Comecon, crollano in un anno dell'83%.

Il relativo benessere di cui godevano i cubani viene rapidamente a svanire e si pone il problema non solo di salvare la Rivoluzione, ma di garantire l'alimentazione minima necessaria per i cittadini.

Tra il 1989 ed il 1993 l'economia subì un tracollo complessivo del 35% e si stabilizzò solo a partire dal 1994.

La Rivoluzione Cubana ha cercato di affrontare la crisi sulla base di quattro capisaldi: a) salvare le conquiste essenziali della Rivoluzione, a cominciare dall'indipendenza e dalla sovranità; b) non lasciare nessun cubano in mezzo alla strada; c) non fare concessioni sui principi; d) agire con il consenso della maggioranza del popolo.

La misura probabilmente più dolorosa, sia simbolicamente che (soprattutto) per le contraddizioni sociali che ha comportato, è stata l'introduzione del dollaro Usa come moneta a fianco del Peso cubano. Ma, se da un lato questa introduzione ha causato differenziazioni sociali non trascurabili tra i cubani, dall'altro bisogna riconoscere che questa è stata una scelta obbligata per rilanciare l'economia e salvare il sistema di sicurezza sociale, all'avanguardia soprattutto in campo sanitario e scolastico. Lo scenario più che probabile di una scelta diversa sarebbe stato un rapido deterioramento del sistema e la fame nera, con tutto ciò che ne sarebbe conseguito politicamente e militarmente (invasione Usa a seguito di una probabile crisi interna).

Nell'affrontare la situazione di emergenza creatasi a partire dal 1990, secondo Dario Machado Rodriguez ("La conyuntura socio-politica a Cuba" in Critica Politica nr. 12/95), Cuba ha dovuto fare i conti con tre contraddizioni: a) quella tra i propri interessi e l'imperialismo Usa; b) quella tra sviluppo delle forze produttive e i rapporti di produzione, con i secondi assai più avanzati delle prime; c) quella tra l'egualitarismo sviluppato nel paese e l'introduzione di disuguaglianze in alcuni aspetti della distribuzione del prodotto sociale e del livello di vita della gente.

Il rapido sviluppo del settore turistico e delle relative infrastrutture, è stato ed è il volano fondamentale della ripresa economica cubana post-Comecon. L'ingresso di valuta nel paese determinata da questo settore economico ha favorito una ripresa degli investimenti nell'industria, nell'agricoltura ed è il motore per il progressivo rilancio di tutti i settori dell'economia.

Tra gli aspetti negativi dell'andamento economico c'è il crollo dei prezzi di zucchero e nichel sui mercati internazionali. L'estrazione del nichel è aumentata in modo vertiginoso in pochi anni e sulla sua esportazione il governo cubano contava molto. Per quanto riguarda le piantagioni di canna da zucchero i terreni sono in gran parte in fase di riconversione ad altre coltivazioni ed i lavoratori percepiscono il salario egualmente, frequentando corsi di riqualificazione professionale.

L'estrazione del petrolio grezzo è in notevole aumento e copre il 45% del fabbisogno nazionale. Ci sono però vari problemi: questo petrolio è ricco di zolfo e richiede una accurata raffinazione; manca una rete efficiente di oleodotti (la maggior parte del petrolio è trasportata da cisterne sui treni); buona parte delle riserve sono situate in aree ad alto valore paesaggistico e quindi turistico.

Le minacce sui paesi terzi delle leggi statunitensi sui rapporti economici con Cuba, continuano ad impedire la brevettazione e la commercializzazione dei rilevanti risultati di Cuba nel campo delle biotecnologie.

Se a tutto ciò si somma la flessione del turismo registrata dopo l'11 settembre 2001, si ha il quadro di una situazione ancora precaria.

"E' Cuba che decide ciò che le conviene e dipende da noi impedire che persone indegne appariscano in affari con noi (...) E' interesse del paese mantenere una partecipazione importante nella proprietà delle imprese, anche se la legge contempla che esistano casi dove il 100% del capitale è straniero. Si tratta però di casi eccezionali perchè al paese conviene sempre mantenere una quota maggioritaria nelle imprese miste".

Questo ha affermato Fidel Castro intervenendo nel dibattito sull'economia del paese.

I lavoratori del settore statale sono tutt'ora il 67%; l'8% quelli del settore cooperativo; 10% nel privato; 8% nel settore misto. Il resto lavora nel settore "informale" o è disoccupato. Occorre tener presente che la maggior parte dei disoccupati desidera essere tale, dal momento che ha comunque diritto ad una abitazione, all'assistenza sanitaria e scolastica, all'alimentazione. Preferiscono traffici più redditizi con i turisti, ai margini o fuori della legalità.

"Molte imprese vogliono la libera contrattazione e fanno pressioni per ottenerla. Se si permette questo si creano privilegi e influenze incalcolabili (...) Esse avrebbero un'influenza tremenda sulla gente negli altri settori e imprese (...) Le possibilità che ha un imprenditore o che si stanno discutendo, non possono costituire un pericolo per il lavoratore".

Come si capisce da queste affermazioni di Fidel il problema della tutela dei diritti dei lavoratori nelle società a partecipazione straniera è ben presente nel dibattito politico cubano. E' un problema da risolvere giorno per giorno (così come quasi tutti gli aspetti della vita dei cubani da tredici anni a questa parte), tenendo presente che (per molti versi come per l'adozione della NEP in Urss nel 1921-1927) l'introduzione di elementi di economia mista nel sistema socialista cubano è un notevole passo indietro rispetto al socialismo egualitario vigente in precedenza.

Un "Termidoro" necessario, gestito dai rivoluzionari come "ripiegamento tattico" teso ad evitare lo strangolamento economico del processo rivoluzionario.

Il tutto discusso e deciso con la partecipazione fondamentale delle rappresentanze operaie e di tutto il popolo tramite i suoi strumenti di democrazia partecipativa.

Il problema resta quello di sempre: quando un regime socialista introduce opzioni economiche che portano alla formazione di fasce di popolazione privilegiate è poi molto difficile eliminare pacificamente questi privilegi una volta che la situazione lo permetta.

 

DISSIDENTI O MERCENARI?

 

Secondo la Carta delle Nazioni Unite il popolo di ogni nazione ha il diritto di scegliere liberamente il proprio sistema politico. Tramite una rivoluzione popolare, decenni di sacrifici per edificare una società diversa, da ultimo anche con un referendum popolare dove la grande maggioranza degli elettori cubani ha deciso la non reversibilità dell'opzione socialista, questo popolo ha scelto liberamente e continua a scegliere ogni giorno di vivere in un sistema che, nonostante i problemi e gli errori, è il più giusto e democratico che abbia mai avuto.

Contro questo diritto, da quarantaquattro anni gli Usa hanno imposto a Cuba un ferreo blocco economico, finanziario, commerciale, aggressioni e azioni terroristiche, seicento piani di attentati, alcuni dei quali realizzati (come la bomba su un aereo passeggeri cubano che nel 1976 causò 73 morti), sabotaggi, diffusione di epidemie, 3478 tra morti e invalidi permanenti a seguito di atti di terrorismo:

Un paese a 90 miglia dagli Usa, senza una forte coesione interna, non può reggere una simile pressione.

E quando si parla di repressione politica a Cuba bisogna tener presente prima di tutto questo contesto. In molti stati, anche europei, si dichiarerebbe lo stato di assedio e la legge marziale per molto meno.

Le Amministrazioni Usa che si sono succedute hanno cercato in tutti i modi di fabbricare a Cuba un'opposizione interna ai propri ordini, che rispondesse direttamente ai propri interessi economici e politici, allo scopo di provocare una situazione che favorisse un intervento militare diretto ed il ritorno alla Pseudo-Repubblica, se non ad una annessione di tipo portoricano. Per realizzare (fallendo) ciò, hanno utilizzato leggi promulgate ad hoc, finanziamenti, stimoli, servizi segreti.

Un salto di qualità nell'organizzazione di questo lavoro è stato fatto con la nomina di James Cason a responsabile dell'Ufficio di Interessi Usa (SINA) a L'Avana. Cason (e quindi l'Attuale Amministrazione) si è subito posto il problema di unificare i vari gruppuscoli controrivoluzionari intorno a obiettivi comuni. Organizzazione di viaggi all'estero, premi internazionali, ecc. rientrano in questa attività di manipolazione dell'opinione pubblica tesa a convincere dell'esistenza di una divisione politica all'interno della società cubana.

Finanziamenti anche in natura, come generi alimentari e medicine, servono per tentare di far diventare i "dissidenti" punti di riferimento per una popolazione che subisce l'embargo.

Molti di questi individui godono di un permesso permanente di ingresso al Sina e Cason ha organizzato nei primi mesi di quest'anno numerose riunioni, perfino nella propria abitazione, fondando "partiti liberali" e cose simili.

Come reazione, il governo cubano decide l'arresto, a metà marzo, di decine di questi mercenari, che ricevevano denaro e davano informazioni tese a far applicare il blocco e la legge Helms-Burton, che hanno cercato di dare credibilità alle motivazioni Usa per la condanna di Cuba a Ginevra chiesta dagli Usa.

Il 19 marzo 2003, subito dopo gli arresti, inizia una serie di dirottamenti di aerei e imbarcazioni cubani verso gli Stati Uniti. i dirottatori contano sulla "Legge di Aggiustamento Cubano", che concede la cittadinanza Usa e un lavoro a qualsiasi cubano metta piede sul suolo statunitense. Ciò nonostante gli accordi migratori del 1994 tra i due paesi prevedano la lotta contro l'emigrazione illegale da Cuba verso gli Usa e la concessione annuale di 20.000 permessi di ingresso da parte dell'Amministrazione a stelle e strisce.

Questo accordo non è stato rispettato e i visti di ingresso tra il 1° ottobre 2002 e il 28 febbraio 2003 sono stati solo 505.

Perche? Evidentemente per incoraggiare l'emigrazione illegale.

A seguito di processi "sommari" a 75 arrestati nel mese di marzo sono state comminate pene tra i 6 e i 28 anni di carcere. Il processo "sommario" (da noi chiamato per direttissima) prevede la riduzione dei tempi di esecuzione del processo. E' previsto dalla legislazione di 100 paesi (Usa compresi) e a Cuba è eredità del periodo coloniale.

Dei 54 avvocati della difesa solo 10 erano designati d'ufficio. i tribunali giudicanti erano ordinari e non costituiti ad hoc; le udienze erano pubbliche. Nessun detenuto è stato messo in isolamento per impedirgli di concordare con altri imputati la propria difesa.

C'è una bella differenza con i Tribunali Militari Segreti degli Usa ed i loro desaparecidos legalizzati!

Si è detto che è stato condannato il fior fiore dell'intellettualità cubana. Ebbene: su 37 giornalisti indipendenti dichiarati solo 4 erano laureati in giornalismo o sono stati giornalisti.

In realtà erano "giornalisti" in quanto pagati dallo Zio Sam per scrivere "testimonianze" sul Bau-Bau comunista Fidel Castro e sulla sua "dittatura"; per difendere la giustezza del blocco.

Le condanne non hanno punito idee, ma atti tesi a danneggiare l'economia cubana propugnando l'inasprimento dell'embargo e sostenendo con le proprie azioni la politica Usa verso Cuba. Il tutto adeguatamente finanziato dalla SINA.

Qualsiasi legislazione, in primis quella Usa, punisce chi agisce in accordo con uno stato straniero a detrimento dell'indipendenza e dell'integrità del proprio stato.

Ma alla parte maggioritaria della "sinistra" italiana ciò non interessa. Ridotta ad una cupola di magnaccia e caporali (nella sua parte governista) e di invertebrati che navigano a vista nella sua parte cosiddetta alternativa, vede Cuba come il fumo negli occhi.

Osserviamo quindi da una parte l'agglomerato politico-affaristico denominato "Democratici di Sinistra" che si fa paladino della liberazione dei condannati e che si vanta pubblicamente di appoggiare anche monetariamente l'opposizione cubana. Dall'altra assistiamo alla spaccatura del capello in quattro da parte di quella confezione di molluschi surgelati denominata "Rifondazione Comunista", che è tanto amica della Rivoluzione ma...

In questo panorama desolante stupisce positivamente la posizione coraggiosa e ferma che (per una volta), ha tenuto il Partito dei Comunisti Italiani. Da chi è rimasto nel governo durante la guerra di aggressione alla Jugoslavia era legittimo non aspettarsi tanta fermezza. Al di là delle sue motivazioni ha costituito un fatto molto importante nel dibattito politico italiano e un aiuto non indifferente per Cuba.

Per tornare ai dirottamenti avvenuti dopo gli arresti (e che quindi non sono in relazione con essi), la fucilazione di tre dei dirottatori di una imbarcazione è il fatto che ha suscitato più scalpore. La campagna internazionale controrivoluzionaria che aveva tratto spunto dagli arresti si è così amplificata a dismisura ed ha provocato anche l'allontanamento dalla Rivoluzione (non aspettavano altro?) di intellettuali come Saramago e di politici come Ingrao.

Anche all'interno della sinistra rivoluzionaria internazionale il dibattito è stato aspro e spesso serio e motivato.

Ma il punto di vista di un popolo assediato non è lo stesso di quelle forze politiche e di quei compagni che vivono in una situazione diversa e possono quindi permettersi una (giusta) petizione di principio contro la pena di morte.

Occorreva inviare un segnale ben preciso all'Amministrazione Bush e alla "opposizione" interna che non sarebbero stati tollerati atti tendenti a creare un casus belli  con gli Usa, a cominciare da un blocco navale apertamente minacciato dal vicino del Nord. Giustiziando tre delinquenti si è evitato un bagno di sangue ben maggiore, scongiurando il tentativo in atto di creare una crisi e di militarizzarla.

Il problema è risolto? No. La lotta continua. E la difesa di Cuba rivoluzionaria non è solo un imperativo etico per noi, ma una necessità politica di fronte ai tentativi di cancellare non solo de facto ma anche de iure ogni tentativo di realizzare concretamente una società intrinsecamente giusta e solidale.

 

info@siporcuba.it

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