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Cuba: andata e ritorno

di Gloria Malaspina

 

Si arriva a Cuba in un modo e si riparte in un altro. Mi spiego: si arriva a Cuba pensando di sapere più o meno tutto e si riparte con la consapevolezza di avere ancora molto da capire. In più, se si è avuta la fortuna di poter vedere anche un po’ più in là della superficie – capire meglio alcune caratteristiche ed implicazioni della realtà cubana, o parlare direttamente, al di là del “protocollo”, con alcuni dei compagni che abbiamo conosciuto e vivere con loro alcuni momenti di svago – resta anche dentro una specie di “mal di Cuba” (almeno, a noi cinque è successo), che ci fa già programmare un prossimo ritorno. Bruno, Gloria, Maria Antonietta, Mario e Stefano: con qualche ansia sul filo di lana della partenza, dovuto a un paio di ritardatari causa traffico verso l’Aeroporto, partiamo caricati dalla curiosità e, anche, un po’ in attesa di diventare “delegazione ufficiale”. Il viaggio, nonostante duri undici ore, passa senza noia e non sembra neanche così lungo: ben altro sarà al ritorno, un po’ perché nessuno aveva voglia di partire, un po’ perché le notti sono state lunghe, a Cuba, e il riposo breve.

L’arrivo in un aeroporto, il José Martí, la cui scritta di benvenuto fa riferimento all’uguaglianza sociale, già di per sé dà una strana sensazione: siamo in un altro mondo, se questa è l’accoglienza. Scendiamo e inizia il protocollo: ci accolgono, saltiamo tutte le procedure di sbarco (quanto era da verificare è già stato verificato) e con un pulmino ci portano a La Habana, in una casa per ospiti, protetta, dove faremo anche colazione, pranzeremo e ceneremo, se il programma non prevede diversamente.

         La città mi dà una sensazione particolare: non me ne ero fatta un’idea e avevo volutamente evitato di guardare guide. Così, non so ancora se mi piace o no. Mi impressiona un po’ qualche area urbana per il degrado discontinuo di alcune case di abitazione e non sono preparata a vedere il tipo di trasporto che c’è: le macchine e i macchinoni degli anni ’50, con i colori più improbabili per una produzione, perché riverniciate chissà quante volte; autobus degli anni ’40, ’50, ’60 e ‘70 di tutti i tipi e provenienti da tutte le “tradizioni” europee e nordamericane; carretti trainati da cavalli attrezzati per il trasporto di almeno sei persone (che saranno molto più frequenti nelle altre provincie); bici per trasporto di persone modello “Rimini”, ma non così moderne; sidecar come se piovessero; camion tipo militare per il trasporto merci utilizzati come autobus; camion da ortofrutta (quelli con le spallette) usati anch’essi per portare le persone; biciclette non certo da cross, né da corsa; qualche rara moto o lambretta…Una sarabanda pittoresca e povera, ma vivace, di mezzi tante volte risistemati e passati di mano in mano, con qualche mezzo moderno e qualche auto di marca europea e fabbricazione recente che, però, sapremo poi essere quelle delle imprese.

         Imparerò molte cose, ma per ora sono sconcertata e l’insieme de La Habana sembra il terreno utile alle scorribande e alle speculazioni propagandistiche contro Cuba, sulle condizioni di ristrettezza e difficoltà in cui il popolo cubano vive, che gli Usa, per primi, ma pochi per ultimi, portano avanti.

         L’impatto con la casa che ci ospita è positivo: si trova in un quartiere più moderno e non centrale, con aspetti di residenzialità più simili alle nostre buone periferie. Stanze grandi, belle, con il bagno. Verde tutt’intorno (che, però, è una caratteristica diffusa). Mi sistemo. Intanto, sta finendo questo giorno dell’arrivo ed è quasi ora di andare a cena, per poi uscire con un taxi (non è previsto nulla) e andare al centro.

         La cena è uno spasso, perché nessuno degli altri è abituato a vedersi servire la frutta (tropicale, con la guanagua che la fa da padrona, ananas e banane) come antipasto, il secondo come primo comprensivo di contorno e il primo come contorno, né a vedersi servire le banane – quelle verdi fuori e gialle dentro, ma non sanno che sono un ortaggio – come contorno…scherziamo e mangiamo: tutto molto buono.Al centro in taxi con 6,00 euro…circa da C.so d’Italia a Piazza Venezia, solo che il percorso è almeno otto volte tanto. Due passi e poi in Piazza della Cattedrale, bellissima. Un bar con musica dal vivo, all’aperto, cubana, naturalmente, e meno male! Ci sediamo e partiamo con i mojitos, qualche dolce e tanti cagnetti…Cuba è piena di cagnetti, tutti di taglia piccola. Ci godiamo una mezz’ora agitandoci sulla sedia al ritmo della loro musica e l’unica nota sgradevole è stata l’arrivo di un viscido 70enne con due belle ragazze (20 anni?) che si è seduto al tavolino vicino al nostro, ostentando sicurezza, familiarità e quattrini: siamo già dalla parte dei cubani, a prescindere dalla politica.È molto bello questo mescolio delle razze e le persone di pelle scura sono mediamente più belle delle altre. Andiamo via e giriamo un po’ per le stradine…buio e pozzanghere (abbiamo avuto, stasera, il benvenuto anche del temporale tropicale per un’ora nel tardo pomeriggio). Brancoliamo di tanto in tanto, ma in linea di massima dovremmo riuscire a raggiungere la piazza per riprendere il taxi. Infatti, ce la facciamo.Con varie peripezie relative alle chiavi di ingresso, delle quali una non apre (per fortuna è quella che porta alle stanze di Bruno, Mario e Stefano), riusciamo ad andare a letto…È l’una e, giacché qui siamo sei ore indietro col fuso orario, siamo svegli da trenta ore…

23 settembre

Comincia il viaggio attraverso la realtà cubana e il Partito Comunista di Cuba, con una buona guida che è Yamila Pita Montes, Comitato centrale del Pcc e responsabile per il Dipartimento Esteri dell’area europea che comprende il nostro Paese. Dopo una colazione-shock per Bruno e Stefano, che non si aspettano prosciutto, formaggio e uovo di prima mattina, vogliono il caffelatte (che comunque portano) e salgono a prendere le ciambelline che Bruno ha portato da Albano, ci avviamo all’incontro previsto questa mattina con Oscar Martinez Cordovés, vice-capo del Dipartimento dei Rapporti internazionali.

         Approdiamo – è il caso di dirlo – alla grandiosa Piazza della Rivoluzione - ci entreranno almeno due milioni di persone – con i Ministeri, il Consiglio di Stato (ossia, il Governo) e il Comitato centrale del Partito Comunista cubano. Quasi al centro della Piazza, il Mausoleo di Martí, che è il padre spirituale della Rivoluzione cubana e che vedremo più tardi: bellissimo, anche all’interno, con mosaici italiani, è l’edificio che, essendo su una collina di trenta metri, offre la vista più dall’alto dell’Avana. La Piazza è molto verde, come del resto tutta la città. Sul Ministero degli Interni campeggiano, a tutta facciata, i contorni del viso del Che, che degli Interni è stato Ministro dopo la vittoria rivoluzionaria e sul palazzo accanto, il Ministero della Difesa, mi pare, le cinque immagini giganti degli attuali prigionieri cubani negli Usa. Foto a tutto spiano…

         Entrare nel palazzo del Comitato Centrale del PCC è piuttosto emozionante e, fra l’altro, notiamo che la “lift” dell’ascensore ha una postazione davanti alla pulsantiera con sedia, poggiapiedi e ventilatore disposto strategicamente verso di lei. Un po’ di qualità della vita, anche in ascensore. Oscar Martinez si rivela essere un uomo notevole, per la capacità di esprimere con estrema chiarezza e lucidità la situazione cubana, interna ed internazionale. La nostra conversazione spazia dalle relazioni Usa-Europa e dalle riflessioni sui diversi – e contraddittori – livelli di interdipendenza, alla situazione economica strutturale di Cuba, alle politiche programmate di sviluppo dei singoli settori, con la chiara evidenziazione delle difficoltà, allo stato del Partito e della società civile, alla dimensione sociale della politica cubana verso la popolazione, agli indicatori – notevoli – degli interventi su istruzione e scuola, alimentazione, sanità, assistenza, sviluppo scientifico. Il piano per l’istruzione, ad esempio, prevede obiettivi concreti in via di realizzazione, che tengono insieme la funzione educativa culturale della scuola a quella sociale: non più di venti bambini per classe, quindici alle superiori; programmi interattivi; ogni scuola è dotata di televisore, pc e programmi di software educativo prodotti a Cuba, dove si sta sviluppando una buona ingegnerizzazione del sistema informatico e sta crescendo una generazione di informatici, dati alla mano. Nelle scuole dove ci sono da uno a quattro bambini (realtà limitate, ma esistenti nelle montagne a sud) e l’elettrificazione tradizionale è problematica, si provvede all’energia con i pannelli solari. A scuola, poi, viene impartita una forte e coerente educazione alla salute, a partire da quella alimentare.

Ricaviamo un’immagine di grande fatica e di grande progetto, di tensione verso le radici del socialismo, di lavoro vero verso il livellamento delle opportunità, di grande dignità culturale, teorica anche, e di una condizione di eccellenza per le ricerca scientifica, soprattutto medica e biomedica. Già lo sapevo, ma sono eccezionali nell’ambito delle neuroscienze, delle tecnologie cliniche avanzate, nella ricerca e applicazione farmaceutica. In questo primo incontro, ahimé, viene fuori il fatto che parlo lo spagnolo: elemento che mi renderà, per una serie di circostanze sfortunate relative alla comunicazione, una specie di apripista nel “rilancio” della discussione, dopo l’intervento del nostro ospite di turno e la prima risposta del nostro capo-delegazione (che, per varie situazioni di simpatica autoreferenzialità, sarà da noi soprannominato “Sua Santità”, per felice intuizione di Bruno).

         Una cosa posso dirla già da ora, perché se ne tenga conto: mano a mano che si succedevano gli incontri e le conversazioni, la nostra partecipazione alla discussione era sempre più attiva e curiosa, perché la visione della realtà cubana e degli intrecci delle problematiche ci metteva via via in grado di interloquire con dei commenti su di loro e di proporre una lettura della nostra realtà utilizzando i loro punti di riferimento, per renderla più comprensibile al di fuori dei nostri schemi, mentali e culturali. Ci lasciamo temporaneamente con Martinez, che ci ospiterà a pranzo, quando riprenderemo con lui la discussione sulle diverse interpretazioni politiche di eventi internazionali, per visitare il Mausoleo di José Martí, al centro della piazza, assolata. Strani uccelli, come piccoli avvoltoi, girano alti nel cielo: ce ne sono molti e offrono uno spettacolo singolare. Il pranzo è ottimo, preceduto da un aperitivo e servito con attenzione e professionalità alta. L’aragosta mi crea qualche problema, perché non mangio animali uccisi con crudeltà, ma mi impongo di fare finta di niente e la finisco in un tempo record, per non pensarci più. Salutiamo Oscar e ci avviamo al secondo incontro della giornata. Il pomeriggio del 23 incontriamo la Segreteria nazionale della Gioventù comunista di Cuba, l’Unione della Gioventù Comunista (UJC), nella persona di Enrique Dìaz, responsabile delle Politiche sociali, con due compagne funzionarie del suo ufficio. Scopriamo due cose: che Enrique è un ragazzo pieno di entusiasmo, curioso, assolutamente convinto dell’impegno che gli è affidato e che la Gioventù comunista a Cuba porta davvero avanti politiche rivolte ai giovani, effettivamente delegate loro, nell’operatività e nello sviluppo possibile, dal Partito (pare che Enrique sia un ragazzo molto promettente, il cui lavoro è apprezzato da Fidel): insomma, non fanno “promozione” della politica tra i giovani, ma attuano le iniziative sociali che da essa conseguono. Ci siamo soffermati in particolare sul ruolo della UJC per la formazione dei “lavoratori sociali”, che sono i ragazzi e le ragazze impegnati nella realizzazione dei programmi sociali definiti nel quadro delle politiche di consolidamento e di sviluppo del sistema cubano. “La battaglia delle idee”, che sembra uno slogan un po’ abusato, qui è un vero e proprio programma attuativo delle politiche individuate nel medio periodo, sia nei confronti delle scelte interne, che estere. Per esempio, si sta lavorando sui giovani “drop out”, diremmo noi, tra i 16 e i 20 anni, per recuperarli alla vita sociale attiva. Partendo dal rapporto tra livello culturale (che implica scolarità, relazioni familiari e sociali in genere, lavoro) e tipo di delitto – non ci sono omicidi, ma solo furti, appropriazioni indebite, liti, piccole truffe – si sono individuati dati e linee di tendenza possibile per un vero e proprio programma di recupero, attraverso un tutoraggio da parte dei giovani “avvantaggiati” nei confronti di quelli svantaggiati, con l’obiettivo di tirarli fuori dalla loro condizione, farli studiare e dare loro un salario, con corsi pomeridiani. Nella valutazione, si pone la massima attenzione ai progressi, piuttosto che al successo individuale complessivo in un tempo dato. Dal punto di vista del metodo, non si lavora per statistiche e campionamenti, ma si personalizza l’intervento sulla popolazione e si “contano” le persone coinvolte, valutandone la mutata condizione. Questo progetto ha anche trovato una sponda importante nel programma educativo (scolastico), per l’ampliamento delle opportunità culturali attraverso software informatici e trasmissioni televisive su tutto l’arco delle discipline, comprese quelle artistiche, che a Cuba rivestono una grande importanza e sono seguite con molta attenzione: sono 779 le scuole medie all’Avana che seguono programmi artistici specifici. Parliamo con Enrique anche dei rapporti tra Partito e rappresentanza istituzionale, formandoci l’idea di un sistema complesso, necessariamente diverso – nel processo elettivo – dal nostro, che è pluralista nelle espressioni partitiche: e tuttavia esiste una separatezza reale tra Partito e percorso elettorale, effettivamente riservato ai diversi livelli elettivi della rappresentanza popolare. Questo non vuol dire che tra gli eletti non vi siano persone importanti, a livello locale, del Partito, ma solo perché evidentemente esse rappresentano un affidamento per chi le elegge in una posizione istituzionale e non di Partito. È un po’ complicato, per noi, da afferrare bene e un qualche grado di scetticismo ci resta dentro, anche se colloqui successivi contribuiranno a farci comprendere meglio le relazioni e il rapporto della popolazione con i livelli istituzionali, che partono – praticamente – dal caseggiato, considerato istanza elettiva.

Salutiamo Enrique e le due compagne che erano con lui, lasciandoci con l’intenzione di rispondere all’appello che a dicembre la UJC lancia ai partiti comunisti per la formazione di “brigadas” di giovani - che vanno a Cuba per conoscerla e per impegnarsi in programmi politico-sociali - a cominciare dai nostri figli (qualcuno fra noi ha figli diciottenni), dal momento che, fin qui, ci siamo convinti che faccia bene alla salute morale conoscere questa realtà.

La giornata non è finita: ci incontriamo alle 17.30 con l’Icap (l’Istituto per l’amicizia tra i popoli), nato nel 1960 per canalizzare il lavoro di solidarietà per e da Cuba. Sono circa 2000 le organizzazioni con le quali si sono stabiliti rapporti, in 130 Paesi, molti in Europa. Il ruolo dell’Istituto nell’Unione europea è importante, per la solidarietà a Cuba e sono circa 92 i “circoli” costituiti direttamente su iniziativa dell’Icap: le Associazioni Italia-Cuba sono figlie di questa politica. Ragioniamo insieme su quali potrebbero essere gli obiettivi e i canali di informazione per stimolare l’attenzione e la comprensione della realtà cubana di fronte all’assedio del mondo, anche sollecitando iniziative dai risvolti economici, che alleggeriscano un po’ il peso dell’embargo – feroce e senza fine – da parte degli Usa. L’impressione che ne ricavo è di preoccupazione e mi coglie una tristezza profonda: Elio Rodriguez, il Direttore per l’Europa dell’Istituto, è un uomo mite e consapevole delle difficoltà e dei danni che la “doppia morale”, introiettata come lente per leggere i rapporti politici all’interno dei Paesi e che vede tanta differenza se si giudica Cuba o se si giudica un altro paese (la Turchia? La Bolivia? Gli stessi Usa?) per la sua politica interna, sta facendo riguardo la percezione del suo Paese dall’estero, grazie anche alla pigrizia intellettuale e morale (dico io) della gente occidentale. Ma tant’è: l’importante è continuare a lavorare per informare e controinformare, per dialogare e sostenere le opportunità di sviluppo dello Stato cubano. Si è fatta sera. Torniamo a casa, un po’ frastornati, ma con l’idea di uscire dopo cena. Siamo stanchi, ma non vogliamo perderci il tempo di questa visita. Ci capiteranno un po’ di cose: un bellissimo ragazzo nero (promoter di un locale di recente apertura) ci proporrà di andare a bere qualcosa e ci accompagnerà in un palazzo ducale (ex), bellissimo, dove daremo seguito ai nostri mojitos e daiquiri. Poi, in una piazza centrale, una cubana riuscirà a farmi comprare per il suo bambino del latte in polvere in un negozio dove accettano solo dollari (ne spenderò trenta, per cinque buste), tenendo presente che un dollaro vale 29 pesos cubani e che un salario medio è di 12 dollari…va, ovviamente, considerato che tutta la spesa sociale è gratuita (sanità, scuola, assistenza e alimentazione scolastica), che le auto non si possono comprare sul mercato del “nuovo”, per non gravare sul consumo di carburante (poi conosceremo nel particolare la questione), ma solo da altri privati (in modo che non aumenti il parco circolante) o solo, ex novo, da parte delle aziende, che ne hanno bisogno per il lavoro. A mezzanotte, dopo aver comprato dei dolcetti per Bruno, che però mangeremo tutti, la mattina dopo, Bruno ed io ce ne torniamo a casa in taxi, mentre gli altri accetteranno la proposta di due ragazzi, di andare in un locale dove si balla con musica dal vivo. Con un piccolo stratagemma, risolveremo il problema “chiavi”….

24 settembre

La mattinata ha inizio, dopo una colazione abbondante, con l’incontro al Comitato provinciale del Partito di Città dell’Avana con Alfredo Roque, membro della Segreteria. L’obiettivo è quello di conoscere la Provincia, nelle sue caratteristiche sociali e produttive, e di avere informazioni generali sul lavoro del partito a livello provinciale. Anche da questo incontro, emerge una realtà più viva e complessa di quella che si immagina a prima vista e, soprattutto, più profondamente tesa a migliorare condizioni sociali ed economiche della città e della provincia. In pratica, viene ripresa tutta la base di riflessioni qualitative e quantitative che abbiamo ascoltato nell’incontro con Martinez, declinate nelle specificità – e nelle difficoltà – della grande città-capitale e della sua provincia. Il quadro di insieme che ne ricaviamo dà subito la dimensione di come, a differenza di molte situazioni che viviamo nella realtà italiana, lo sforzo che si fa e i progressi che si rilevano sono omogenei su tutto il territorio provinciale, fatte salve alcune specificità che impegnano a concentrarsi sull’Avana. Alcuni dati, che danno la dimensione della situazione e, allo stesso tempo, dello sforzo per superare continuamente le condizioni negative, sempre tenendo d’occhio sia un progresso globale per la popolazione, sia le basi nuove che questi miglioramenti gettano per il radicamento del socialismo e l’avanzamento del processo rivoluzionario, visto – appunto – come processo e non come conquista definitivamente consolidata. Una densità di abitanti di 3000 per kmq., il 16% della popolazione che supera i 69 anni di età, il 99,8% di abitazioni con l’elettricità, il 29,8% dell’acqua che proviene da acquedotti, il 4% di disoccupazione (contro l’8-10% dell’America Latina). Se è vero che “le idee possono più delle muraglie di pietra”, si può dire che la provincia dell’Avana (e l’intera Cuba) vivono senza confini materiali, dato il progresso realizzato in pochi anni, dopo il terribile “periodo speciale” seguito al 1989, in cui tutto è stato ridefinito daccapo in quanto a capacità di autosufficienza, a seguito della fine del socialismo sovietico e l’inasprirsi, di fatto, dell’embargo di materie prime, prima fra tutte il petrolio (che era interamente importato dell’Urss) e degli investimenti stranieri a Cuba. Il principio dell’importanza di far conoscere e informare la popolazione sulla situazione reale è una leva importantissima, per la ricerca di consapevolezza, al fine di garantire la rivoluzione attraverso un gruppo dirigente continuamente impegnato nella formulazione e nell'attuazione di programmi e piani di consolidamento di un’economia propria e di eguaglianza sociale, segnata dal criterio e dalla ricerca delle “pari opportunità”. Così, poiché l’aumento delle pensioni è insufficiente, si fa in modo che 35.000 anziani abbiano una rete di sostegno attraverso i municipi, che provvedono alla loro nutrizione, ad esempio. Naturalmente, le politiche economiche passano per il sostegno specifico e marcato ad alcune produzioni (quella del latte, per citarne una, che costa più di quanto non sia il prezzo di vendita): quindi, sostegno diretto e indiretto, alla persona e alla produzione. In realtà, a ben guardare, non esiste paese che abbia fatto un intervento simile a sostegno delle persone: quello sulle disabilità, a partire dalla ricerca sulle cause di alcune patologie neonatali o genetiche; per l’alimentazione, quale condizione di base da garantire a tutti; sui giovani non impegnati nello studio e nel lavoro, seguiti per l’inserimento sociale attivo. Sul terreno dell’apparato produttivo, poi, ci sono molte cose da dire e molte riflessioni da fare, considerando che esse si inquadrano essenzialmente sulle riconversioni economiche e sulla ricerca di relazioni internazionali. Il processo di miglioramento delle imprese, nel senso del perfezionamento produttivo e dell’ottimizzazione delle risorse impegnate in direzione dell’efficienza, che riguardi il mercato, la contabilità economica e finanziaria, la qualità di processo e di prodotto, la competitività possibile sui mercati esteri, quali chiavi di volta per sostituire l’import con l’export, assicurando circolazione monetaria delle valute e, quindi, risparmio bancario, è un macroindicatore del sistema e del suo orientamento…Insomma, un quadro ricchissimo e ponderato di progetto e di iniziativa che ci ha appassionato, nella discussione, fino a farci ragionare con loro sul sistema possibile di contabilizzazione nel Pil dei costi sociali sostenuti. Sì, perché ci sembrava di partecipare al loro sforzo e ci sentivamo coinvolti nella ricerca delle soluzioni…mi spiace dirlo, ma quasi con più entusiasmo che a casa nostra. Ci siamo lasciati con Roque e, dopo aver pranzato lautamente a casa, siamo andati a visitare un “organopónico”, dove si producono vegetali in grado di garantire l’autosufficienza alimentare di verdure a L’Avana e, contemporaneamente, inserire nella dieta dei cubani, appunto, le verdure, dato che sono abituati solo agli ortaggi. Il problema nasce dal fatto che i vegetali, coltivati nei campi, non arrivano facilmente sulle tavole perché il trasporto dalla campagna costa: così, lo Stato ha pensato bene di prendere due piccioni con una fava, abituando la popolazione ad un consumo alimentare sano e – allo stesso tempo – individuando un meccanismo di autosufficienza produttiva per evitare il dispendio di carburante nel trasporto dalle campagne alla città. Il suo responsabile è un militare in pensione e i 18 lavoratori occupati sono quasi tutti pensionati con una pensione bassa, che si dividono – al netto del reinvestimento produttivo – il ricavato, con un sistema cooperativo (vero). L’estensione è di 0,9 ettari e produce 12 quintali di verdure a raccolto. Il responsabile, apparentemente burbero, si dilunga con piacere a spiegarci le caratteristiche delle colture e le varietà delle specie (di basilico, ce ne sono tre, con sfumature diverse di aroma, una delle quali a noi sconosciuta) e quando andiamo via ci darà volentieri un bacio di saluto, dopo aver fatto – Antonietta ed io – una foto su un sidecar (mito!), con soddisfazione e curiosità da parte dei lavoratori, che erano in pausa per il pranzo. Poiché abbiamo quattro ore di tempo, decidiamo di farci lasciare nella piazza centrale, dove c’è un mercato permanente (tranne la domenica e il lunedì) che vende di tutto: Antonietta, Bruno ed io mangiamo qualcosa in un chiosco dove preparano alcuni piatti e si può mangiare sotto un pergolato, mentre Mario e Stefano si lanciano nelle spese. Mangiamo bene, serviti da un cameriere che studia Italiano e Tedesco all’Università ed è contento di esprimersi nella nostra lingua. Quando arrivano Mario e Stefano, che si uniscono a noi, dopo aver dato metà del gelato ad un cagnetto che ci girava intorno e un dollaro qua, un dollaro là a qualche vecchietta che ci aveva bene individuato, è il nostro turno per avventurarci nel mercatino…non è un modo di dire, si tratta davvero di un’avventura. Quello che abbiamo comprato (i prezzi sono buoni) non interessa nessuno, ma il colore e il rapporto con i venditori è davvero singolare. A parte un affollamento incredibile tra le file dei banchi e il conseguente, insopportabile caldo – che ad un certo punto ci farà fuggire, ignorando una delle file del mercato – le attrattive sono molte: si vende di tutto, da oggetti artigianali coloratissimi e di vario genere, a borse, scarpe e oggetti di pelle, monili di corallo nero e di tartaruga, sigari, camicie – quelle caratteristiche, che indossano tutti i membri del Partito che abbiamo incontrato – abiti e abitini per bambine fatti con filati e uncinetti, amache, lampade da tavolo, oggetti di legno, maracas,…insomma, di tutto. C’è pure la simpatica parentesi di un bel tipo, un mulatto che vendeva oggetti artigianali, che – piuttosto che vendermi qualcosa – ha deciso che lo interessavo. Dal momento che, accettando la sua insistenza come uno scherzo, me ne sono andata, è sbucato sul retro del suo banco quando sono passata dall’altro lato e mi ha passato un biglietto con l’indirizzo, invitando me e i miei amici ad una festa. Nel biglietto, come indicazione per trovare la strada, c’era scritto “entre animas y virtudes”, ossia “tra passioni e virtù”…capita, a Cuba, senza troppi problemi. La gente è anche spiritosa. Appena finito il nostro giro, tornate al pergolato per bere qualche cosa, si è scatenato il classico temporale tropicale, con acqua a non finire. Tutti ammucchiati intorno al tavolino, siamo diventati in poco tempo il bersaglio di un paio di ragazzi che volevano venderci sigari e rum (veri, di fabbrica), andandoceli a prendere non so bene dove. Tra una contrattazione e l’altra – prezzi, orario, ecc. – abbiamo intavolato con loro una chiacchierata, trovandoli molto simpatici e scoprendo che uno era proprio un “recuperato” con il programma sociale per i giovani che rischiano la marginalizzazione e adesso sta studiando per diventare cuoco. Siamo anche diventati, con la nostra allegria, una specie di attrazione e ad un certo punto ci siamo accorti di avere intorno almeno una diecina di persone, attente a che cosa facevamo e dicevamo…È arrivato il pulmino, abbiamo salutato tutti e – nella confusione – abbiamo finito per pagare due volte l’ultima consumazione…peggio per noi.

La tappa successiva è l’ospedale più grande della capitale, intitolato ai Fratelli Ameijeiras, uccisi con i primi combattenti dopo lo sbarco della Baia dei Porci. Erano tre. Inutile descrivere l’ospedale, grandissimo e di alto livello tecnologico e professionale per tutte le specialità, cliniche, terapeutiche e chirurgiche. Oltre ad una visita in alcuni reparti, vediamo una cassetta che illustra, appunto, reparti e tecnologie mediche e chirurgiche. Ci accompagna il Direttore sanitario, un giovane mulatto di circa 35 anni, medico internista, appassionato e molto motivato, militante del Partito, che ha sotto la sua responsabilità più di 2500 operatori, di cui 850 medici. Non ho altro da dire, se non che penso a che cosa sarebbe il Policlinico di Roma con una simile organizzazione del lavoro. Ovviamente, tutto è gratuito e non esistono né tickets, né prestazioni private intramurarie. Le stanze sono per due, massimo tre persone, tutte dotate di grandi finestre e di televisore. Dimenticavo: i primi piani dell’Ospedale erano stati costruiti per farne una banca, ma la rivoluzione ha deciso diversamente. L’unica traccia di questa destinazione è l’atrio, grandissimo (sembra quello di un grande albergo), con piani di pavimentazione a diversi livelli, poltrone e tavoli bassi, grandi vetrate ed un blocco centrale (l’originale cubatura per gli sportelli?) dove è collocata l’accettazione, che sembra, appunto, il bureau di un hotel. Tutto è lucido, pulito, anche se ai piani (è un edificio molto alto, mi pare di 26 piani) si vede – e ce lo dicono – che gli arredi sono mantenuti con molta cura perché non si può spendere per essi, dato che sono in materiali particolari e – dopo il l’embargo e il 1989 – non è facile procurarseli. Salutiamo il Direttore sanitario con molta simpatia, ricambiata.

Dopo la cena a casa e le solite scene di Bruno in relazione all’ordine delle vivande e al frutto tropicale chiamato “guanagua”, che lui si ostina a chiamare “manguja” (chissà perché), andiamo a vedere una cerimonia tradizionale, quella del “cañonazo” (colpo di cannone) che tutte le sere, alle nove, viene sparato dalla muraglia verso mare del Castello del Morro (che vuol dire promontorio), una fortificazione a difesa dell’ingresso della baia dell’Avana, perfettamente mantenuta e imponente. La cerimonia ricorda il periodo degli scontri con gli inglesi e gli spagnoli ed è in costume: richiama moltissima gente e non solo turisti, perché il Morro, nella storia dell’Avana, ricorda le diverse dominazioni e il patriottismo del popolo cubano. Alle nove, un plotone in costume militare del ‘700, con il proprio comandante, rappresenta il gesto storico del colpo di cannone a difesa dell’ingresso dell’Avana sparato dal bastione principale e più esposto ed è davvero molto suggestivo. L’intera fortificazione è bellissima e magnificamente mantenuta. Con un caldo da morire, alla fine della cerimonia e allontanatosi il plotone al suono ritmato di un tamburo, ci ritroviamo in alcune sale storiche, che illustrano la storia e le caratteristiche – anche con grandi plastici della baia – delle fortificazioni che proteggevano la città, a partire dal 1500: la Real Fuerza, San Salvador de la Punta, Tre Reyes Magos del Morro (quella dove ci troviamo), Santa Dorotea de Luna de la Chorrera y Cojímar, Torreón de San Lázaro, San Carlos de la Cabaña, El Principe, Santo Domingo de Atarés. Inutile dire che tutto è nato dopo Cristoforo Colombo e la colonizzazione spagnola, tanto che alcune di queste fortificazioni hanno avuto destini diversi, come l’isola, del resto, risentendo anche del Trattato di Versailles. Accaldati, sorpresi e soddisfatti per questa pausa di conoscenza storica, ci avviciniamo al piazzale interno, dove un complesso dal vivo suona musica cubana e una marea di gente balla. Balliamo anche noi, dopo aver lasciato Bruno, che non aveva voglia di ballare, ai margini della “pista”, con due cineprese e tre macchine fotografiche appese in tutti gli appigli possibili (sembra un uomo-stampella). Non c’è niente da fare: il ritmo e la corrente comunicativa dei cubani è irresistibile.

Finita la musica, ci allontaniamo come tutti, fermandoci a bere acqua e a comprare magliette del Che in un negozio autorizzato: finirà per essere divertente tutta la trafila per pagare, solo in dollari e registrando i documenti degli acquirenti: si tratta di valuta pregiata e – giustamente – stanno molto attenti. Dopo mezzanotte, un po’ caricati e un po’ malinconici, ci avviamo al pulmino che ci aspetta, cantando “Io vagabondo (chi son io)”, tra qualche incuriosito sorriso dei pochi che – come noi – si sono attardati…”I soliti italiani…”, vogliono forse benevolmente dire. Qualcuno ha preferito – anche stasera – continuare con la sperimentazione dei locali. Io, ricordo di essere andata a dormire…anche se ho ampiamente recuperato nei giorni successivi.

25 settembre

Cominciamo la giornata, dopo la colazione con frizzi e lazzi e un fantastico succo di guanagua (manguja per qualcuno…), con la libertà di una passeggiata autonoma nel “Casco storico”, che sarebbe la parte vecchia del centro de L’Avana. La tappa per comperare francobolli, alle Poste centrali, e spedire le cartoline (che, ad oggi, non sono ancora arrivate), si rivelerà un singolare caso matematico: dati 67 francobolli, a 0,85 dollari l’uno, perché ne abbiamo pagati 67? Boh! Non abbiamo ancora capito. Cominciamo il giro da Calle Obispo, che è un po’ il “Corso”, turistico ma non solo, con molti negozi e belle cose, inframmischiati da piccole rivendite di panini e gelati più o meno artigianali (confesso di non averne assaggiato). Ci guardiamo intorno, compriamo libri, CD, manifesti. Bruno è attratto da un magazzino alimentare, dalla cui vetrata si vede una tizia che taglia il burro per venderlo a peso da blocchi che sembrano quelli del ghiaccio che si vendevano una volta per le strade…ancora ne parla. Ci si appiccica un’altra giovane – cinque figli ed uno in arrivo – che ci chiede di comprarle del latte in polvere da un negozio che lo vende e nel quale si paga solo in dollari: ci guardiamo, con Antonietta, memori dei 30 dollari di due sere prima, ma non sappiamo dire di no. Questa volta va meglio: solo due buste e solo 10,50 dollari. Ma in questo posto noi siamo i ricchi, ed è giusto stare al gioco. Con uno sgocciolio di dollari qua e là (un’altra donna, una vecchietta, un vecchio che vende “Granma” e “Juventud rebelde”, i quotidiani del Partito e della Gioventù comunista), ci avviciniamo alla fine della strada e sbuchiamo nella piazza dove ci sono il Museo della Rivoluzione e la teca (tipo Ara Pacis, per chi conosce Roma) dove è conservato il Granma, il motoscafo d’altura con cui Fidel, Raoúl, Che, Camilo Cienfuegos e altre 81 persone sbarcarono e Cuba per dare il via alla rivoluzione. Intorno ci sono altri mezzi militari – aerei, un carro armato, un’automobile, un tank, pezzi di una carlinga di aereoplano – ed è sorvegliato a vista da cinque militari armati. Non si accede dalla strada (il tutto è circondato da un’inferriata), ma solo dal percorso interno del Museo della Rivoluzione, alle spalle del Granma, da dove siamo arrivati noi. È tardi, però, e decidiamo di tornarci il giorno della partenza, perché avremo la mattinata libera. Ci limitiamo a fare qualche foto, a fare due chiacchiere con qualche passante e ad offrire qualche sigaretta a chi ce la chiede, perlopiù giovani. Poi, a pranzo!

Il pomeriggio ci aspetta un programma impegnativo: l’incontro con il Vice Ministro degli Esteri, Angel Dalmau, e quello alla Scuola Superiore del Partito “Nico Lopez” (poi dirò chi era) con il rettore, Raoul Valdéz: rettore, perché quella si rivelerà una vera e propria Università. È la prima volta che siamo in una sede governativa e si coglie un che di burocratico – in senso positivo – nell’efficienza e nei modi dell’accoglienza. Angel Dalmau è un garbato signore dal colorito chiarissimo e dai capelli rossi e sottili. Oggi ci hanno cambiato l’interprete e quella che ci segue, simpatica e molto professionale, abbiamo saputo essere una di quelle di Fidel. Dalmau ci racconta – di fronte all’inevitabile caffè (dagli otto ai dodici al giorno), alla Coca Cola locale (buona, per la verità) e a vari tipi di biscotti – quali sono i rapporti attuali con gli altri Paesi, rappresentati a Cuba da 11 Ambasciate e dalla sede della Commissione europea. La sintesi di questi rapporti, resi molto complicati dopo le vicende di aprile, è che 8 ambasciatori e i funzionari non hanno accesso diretto ai rappresentanti del Governo cubano, come risposta all’ostilità dimostrata, che – a mio avviso – ha raggiunto punte che definirei semplicemente “insultanti”. Fra le altre cose, i tedeschi in Europa hanno posto la condizione di inviare una loro Commissione per i diritti umani e l’Ambasciatore inviterà (lo ha già fatto, ad oggi) l’8 ottobre i rappresentanti dei dissidenti, operando con questo un vero e proprio atto di rottura diplomatica con Cuba. Tra l’altro, questa storia dei dissidenti è davvero una manipolazione: c’è senz’altro qualche dissenso, circa il Partito unico soprattutto, di tipo politico, ma non raggiunge le forme e la spinta di una controrivoluzione repressa nel sangue, come vorrebbero farci credere. I dissidenti di cui si parla, quelli che vengono imprigionati se scoperti, sono quelli prezzolati dagli Stati Uniti per organizzare attentati (ad aprile, è venuto fuori che se ne preparavano 29) e creare teste di ponte per un attacco militare, che, fra l’altro, non viene ritenuto impossibile. È calmo e riflessivo, Dalmau, mentre parla, ma noi ci sentiamo prendere dall’ansia per questa dimensione delle relazioni internazionali, di cui conoscevamo lo scenario, ma che con questa discussione viviamo a partire dall'interno, dal punto di vista del Governo cubano e dal timore per i rischi che corrono la piccola, grande Cuba e la sua gente. Posta la situazione dei rapporti internazionali così come descritta, con molte riflessioni – anche – sui rapporti tra Europa e Usa, soffre anche la cooperazione, che per loro è vitale. La cooperazione internazionale si pretende ora condizionata, per i settori, dalle decisioni dei singoli Paesi su come e verso che cosa orientarla: giustamente, Fidel annuncia che di una cooperazione condizionata Cuba ne farà a meno. C’è, dietro, la dimensione della dignità dello Stato sovrano, cui non si può rinunciare e resta, così, solo la cooperazione delle Associazioni Ong. La situazione mi risulta subito chiara: l’obiettivo è la forzatura politica verso un processo di socialdemocratizzazione, su cui si stanno addensando gli avvoltoi del “dopo Fidel”, che credono ancora che sia solo un leader, e non un gruppo dirigente maturo e capace, a dettare le linee della politica e dello sviluppo cubani. Intanto, si sta cercando di capire chi stia tentando a sinistra – pare, riuscendoci – di impedire che Cuba partecipi al Forum no-global di novembre, a Parigi. Senz’altro trotzkisti e socialisti, che vogliono si parli di Cuba solo per condannarla e, quindi, in sua assenza. Staremo a vedere. Discutiamo con partecipazione dei problemi, finché non viene il momento di andare via. E salutiamo Dalmau con la sensazione di aver incontrato un uomo forte, tanto quanto è stata pacata e dai toni misurati la sua conversazione.

Ci avviamo, ancora con in testa le domande e le riflessioni da maturare, alla Scuola Superiore del Partito. Non mi è possibile descrivere la conversazione avuta con questo personaggio di indubbio livello che è Raoul Valdéz, ad Hanoi con Ho Chi Mihn ed altro ancora, teorico e pensatore affascinante, che maneggia la dialettica e la didattica con uguale capacità e, devo credere, risultato. Ci parla subito della scuola, di come è nata e di che cosa era nei primi anni, a ridosso della rivoluzione. Nata “segretamente”, ha il nome di un operaio, Lopez, che aveva una formazione marxista, sbarcato con il Granma, nel gruppo che – divisosi da quello di cui facevano parte Fidel, Raoúl, Guevara e Cienfuegos - è finito con i suoi compagni a chiedere ospitalità in una casa che credevano di contadini e che era, invece, di un ufficiale di Batista. Costui, chiamato dalla moglie, è arrivato con un gruppo di militari ed ha ucciso tutti i componenti di quel gruppo. Casualità della storia: se la direzione dei gruppi fosse stata invertita, forse non ci sarebbe stata una rivoluzione cubana… Con lui parliamo degli indirizzi scientifico-teorici della Scuola (tutti i membri del Comitato centrale studiano lì, compreso Fidel, e periodicamente passano dei periodi di aggiornamento ed approfondimento politico-teorico). Valdez definisce “errore” l’aver copiato, dal ’70 all’86, il modello educativo – ed economico – di scuola sovietica, da cui ci si è poi discostati, per improntare un modello del tutto autonomo. Ci spiega il sistema della Scuola, dal punto di vista metodologico ed organizzativo, in riferimento ai corsi ed ai loro contenuti. Si ricorre alla Scuola anche nelle fasi di preparazione del programma politico, economico e sociale, impostando la prima giornata per la valutazione dei bisogni formativi e proseguendo, poi, con gli approfondimenti veri e propri. I deputati, ad esempio, fanno due settimane di corso, in queste occasioni. Ci colpisce, in realtà, l’approccio metodologico realmente rigoroso e…maieutico. Le notizie sono tante e questa stessa conversazione diventa un breve corso di approfondimento politico-teorico, dai danni della teorizzazione del socialismo in un Paese solo, al terrorismo di Stato, alla contraddizione ambientale. Ne usciamo piacevolmente colpiti e non nego che mi sarebbe piaciuto ragionare ancora, magari un paio di giorni, su metodi e contenuti. Ma lì gli “esterni” sono solo 215 studenti di 48 Paesi del terzo Mondo… Finiamo la serata al Tropicana, un locale che è una via di mezzo tra il Moulin Rouge e le Folies Berger, in mezzo al verde di uno scenario all’aperto, tropicale, fatto di balletti e canzoni, con un corpo di ballo di più di cento componenti, tutti bellissimi. Lo spettacolo è un’orgia di colori e di movimento, di corpi vestiti o seminudi, con un’ottima orchestra e un servizio raffinato. Non è descrivibile. Si può solo vedere. Forse, per descriverlo, avremmo dovuto fare le foto ai tre uomini del nostro gruppo, accompagnato per l’occasione da Yamila, che vi ho già presentato: le loro facce alla vista di quelle splendide ragazze erano uno spettacolo nello spettacolo e quando, alla fine, Stefano e Bruno sono stati invitati a ballare fra i tavoli da due di loro, non so davvero come si saranno sentiti. Ma anche per Antonietta, Yamila e me c’era parecchio da vedere…Finito lo spettacolo, con il palco che è stato trasformato in pista, abbiamo ballato anche noi: una piccola soddisfazione, anche se l’ora tardissima (le due e oltre) non ci lasciava più molte energie.

Dopo la solita trattativa di Mario sull’orario (ho dimenticato di dire che per tutto il tempo Mario non ha fatto altro – si fa per dire – che cercare di spostare di mezz’ora gli appuntamenti e ossessionare Yamila perché avessimo l’opportunità di fare un bagno al mare), ci salutiamo ed andiamo a letto.

 

26 settembre

Cienfuegos ci aspetta. Penso che Bruno speri di non vedersi più proporre la guanagua, ma sarà un’aspettativa delusa. Partiamo e dopo tre ore – sosta per caffè compresa, con l’occasione di dare dei biscotti ad un cuccioletto minuscolo ed affamato – arriviamo. Il viaggio è già degno di nota: fra chiacchiere, canzoni e osservazioni su quanto vedevamo (dalle colture, alla gente ferma in gruppo qua e là ad aspettare mezzi di trasporto, del tutto eterogenei), il tempo è passato rapidamente. A Cienfuegos ci aspetta l’incontro con il Comitato provinciale del PCC. Santiago Alvarez è il Segretario responsabile dell’Organizzazione e dell’impianto ideologico (la Segretaria generale sta facendo un corso presso la famosa Scuola) e ci parla dello sviluppo della Provincia e del lavoro del Partito. Come tutti gli altri, anche questo è un incontro degno di nota. La ripetitività di alcuni punti di riferimento, sullo sviluppo o sulle politiche sociali, non è più tale, quando viene calata nella dimensione concreta di luoghi reali e di popolazioni specifiche. In una breve rassegna, posso dire che Cienfuegos, zona marina e montana, con 8 municipi, ha sviluppato l’industria tra gli anni ’70 e ’80, prevalentemente in direzione del cemento, dei fertilizzanti, dei cereali, dello zucchero, dei motori diesel, dell’agroalimentare, della plastica, degli alimenti per animali, dell’energia, dell’allevamento zootecnico. Ha una forte infrastruttura educativa, con Centri Universitari ed un Politecnico. A fronte di una crescita – Pil, sviluppo sociale – della Provincia negli ultimi anni del 3,5-4%, la città di Cienfuegos è cresciuta del 7%. Hanno elettrificato il 96% del territorio, di cui il 4% con sistemi energetici alternativi.

La Provincia di Cienfuegos ha una posizione di avanguardia a livello nazionale nelle relazioni con altri organismi, per la vivacità degli scambi e l’energia con cui il gruppo dirigente ha preso in mano il programma di sviluppo.

Tralasciando altri dati di tipo sociale, dico solo, per comprendere il rapporto tra sviluppo e integrazione delle politiche sociali e crescita della coscienza, della solidarietà e della coesione sociale, che la donazione di sangue è di 1 a 14: 1 persona su 14 è donatrice. Ultima notazione: siamo nella zona degli uragani. Nel ’96, il 34% delle abitazioni furono distrutte e nel 2001 il 30%: non è difficile capire come lo sforzo della ricostruzione abbia assorbito energie e risorse altrimenti destinate a potenziare altri fattori di sviluppo.

Ci salutiamo. Il Comitato provinciale è fatto di gente giovane e interessata. Abbiamo parlato molto, soprattutto incuriositi dai meccanismi messi in campo per lo sviluppo degli insediamenti produttivi e la razionalizzazione di quelli esistenti: ma sono curiosità che ci toglieremo, via via che proseguiranno gli incontri in questa Provincia.

Pranziamo, in una casa del Partito dove abbiamo anche le stanze. Bella, in riva al mare, in mezzo al verde…fra l’altro, questa è una zona dove il turismo sta ricevendo grande attenzione e si stanno ristrutturando ottimamente molte infrastrutture, alcune di alto livello e qualità. Le case sono tre. In quella accanto, abbiamo saputo, veniva Fidel, quando doveva incontrarsi con i sovietici, prima del “periodo speciale”, per discutere della costruzione della centrale termoelettrica, mai terminata.

Pranziamo, con Santiago e Roberto Morales (CC del Pcc, segreteria provinciale del Partito, giovane medico, incaricato delle politiche sociali, che ci accompagnerà, insieme a Pedro Carreño, funzionario responsabile delle politiche turistiche e commerciali, nel nostro soggiorno da queste parti). È tutto ottimo e ci promettono, per l’indomani sera, una cena in nostro onore con pasta e pizza. Non sappiamo se gioire o tremare…

Con il Comitato municipale del Pcc di Cienfuegos ci incontriamo dopo pranzo. Parliamo più specificamente delle politiche comunali del Partito, della sua organizzazione e delle particolarità della città, davvero notevole. Lasciando da parte i dati, annoto solo che ci sono 163.000 abitanti su 138 Kmq e 15.436 iscritti al Partito. Il Partito non amministra, ma segue l’orientamento politico e ha cura dei gruppi socio-professionali, a tutti i livelli. Parliamo dello sviluppo agricolo, industriale e turistico, dell’impegno, degli obiettivi e delle difficoltà, con ragionamenti anche molto interessanti, ad esempio, sui rischi della sovrapproduzione agricola. Qui le coltivazioni sono tutte biologiche e gli animali sono tutti al pascolo (ne abbiamo viste tante, di mandrie nelle campagne). Veniamo a sapere che c’è un medico ogni 272 abitanti, che negli ultimi mesi hanno cominciato a sorgere i centri-anziani, che il sistema sanitario è intrecciato e fortemente radicato nel territorio, Il sistema sanitario funziona molto bene anche qui e tutto è monitorato, a partire dai Consultori di base, che vedono la presenza del medico di medicina generale e salute pubblica, con una funzione preventiva e di primo intervento, per poi passare al Policlinico, che è una specie di Ospedale di Comunità-poliambulatorio, con tutte le specializzazioni per la terapia clinica e chirurgica. Ci sono poi gli Ospedali specializzati per ambiti clinico-terapeutici, che sono anche sede di insegnamento universitario. Per fare un esempio, nella città di Cienfuegos ci sono 128 consultori, un Policlinico e tre Ospedali specializzati: Medico-chirurgico generale, compresa la cardiovascolare, con associata Ostetricia; Psichiatrico; Pediatrico. Ci parlano dei loro obiettivi quali-quantitativi per il lavoro sociale volontario (è molto sviluppato); della situazione abitativa (ci sono 47.000 case, di cui il 60% in buone condizioni ed esiste un programma per aiutare le giovani coppie); del tentativo di investire in un cambiamento tecnologico per quanto riguarda la risorsa idrica, perché il 20% degli insediamenti hanno ancora problemi; del fatto che nei trasporti è risolto il 60% dei problemi, con 585 automezzi pubblici circolanti. Per quanto riguarda i prezzi, il sistema statale agricolo e zootecnico consente che li fissi l’offerta, stabilendolo poi i termini calmierati. Ancora tante cose, ancora tante domande: sembra impossibile, che dopo incontri interessanti e ricchi, ci sia ancora da sapere e da chiedere. Naturalmente, i ragionamenti che facciamo sono sempre anche inseriti in contesti di ordine politico, nazionale e internazionale, o riguardante i rapporti Stato-Partito. In ogni caso, se qualcosa ho capito davvero, è che anche stando su una mattonella ci sono sempre un sacco di cose da vedere: dipende dall’angolazione.

Dopo un piacevole giro, con una guida colta e simpatica, per il centro storico (Cienfuegos è una città davvero singolare e, per alcuni aspetti, sorprendente), andiamo a cena. Stasera ci servono il gelato di guanagua, davvero ottimo. Lo assaggia persino quel buongustaio di Bruno. È con noi Roberto, col quale continuiamo a parlare. Per l’uscita serale (ci hanno programmato una serata che si rivelerà particolarmente intrigante, forse loro malgrado, in un club musicale, dove si balla, intitolato a un grande personaggio musicale del luogo, Moré) ci accompagnerà Pedro, che si rivelerà simpatico anfitrione e anche buon…sorvegliante.

La serata è scoppiettante. Tra Cuba libre e rum, la carica per ballare non manca. Tra l’altro, è un bel locale, il cui gestore e la sorveglianza ci controllano discretamente. Devo dire che le nostre performances sono apprezzate, tanto che non mancheranno le conquiste. Peccato che quel bel ragazzo mulatto che mi faceva il filo neanche tanto discretamente non l’abbia incontrato in un’altra occasione: Pedro non era geloso, ahimé, ma solo preoccupato che potessimo trovarci in situazioni imbarazzanti, dal momento che si trattava pur sempre di una delegazione ufficiale, seppure in libertà vigilata…Alle due andiamo a dormire. La mia autostima è discretamente alta.

 

27 settembre

Si prepara una giornata intensa. Dopo la colazione, accompagnata anche dal succo di guanagua, andiamo a Cumanayagua, un altro Comune della Provincia di Cienfuegos. Passiamo attraverso alcuni paesi, popolosi e vivaci. Si vedono le attività agricole e di allevamento. Incontriamo il Comitato municipale del Pcc, il cui Segretario è Rafael. Cumanayagua, con 51.000 abitanti, comprende la parte più montuosa della Provincia ed ha tutte le opportunità territoriali: mare, pianura, montagna. È ricca di acqua, molto importante per lo sviluppo agricolo ed industriale. Le attività produttive più importanti riguardano l’agroalimentare, il caffè, la zootecnia, il tabacco, gli agrumi, l’industria lattiero-casearia. Per quanto riguarda il Partito, il Comitato municipale conta 65 membri, con 4300 iscritti e 2000 militanti della Gioventù comunista. Come altrove, sono organizzate ed attive le forme non partitiche e associative che ruotano intorno al sostegno alle politiche, come il Comitato per la Difesa della Rivoluzione (che non è un vecchio arnese nostalgico, ma una struttura organizzativa riconosciuta dalla popolazione, attiva e rispettata nelle sue iniziative politiche e sociali) e il Comitato delle Donne cubane. Ci sono più di 100 scuole ed è, Cumanayagua, sede universitaria distaccata per le Facoltà di Scienze sociali, Politecnico (integrato da corsi di Agraria), Cultura fisica. In montagna, esiste la Facoltà di Agraria con gli insegnamenti di Veterinaria, che raccoglie il bacino di utenza della Provincia. I punti di base per le Politiche della salute sono 90 consultori e 2 centri-anziani. I lavoratori attivi sono 14.000 ed esistono nuclei di zona, integrati da pensionati, per l’analisi dei problemi sociali della popolazione. Sono 17 le scuole con bambini da 1 a 5 anni. Si sta attuando una politica di decentramento produttivo e dei servizi verso le periferie e le zone di montagna, come nel caso di minicentrali elettriche, che forniscono energia per il funzionamento di aree più circoscritte, per consolidare un livello infrastrutturale simile a quello cittadino. In montagna, si presta molta attenzione alle condizioni ambientali. Sostanzialmente, anche a Cumanayagua riceviamo l’impressione – e l’informazione – che questo Paese stia marciando ad una sola velocità, in accelerazione, e che le zone più depresse negli ambiti territoriali siano univocamente messe in condizione di “pari opportunità”. In fondo, dall’Avana, a Cienfuegos, a Cumanayagua – aree socialmente e strutturalmente dotate di condizioni differenti – le politiche per obiettivi si attuano con la stessa intensità e gli stessi, positivi risultati.

Prima di andare a pranzo, ci portano a visitare il “combinato” del latte di Escambray. “Combinato” vuol dire che su un presupposto produttivo – materia prima, servizi di impianto e direzione di fabbrica – si articolano diverse linee di produzione. In questo caso, latte, yoghurt, gelato e formaggio. È, oltreché un incontro interessante, anche divertente: verremo rimpinzati come polli in batteria, oltre a bere il quarto caffè della giornata. La fabbrica, di Stato, creata nel 1975, occupa 670 lavoratori, in una produzione continua, a turni. L’investimento produttivo è di 23.000.000 di pesos ed il guadagno netto è pari a 2.700.000 pesos. Sono 150 i militanti del Partito in Azienda e 30 i Comitati sindacali, che si articolano anche per spezzoni di attività. La stabilità occupazionale è certa. In Azienda, ci sono più di 50 figure di alta professionalità e più di 10 medici e tecnici (biologi, chimici) che seguono le fasi tecnologiche per la sicurezza alimentare dei prodotti. Con la lavorazione di 50.000 litri di latte al giorno, che viene tutto da animali a pascolo, l’Azienda garantisce l’autosufficienza di latte per tutta la Provincia (fino alla fornitura per la distribuzione) e il latte gratuitamente per tutti fino a 6 anni (anche attraverso le scuole), di yoghurt per tutti fino a 13 anni (anche attraverso le scuole), di prodotti lattei dietetici per diete speciali, per tutti coloro che ne hanno bisogno, gratuitamente. I formaggi sono di 7 tipi e due di essi sono riconosciuti con marchio internazionale (il Cumanayagua e ilSol de Cuba). La produzione del formaggio copre il fabbisogno della Provincia di Cienfuegos e dell’Avana, mentre quella di gelato il fabbisogno di Cienfuegos e di Viña Clara. Nel “periodo speciale” (quello del tracollo economico, dopo il 1989 e il cambio di atteggiamento da parte dei Paesi dell’Est), i guadagni e i prodotti erano forniti allo Stato, data la necessità di centralizzare fonti finanziarie per il reinvestimento pianificato e fonti alimentari per una distribuzione, la più mirata possibile. Finito quel periodo, la politica del decentramento ha consentito un migliore sviluppo produttivo. Tutte le risorse sono reinvestite – al netto dei salari – nella produzione. Come per altre industrie, qui è forte, nella pianificazione e nella definizione dei salari, il computo della quota accessoria per “obiettivi di produzione”, non sul modello stackanovista, o del cottimo, ma trainante per una migliore produttività e – allo stesso tempo – premiale per tutti i lavoratori, al raggiungimento degli obiettivi. Il risultato di questo scambio (anche noi abbiamo parlato di alcuni aspetti delle nostre produzioni lattiero-casearie), è stato l’assaggio (si fa per dire) di alcuni prodotti, che si è risolto in tre piatti di formaggi misti (devo dire, tutti ottimi), un vasetto di yoghurt da 250 cc. rigorosamente in vetro e un gelato nella stessa quantità. Pur producendo diversi gusti, ci hanno fatto assaggiare sia il gelato che lo yoghurt alla guanagua…non ho guardato se Bruno ha optato per un più consistente assaggio di formaggi.

Ce ne andiamo, sazi e un po’ perplessi circa il pranzo che ci aspetta. Pranzo, che consumiamo in un capannone in campagna, accogliente. Provvedo a recuperare gli indirizzi dei compagni di Cienfuegos che ci accompagnano e mi limito a mangiare frutti e vegetali…e a bere un buon caffè…Tanto più che la prossima tappa è l’impianto di produzione del caffè di Beneficio, a partire dalla raccolta, dove scopriamo che quella della selezione e dell’impacchettamento del caffè è un’operazione di alta precisione e professionalità, per la taratura dei grani – con macchinari – e l’ulteriore selezione delle risulte – a mano – e per la differenziazione degli aromi, che viene fatta olfattivamente in un piccolo reparto. Scopriamo anche che gli operai impiegati nella raccolta (è una delle produzioni di area montana locale), una volta finito il loro impegno, lungo dai quattro ai sei mesi, vengono impiegati nel lavoro sociale e salariati in continuità, ad evitare cadute occupazionali e contraccolpi sociali per le persone e le famiglie…proprio come da noi, con gli stagionali. Naturalmente, oltre ad essere inebriati dall’aroma persistente del caffè, che il caldo rende ancora più intenso, il caffè ce lo offrono. È molto buono. Cominciamo a sentirci molto svegli…Salutiamo il giovane Direttore dell’impianto e partiamo per il Giardino botanico.

         Come nel caso del Tropicana, descriverlo non è possibile. Abbiamo una lunga conversazione con il Direttore del Giardino, botanico, e la Dottoressa, biologa, che lo coadiuva. La discussione spazia dalle informazioni sull’area e le piante, la collocazione nella rete internazionale dei Giardini botanici (qui ci sono alcune specie rare e in qualche caso uniche), la diversità biologica, la conservazione dei semi, le politiche ambientali. Ci portano, col pulmino, a fare un rapido giro per darci un’idea delle specie, della dimensione del Giardino – 9 kmq., se non sbaglio - delle curiosità vegetali di alcune piante. Oltre a vedere paesaggi forestali tropicali di bellezza rara, scopriamo anche che qui esiste viva la varietà di palma che può essere considerata un fossile, risalendo a parecchie migliaia di anni fa, ed altre cose ancora. Peccato che è piovuto e che c’è un po’ di guazza, qua e là (il solito cagnetto festoso mi stamperà due belle impronte di zampe anteriori sui pantaloni bianchi di lino). Prima di andare via, ci offrono un caffè…!

         Ce ne andiamo…al mare! Ci portano in un bellissimo stabilimento a Cienfuegos, dove faremo un bagno molto piacevole, in un oceano che comunque, essendo Cienfuegos in una baia, limita molto le sue ondate, nonostante il vento dopo il temporale. Naturalmente, io ho dimenticato il costume a L’Avana e così ho fatto il bagno vestita. Per fortuna, con una completo di lino ecrù con le spalline piccole, così mi sono distinta per la classe anche in questa occasione…Tra riprese, foto, lazzi e canzoni, dopo un paio di Cuba libre e gli sguardi un po’ divertiti dei compagni del Partito cubano (alla faccia del protocollo, devono aver pensato), ci avviamo a casa e a cena. Arrivano le famose pasta e pizza…non avevamo il coraggio, soprattutto per la pasta, ma non era possibile farne a meno. Abbiamo accuratamente evitato commenti, spiegando loro la questione del grano tenero, del grano duro e della cottura. Bruno era entusiasta della pizza…! Si è mangiato anche quella di qualcuno che ha detto di essere sazio…Gelato di guanagua, caffè… e poi un programma speciale: la passeggiata tra le “zone” dei diversi Comitati di difesa della Rivoluzione (CdR), in occasione del 43.mo anniversario della loro fondazione. La cosa funziona così: ogni gruppo di tre o quattro caseggiati, contigui e/o dirimpettai, sono compresi in una zona, che fa capo ad un CdR. Il CdR si occupa di tutti i risvolti sociali e solidaristici della vita di questi miniquartieri e rende possibile, con iniziative culturali e associative, lo sviluppo politico dei programmi governativi in materia sociale, sanitaria ed educativa. È una vera e propria organizzazione, capillare e riconosciuta dalla cittadinanza. Bene. In occasione dell’anniversario, i vicini si organizzano e realizzano, per strada, cene, musica, balli, piccole rappresentazioni teatrali, spesso burlesche. Ne abbiamo intercettate moltissime, ma ci siamo fermate solo in tre. Nella prima, essendo presentati come compagni comunisti italiani, non potevamo fare a meno di dire qualche cosa e Mario mi ha spinto inopinatamente – dal momento che parlo lo spagnolo – ad interpretare i sentimenti della delegazione…Poi si è sciolto e nelle occasioni successive ha preso il microfono e non lo lasciava più. Comunque, abbiamo bevuto, mangiato, parlato, chiacchierato e fatto un po’ di politica, come si dice da noi. Unico neo: Pedro, che aveva promesso di farmi ballare tutta la notte, è venuto meno alla sua promessa. In compenso, quando, seduti sul retro della casa all’una, sorseggiando un ottimo rum offerto dalla sottoscritta, chiacchieravamo delle nostre impressioni, Leonardo – uno dei responsabili cittadini della rete dei CdR, che è stato con noi tutta la sera – ha detto che ballo come una cubana…Un’idea della mia autostima? Sempre più alta, tanto che ho cominciato a chiedermi perché sarei dovuta tornare a Roma.

 

28 settembre

Andiamo a visitare la Fabbrica Plastimec, che produce oggetti “usa e getta” (piatti e posate di plastica), carpenteria plastica e tubature idrauliche per sanitari in polipropilene, su due linee, una ad estrusione ed una di galvanica. I rapporti, per le materie prime, sono soprattutto con produttori italiani, anche se attualmente la mancanza di investimenti si fa sentire per queste forniture. La fabbrica nasce nel 1979 su un progetto di collaborazione con Cuba da parte della Bulgaria e con 20.000.000 di pesos di investimento, producendo 9.000 km di tubature per l’agricoltura. Il periodo speciale porterà alla centralizzazione anche per la Plastimet, fino a che i tempi non saranno di nuovo maturi per l’apertura del mercato. La necessità di diversificazione spinge a sviluppare tecnologie diverse e, per l’usa e getta, esiste un accordo con la Sandretto, italiana, che fornisce iniettori. Attualmente sono attestati su una tecnologia avanzata, quindi, ed anche impegnati sul riciclaggio energetico. Da questo punto di vista, il Nucleo per l’innovazione e la ricerca ha studiato sistemi introdotti nella tecnologia che lo consentono, permettendo lo sviluppo di risorse proprie per alimentare le minicentrali associate ad ogni fase dell’impianto, che consentono un grande risparmio, avendo smantellato la grande centrale che serviva tutta la fabbrica (enorme), ed anche un impatto ambientale positivo. Per ottimizzare l’utilizzo delle risorse tecnologiche, però, è necessario aumentare la produzione ed attualmente la loro pianificazione punta a questo. La fabbrica occupa 300 lavoratori, con 69 militanti del Partito. Facciamo insieme alcuni ragionamenti sulla produttività e gli obiettivi e ci informiamo anche dei problemi della salute dei lavoratori, dato l’impatto di queste produzioni. La salute è monitorata, nella consapevolezza dei rischi, con visite periodiche mensili per i lavoratori a rischio (sono presenti medici del lavoro in azienda) ed esiste un controllo sia da parte della direzione che sindacale, insieme all’attenzione del nucleo della Gioventù comunista presente in fabbrica, impegnato soprattutto nella dimensione delle politiche sociali. Ci informano anche che l’astensione per maternità dura per 7 settimane dopo la nascita del bambino e che, in caso di morte della madre, i benefici collegati alla maternità vengono trasferiti al padre. Niente male. Poi, dopo il caffè, visitiamo la fabbrica, molto estesa. Vediamo solo quattro reparti di produzione (due di estrusione ed una galvanica) e parliamo con i direttori dei reparti e alcuni lavoratori. Scopriamo anche che stiamo parlando con ingegneri chimici, chimici, chimici industriali e che, da un punto di vista del modo di porsi e di presentarsi, nulla lo faceva supporre. Buona lezione, per chi ci tiene a mettere avanti lo status al ruolo.

Quando ce ne andiamo, in un clima molto amichevole e di simpatia, ci portano in giro a vedere altri impianti industriali e agricoli nella zona, anche se solo passando in macchina. Lo zuccherificio in collegamento con il porto è particolarmente interessante. Ma noi siamo già con la testa a Santa Clara, ultima tappa dopo pranzo e prima di tornare all’Avana.

Vediamo la statua del mausoleo del Che prima di arrivarci e già ci assale un’emozione che ci fa tacere. Dobbiamo lasciare tutto nel pulmino, perché dentro non si può portare se non quello che si ha indosso. I militari di guardia ci lasciano passare ed entriamo così in un locale sotto la grande superficie del mausoleo. Entriamo poi in una cripta e ci troviamo davanti ad una parete dove sono collocate le ceneri di Ernesto “Che” Guevara e dei suoi compagni, racchiuse dietro piccoli loculi con inciso, su ognuno, il volto e il nome. Non li ho contati, ma sono tanti, forse un centinaio. Vedo il Che, Inti Peredo, Tania, Camilo…tutti quelli i cui nomi ho letto nelle pagine di storia della Rivoluzione cubana, nella biografia del Che, nei testi che parlano della sua storia, nei video in cui parla Fidel o che riprendono momenti della sua vita di rivoluzionario. Guardiamo quei volti incisi in silenzio, ognuno preso dalla sua personalissima emozione, sorvegliati da due custodi che ne avranno visti tanti, come noi. Non riusciamo ad andare via, ma dobbiamo. Intanto si sente un singhiozzo, ma non sarà l’unico. Usciamo in silenzio, fortunatamente provvisti di occhiali da sole e fuori possiamo dare libero sfogo a quello che proviamo. Ognuno per conto proprio, maturiamo dentro quel pianto che non può essere un fatto collettivo. Roberto, Pedro, Yamila, ci lasciano da soli, comprendendo questo sentimento. Il fatto è che, tutto insieme, noi stiamo rendendo omaggio a una persona che abbiamo davvero amato in gioventù, che rappresentava il simbolo di una rivoluzione possibile ed insieme la forza, la coerenza, la ricerca, l’estrema disponibilità personale contro l’ingiustizia dello sfruttamento e dell’imperialismo…i nostri slanci generosi, i nostri obiettivi di allora, la nostra speranza. Stiamo vivendo l’emozione di una rivisitazione della nostra gioventù e stiamo rivivendo la nostra gioventù…Ci rivediamo come eravamo e ci si affollano nella testa le delusioni e le sconfitte, tanti anni di lotte e di militanza e lui, il “Che”, che sappiamo ora essere stato sempre nella nostra coscienza. Sono lacrime per lui e per noi. Mi sono venute in mente le parole di una canzone di Guccini e la ripetevo fra me “Quanto tempo è passato da quel giorno d’autunno/ di un ottobre avanzato, con il cielo già bruno;/ fra sessioni di esami, giorni persi in pigrizia,/ giovanili ciarpami, arrivò la notizia./ Ci prese come un pugno, ci gelò di sconforto/ sapere a brutto grugno che Guevara era morto./ In quel giorno d’ottobre, in terra boliviana,/ era tradito e perso Ernesto “Che” Guevara./ Si offuscarono i libri, si rabbuiò la stanza,/ perché con lui era morta una nostra speranza./ Erano gli anni fatati di miti cantati e di contestazioni./ Erano i giorni passati a discutere e a tessere le belle illusioni./ “Che” Guevara era morto,/ ma ognuno lo credeva/ che con noi il suo pensiero/ nel mondo rimaneva…”. Intanto mi guardavo intorno e mano a mano che incontravo gli altri ci scambiavamo occhiate lucide e silenziose. Camminavamo sulla grande base del mausoleo, intorno alla statua con incisa sul basamento la lettera del Che a Fidel, prima di partire da Cuba verso la Bolivia, ad altri monoliti di marmo scuro con incise parole, riflessioni, a quello con tracciato il percorso dopo lo sbarco del Granma e i nomi dei paesi che erano stati toccati e liberati. Poi scendiamo, abbracciati per qualche passo Stefano ed io. È arrivato il momento di salutare i compagni di Cienfuegos, che torneranno con un’auto che ci ha seguito, mentre noi rientreremo all’Avana direttamente da Santa Clara. Il commiato qui è più triste, perché non c’è tempo di spiegare loro il perché di questa emozione che racchiude tante cose, anche la loro presenza e la loro esistenza e il nostro essere stati insieme in questi giorni e il senso del tempo che se n’è andato. Ci abbracciamo e via, sotto un cielo grigio e le strade bagnate di pioggia. Il viaggio è silenzioso. Siamo consapevoli del sentimento di ciascuno, che ci rende soli e solidali insieme.

Arriviamo all’Avana. Ci salutiamo con Yamila, che rivedremo domani. È l’ultima sera che siamo a Cuba e decidiamo di andare a ballare dopo cena, in un locale dove già alcuni erano stati, senza Bruno, che non ne ha voglia. Prepariamo i bagagli, che domani dovranno essere lasciati perché li possano venire a prendere mentre siamo fuori (partiremo alle 18.00) e ceniamo, in tono minore, per la verità. Stasera ci lasciano “liberi” di stare soli. Andiamo in una discoteca (ci accompagna Mario, l’autista, che ci è venuto a prendere con il pulmino) molto simpatica e ci lasciamo travolgere dalla musica, dai Cuba libre e dallo spirito ironico e curioso dei cubani. Mi toccherà prendere il telefono di uno che mi si è appiccicato (quasi nel senso letterale) e promettergli di chiamarlo quando tornerò a Cuba. Non so come è andata a Stefano, concupito da una biondona, che non ne sembra particolarmente felice (forse non è il suo tipo). Carlos, il gestore, è molto simpatico e molto bravo, come gestore e come disk jokey. Ci ha accolto con simpatia – già conosceva Mario, Stefano e Antonietta – e ci ha seguito per tutta la serata. Alle due tutto si ferma e andiamo a bere qualcosa e a mangiare una pizza in quattro, con Carlos, in una terrazza sopra la discoteca. Parlare con Carlito è stato interessante e rivelatore insieme, dell’affezione di persone come lui per Cuba, della difesa senza discussione della rivoluzione e – allo stesso tempo – del rammarico per non poter perseguire, se non a condizione di stare qualche mese a lavorare all’estero, il suo sogno: quello di avere una motocicletta. È un ragazzo scatenato e dolce allo stesso tempo e noi non resistiamo alla tentazione di lasciargli – tanto, non ci serviranno – tutti i pesos cubani che ho: sono circa quanti ne prende di stipendio e li accetta con semplicità. Poi, fa una curiosa osservazione sul mio profumo, che gli piace moltissimo e, dopo averci lasciato indirizzo e telefono e aver preso i nostri, ci chiama un taxi e andiamo via.

Confesso di non aver dormito molto, forse due ore, perché ho deciso di cominciare a scrivere, a partire da Santa Clara e a ritroso, di queste giornate. Alle cinque mi sdraio e alle sette mi alzo.

 

29 settembre

Non è la canzone dell’Equipe 84, ma l’ultimo giorno a Cuba. Beviamo con gusto l’ultimo succo di guanagua a colazione e ci avviamo per destinazioni diverse: Bruno, Stefano ed io andiamo a visitare il Museo della Rivoluzione, mentre Antonietta e Mario si fanno accompagnare alla Playa del Este, dove mangeranno aragosta a pranzo. Ci diamo appuntamento a casa, alle due. Il Museo è molto interessante, soprattutto fotografico e parte dai primi movimenti di liberazione, della fine dell’’800, per arrivare agli ultimi anni. Sono circa venti sale, che descrivono minutamente tutte le tappe verso la libertà dall’imperialismo statunitense del popolo cubano, i volti, gli episodi, gli eventi davvero storici, le strategie, i rapporti politici, con immagini, didascalie, documenti e oggetti. La sala dedicata all’assalto al Moncada è particolarmente raggelante, per la crudeltà della repressione nei confronti dei rivolzionari caduti prigionieri…Quella dedicata a Camilo Cienfuegos e ad Ernesto “Che” Guevara particolarmente emozionante, nel vederli così uniti nella vita e nella morte. Poi, lì, la teca con il basco del Che e la sua mitraglietta e il cappello di Camilo e il suo fucile. Altro colpo emotivo. Finiamo il giro in un paio d’ore e ci avviamo nel percorso esterno, verso il Granma e gli altri mezzi bellici che rappresentano momenti ed episodi delle tappe rivoluzionarie. Il Granma bisogna vederlo da fuori, perché è custodito in una specie di grande teca di vetro e, forse per evitare danneggiamenti, non è consentito avvicinarvisi. Ma è sufficiente e sembra impossibile che in quello che, in fondo, non è che un grosso motoscafo d’altura, siano potuti entrare e restare per qualche tempo 85 uomini. Facciamo alcune foto e ce ne andiamo. Ormai, si respira quest’aria di partenza che ci rovina le ultime ore. Perché, per la verità, non ne abbiamo alcuna voglia. Pranziamo in un locale nei pressi di Calle Obispo e poi, in taxi, torniamo a casa. Lì, sarà soltanto attesa: vengono a ritirare i bagagli, poi i passaporti con i 25 dollari ciascuno per le tasse di imbarco e, infine, alle 16.30 arriva Yamila. Parliamo un po’, in attesa del pulmino per l’aereoporto e chiede a Stefano e a me di spiegarle le questioni della lista unica alle europee e del partito riformista, perché sta cercando di capire il senso delle proposte e le posizioni dei partiti, anche europei, e di Prodi: è il suo lavoro, quello di comprendere le dinamiche politiche dei Paesi di cui si occupa nello scenario europeo. Penso che abbia compreso, anche se le rimane sempre qualche interrogativo…Ma è tempo di partire. Salutiamo quelli che nella casa ci hanno accudito, dalla cucina, alla vigilanza, alle stanze, riconsegniamo le chiavi e saliamo in auto. All’aereoporto, stesso percorso per l’imbarco, attraverso il Consiglio di Stato e senza check-in. Aspettiamo un po’ in una saletta, perché la partenza è ritardata di circa un’ora. Ci offrono bibite e caffè e qualcuno trova anche il tempo per farsi accompagnare al Duty-free per le ultime spese. Poi, l’imbarco. I saluti sono sempre stressanti, anche se ci si promette di rivedersi presto. In realtà, abbiamo in programma uno scambio con i compagni della Provincia di Cienfuegos a marzo. Yamila è già impegnata a verificare le compatibilità di date ed impegni. Saliamo a bordo. Viaggeremo nella notte e il viaggio sembrerà molto più lungo che all’andata. Intanto, io comincio a scrivere il mio diario. Non dormirò affatto. A Roma, mi aspetta Salvatore, l’autista della Provincia che si occupa dei miei spostamenti: mi porterà in Provincia, dove ricomincio il lavoro esattamente da dove l’ho lasciato il 22 settembre, con Cuba nella mente, però.