STORIA

EL CHE

 

 

 


Dopo il 3 gennaio del 1961, data in cui gli Stati Uniti decidono di interrompere le relazioni diplomatiche con Cuba, il "Che" sottoscrive gli accordi di scambio con l'Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti. Secondo la testimonianza del professore di matematica Salvador Vilaseca (ambasciatore dell'Avana a Roma negli anni Settanta), che lo accompagna nei primi viaggi all'estero, Guevara gli chiede di impartirgli lezioni di algebra superiore, geometria analitica, calcolo differenziale e integrale fin dal primo incarico di presidente del Banco nacional ("Quelle lezioni durarono cinque anni, fino al marzo del 1965. Facevamo lezione due volte alla settimana, secondo una rigida disciplina").
Il "comandante del fronte occidentale" della rivoluzione deve trasformarsi rapidamente in economista e in ministro consapevole delle sue scelte: promuove nel suo ministero un seminario sul "Capitale" di Carlo Marx e studia i problemi di organizzazione del lavoro e di politica economica. Le discussioni con i funzionari del ministero dell'industria diventano una fucina di proposte e di riflessioni di carattere teorico.
Nel 1962 il piano approvato dal ministro dell'Industria prevede il raddoppio - entro il 1965 - della produzione di elettricità, cemento, acciaio in collaborazione con gli investimenti e i tecnici specializzati che arrivano dalla Repubblica democratica tedesca e dalla Polonia. L'obiettivo è l'industrializzazione a tappe forzate dell'isola: per organizzare la mobilitazione popolare durante le giornate festive del sabato o fuori dai consueti orari di lavoro, vengono costituite anche le Brigate del lavoro volontario. Quelle Brigate - secondo il "Che" - hanno un carattere pedagogico, oltre che costituire una risorsa in più per raggiungere gli obiettivi economici che sono stati fissati con la sua supervisione. Lui è il primo a dare l'esempio, lavorando nei campi e nelle industrie nei giorni festivi.
Ma la doccia fredda giunge nel 1963. Guevara intuisce che il meccanismo della centralizzazione non favorisce i piani produttivi di settore. Sferra un duro attacco ai primi segnali di burocratismo che si stanno insinuando nell'organizzazione economica e politica della rivoluzione e cerca di modificare il sistema di pianificazione. I dati economici del 1963 mettono sotto accusa proprio l'operato del ministero dell'industria: dal 1961 in poi gli investimenti nel settore industriale erano stati pari a 850 milioni di dollari l'anno, ma con scarsi risultati; gli investimenti crescevano, mentre la produzione calava.
Sottostima dell'agricoltura tradizionale e della canna da zucchero, impreparazione dei tecnici cubani a seguire le nuove direttive, mancanza di quadri amministrativi (gran parte dei funzionari statali avevano abbandonato Cuba dopo il 1959), riconversione del commercio estero in direzione dei paesi socialisti contribuiscono a far impazzire il quadro delle compatibilità economiche.
I sogni economici di Guevara su una rapida industrializzazione del paese sfumano rapidamente e l'isola inizia ad adottare la "libreta", il rigido sistema di razionamento individuale dei beni di prima necessità. Si tratta di uno shock per l'intera popolazione e per chi guida la rivoluzione.
In quel cruciale 1963 si apre una discussione infuocata al vertice del governo. Vi contribuiscono anche due economisti europei, presenti a L'Avana come consulenti: Ernest Mandel e Charles Bettelheim. Il primo sostiene le posizioni di Guevara, il secondo è d'accordo con quanti chiedono una rapida correzione di rotta (soprattutto Carlos Rafael Rodríguez, dirigente del Partito socialista popolare e raffinato intellettuale, in quel momento responsabile delle politiche agricole). La sterzata si verifica il 19 agosto 1963: un documento del governo stabilisce che l'agricoltura e la canna da zucchero devono tornare il fulcro dell'economia dell'isola; i processi di industrializzazione dovranno essere realizzati nel corso dei dieci anni seguenti e a ritmi meno frenetici.
Guevara viene criticato per aver introdotto un sistema eccessivamente rigido di pianificazione all'interno dell'organizzazione dell'industria di Stato. Si contrappongono due ipotesi: quella del "Che", favorevole a un "bilancio unificato" del settore industriale, e quella del "calcolo economico" adottato in agricoltura dall'Istituto nazionale per la riforma agraria. Finisce per prevalere la seconda. Schematizzando quel confronto, le imprese centralizzate che fanno capo alle direttive del ministro dell'industria ricevono un finanziamento finalizzato non alla redditività ma al raggiungimento degli obiettivi del piano di settore o della singola attività produttiva, mentre quelle che non fanno riferimento al ministero dell'industria godono di un'autonomia contabile e di una personalità giuridica. Guevara è nel mirino delle critiche per aver favorito la prima soluzione.
Il ministro dell'industria replica agli attacchi negando che in una società in transizione sia applicabile la "legge del valore" o quella del "calcolo economico": sostiene che in un'economia che si avvia verso una forma di organizzazione socialista non ci si può appellare alle leggi del mercato, perché ogni operazione produttiva, ogni scambio tra un settore statale e l'altro devono richiamarsi a una politica di piano. Legge del valore e pianificazione - argomenta Guevara - non possono coesistere. La discussione cubana di quel periodo ruota intorno all'interpretazione più autentica del pensiero di Carlo Marx, secondo il quale il valore di scambio di una merce è determinato dalla quantità di lavoro in esso incorporato: ogni aumento della quantità di lavoro necessario per la sua produzione deve aumentarne il valore; viceversa, ogni diminuzione deve a sua volta diminuirne il valore.
Si intuisce come questa querelle teorica e pratica abbia nella fase che sta vivendo Cuba una grande importanza per una società in transizione. Si tratta di decidere i parametri di produttività, redditività, valore delle merci, politica dei prezzi e dei salari.
Il ministero dell'industria, in conseguenza di quell'acceso dibattito che è un vero e proprio scontro tra due linee politiche e di indirizzo economico, perde il totale controllo delle attività produttive. Castro cerca di mantenersi neutrale in quel contrasto che vede Carlos Rafael Rodríguez contrapporsi a Guevara e alla fine vincere il braccio di ferro sulle scelte economiche. Ma è ora che si precisa la posizione politica del "Che", che inizia a individuare nella soggettività individuale e nella "coscienza rivoluzionaria" una variabile esterna all'economia.
Di qui il dibattito sugli incentivi "materiali" o "morali" che la rivoluzione deve adottare per far crescere la produzione e la partecipazione al lavoro. Il ministro dell'industria è convinto che la risorsa più importante a cui il processo di transizione a Cuba può attingere sia un coinvolgimento pieno delle individualità nelle scelte politiche ed economiche.
Non nega l'utilitità degli incentivi "materiali" (a più lavoro devono corrispondere più salario e più possibilità di acquisto di beni), accusa però chi li idolatra di puntare solo al consumo come fattore di mobilitazione collettiva. "Lottiamo contro la miseria, ma al tempo stesso contro l'alienazione. Se il comunismo non si occupa dei fatti di coscienza, potrà essere un metodo di distribuzione ma non sarà mai una morale rivoluzionaria", ama ripetere in quel periodo.
Queste posizioni, oltre che rappresentare il livello teorico più alto raggiunto da Guevara, ripropongono una discussione sui paesi del "socialismo reale" dell'Est europeo: se ci si limita ad intervenire sulle forme di distribuzione e di accumulazione economica dice il ministro, saranno inevitabili involuzione burocratica e inefficienza e si creerà una frattura tra consenso sociale e gestione del potere politico. L'esperienza del ministro dell'industria dell'Avana rimette al centro della sua riflessione la critica del lavoro, della produzione, dell'alienazione individuale e collettiva con una buona dose di modernità e di anticipo rispetto alla crisi successiva del socialismo made in Mosca. E' l'"uomo nuovo" quello che interessa a Guevara.
Quella repentina svolta in politica economica che viene adottata da Cuba costituisce la prima sconfitta politica del "Che". Deve prendere atto che un paese sottosviluppato non può eliminare i suoi handicap attraverso un processo forzato di industrializzazione. I rapporti con l'Unione Sovietica e i suoi satelliti diventano inevitabili per sopravvivere anche al "blocco economico" che nel 1962 viene decretato in modo unilaterale dal governo di Washington.
Subisce così una battuta d'arresto la via della possibile indipendenza economica, primo passo per quella politica, che è stata teorizzata da Guevara. Il ministro dell'industria replica a questa cocente sconfitta misurandosi a tutto campo con i problemi dell'economia e negando che solo le leggi economiche debbano dare il passo della costruzione di una nuova società. Ecco che prendono quota le sue teorie sulla "coscienza rivoluzionaria" come risorsa indispensabile per piegare le costrizioni dell'economia, sugli "incentivi morali" da preferire a quelli materiali per evitare che sia solo la promessa di maggiori consumi a costituire la leva della mobilitazione collettiva.
Il "Che" precisa la sua posizione, che poi lo porterà in rotta di collisione con il modello sovietico: il socialismo non può limitarsi a cambiare le forme di distribuzione e di accumulazione economica; la politica deve intervenire laddove l'economia è solo freddo calcolo. Nei seminari che si svolgono nel suo ministero e che lo vedono protagonista pronuncia due frasi clou che servono a comprendere il suo pensiero di quel periodo: "Lottiamo contro la miseria, ma al tempo stesso contro l'alienazione", "Se il comunismo non si occupa dei fatti di coscienza, potrà essere un metodo di distribuzione ma non sarà mai una morale rivoluzionaria".
Prende corpo una "teoria sociale" della rivoluzione, che alcuni studiosi di Guevara hanno definito "umanista": "l'uomo nuovo", non le leggi dell'economia e del mercato, è al centro delle sue preoccupazioni nella correzione della malattia economicista che ha minato tutte le esperienze post-rivoluzionarie. Su impulso del ministro dell'industria si sviluppano ulteriormente le Brigate di lavoro volontario, che intervengono sul fabbisogno di abitazioni, sulla costruzione dei servizi sociali, sulla produzione dei singoli comparti economici.
Attraverso la predilezione della politica sull'economia il "Che" cerca di ottenere la più vasta adesione sociale ai programmi del suo ministero e a quelli del governo. Grande assente dal dibattito sull'economia in questa fase è Fidel Castro. Sulla base dei documenti dell'epoca è difficile formulare un'ipotesi su quale fosse la soluzione più gradita al "comandante en jefe".
E' probabile che abbia deciso di non scendere in campo con il peso della sua autorità per non contribuire alla sconfitta del suo amico Guevara. Ma per chi conosce l'ossessione con cui Castro ha sempre indirizzato tutte le scelte economiche di Cuba risulta difficile pensare che non avesse una propria idea sul cammino da intraprendere. Quando - nel corso del 1964 - si decide a L'Avana di spezzettare il ministero dell'industria in più ministeri (quello dell'industria dello zucchero, quello dell'industria alimentare) depotenziandone ruolo e obiettivi, Castro deve quantomeno aver avallato, se non favorito, quella scelta.
Tra il 1963 e il 1964 il "Che", forse consapevole della sconfitta a cui va incontro nella politica interna, effettua altri importanti viaggi all'estero: Algeria, Ginevra (Conferenza su Commercio e Sviluppo promossa dalle Nazioni Unite), Unione Sovietica, New York (Assemblea generale dell'Onu).
Il 12 marzo 1965 Guevara dà forma definitiva alla riflessione maturata nel fuoco degli eventi e nel ruolo di uomo di governo con il saggio "Il socialismo e l'uomo a Cuba", pubblicato dal settimanale "Marcha" di Montevideo mentre l'autore si trova in viaggio tra Africa e Cina. Lì sono annotate, quasi sotto forma di un testam

ento politico, le cose che non gli piacciono della nuova Cuba e le possibili correzioni che ritiene indispensabili per uscire dalle secche.
Si tratta di un testo che segnala i rischi di burocratismo della rivoluzione cubana e che conferma la sua incrollabile fiducia nelle coscienze individuali e collettive, oltre che in un'etica rivoluzionaria. Il 14 marzo 1965 appare per l'ultima volta all'aeroporto dell'Avana di ritorno da Algeri, dove il 24 febbraio - nel corso di un seminario economico internazionale - pronuncia un discorso sullo "scambio ineguale" che manda su tutte le furie la delegazione sovietica ("Come si può parlare di 'reciproca utilità', quando si vendono ai prezzi del mercato mondiale le materie prime che costano sudore e patimenti senza limiti ai paesi arretrati, e si comprano ai prezzi del mercato mondiale le macchine prodotte dalle grandi fabbriche automatizzate di adesso? Se stabiliremo questo tipo di relazione tra i due gruppi di nazioni, dobbiamo convenire che i paesi socialisti sono, in un certo modo, complici dello sfruttamento imperialista").
Ad attenderlo all'Aeroporto José Martì ci sono Fidel Castro, Carlos Rafael Rodríguez e Osvaldo Dorticos, in quel momento presidente della Repubblica di Cuba, sua moglie Aleida. Secondo alcune testimonianze, Castro e Guevara trascorrono le successive quarantott'ore in una casa di Cojimar, una località sul mare diventata famosa perché era stata frequentata a lungo da Ernest Hemingway nel corso della sua ventennale anche se alterna presenza sull'isola.
Nessuno sa cosa si siano detti. Ma è probabile che in quel colloquio il "Che" abbia comunicato la decisione di voler lasciare L'Avana, o che quell'intento si sia rivelato indispensabile per ricucire i rapporti di buona amicizia con i sovietici che avevano protestato presso il governo cubano per il discorso svolto da Guevara ad Algeri.
Tutti gli scritti e i discorsi di Guevara che vanno dal 1961 al 1964 danno conto della violenta contraddizione apertasi a Cuba. Da una parte c'è la Realpolitik di chi guarda ai modelli sovietici e dell'Est (introdotti proprio dal "Che", anche se poi ne prenderà le distanze), dall'altra c'è chi strenuamente cerca di non arrendersi a quella sola alternativa e di far procedere la rivoluzione cubana con la propria testa e sulle proprie gambe.
E' il caso esemplare di un'esperienza che ci consegna il dramma di tutte le rivoluzioni moderne, strette tra l'inevitabile trasformazione in potere e la voglia di non disperdere l'iniziale spinta utopica e di liberazione. Dopo l'apparizione all'aeroporto, la scomparsa di Guevara da L'Avana scatena una ridda di ipotesi. E' stato arrestato? E' vittima della prima "purga staliniana" della giovane rivoluzione? Il 28 settembre 1965, in un discorso pubblico, Castro accenna alle polemiche: "Parleremo al popolo del compagno Ernesto Guevara. I nemici hanno messo in giro molte illazioni e molte voci, voci a volte confuse, a volte tendenti a confondere, a insinuare. Noi presto leggeremo un documento che spiegherà la sua assenza in questi mesi".
Il 3 ottobre dello stesso anno, nel presentare il comitato centrale del Partito comunista cubano, che si costituisce solo in quella fase raccogliendo la confluenza di tutti i movimenti che hanno contribuito alla rivoluzione e che si erano già riconosciuti in un'unica organizzazione, Castro è obbligato a tornare sull'argomento: "C'è un vuoto tra noi, di una persona che possiede come nessun altro tutti i meriti e le virtù necessarie per appartenervi.
Su questo il nemico ha potuto formulare mille congetture, ha cercato di confondere le acque, di seminare zizzania, dubbi: siccome era necessario pazientare, abbiamo pazientato. Di modo che gli interpreti, gli specialisti di questioni cubane, le macchine elettroniche hanno lavorato senza tregua per far luce su questo mistero. Se Ernesto Guevara era stato vittima di un'epurazione, se era ammalato, se aveva avuto delle divergenze e cose analoghe.
I nemici calunniano: in un regime comunista, tenebroso, terribile, gli uomini scompaiono senza lasciar traccia, indizi. Noi replicammo, dicendo che avremmo parlato a tempo debito perché esistevano dei motivi per aspettare a farlo".
Castro conclude quel discorso leggendo la lettera con cui il "Che" si era congedato da Cuba e annunciava il suo impegno rivoluzionario in altre terre del mondo. A Cuba, dopo la vittoria della rivoluzione, iniziano ad arrivare gruppi di guerriglieri dagli altri paesi latinoamericani. Quanto è accaduto sull'isola più grande delle Antille viene ritenuto da molti un esempio da imitare.
Nicaraguensi e panamensi sono i primi ad addestrarsi nelle campagne cubane, mentre Fidel Castro fa sapere che avrebbe proibito che dall'Avana partissero spedizioni guerrigliere. Nelle sue dichiarazioni pubbliche - soprattutto in risposta alle critiche che gli giungono dagli Stati Uniti - si limita ad affermare che il nuovo governo cubano ospita molti esiliati politici dei regimi totalitari del continente come atto di solidarietà.
Anche Guevara, agli inizi del 1959, è su quelle posizioni. "Siamo esportatori dell'idea di rivoluzione, ma non cerchiamo di essere esportatori di rivoluzioni. La rivoluzione dev'essere combattuta dal popolo del paese presieduto dal governo tirannico insieme alla gente che lo subisce. Noi siamo solo l'esempio", dichiara alla televisione cubana il 18 aprile. Proprio in quel mese Castro si reca in visita negli Stati Uniti per ammorbidire i toni della polemica con Washington e rassicurare l'establishment della Casa Bianca sulle intenzioni della rivoluzione cubana. Il viaggio riesce a raggiungere il suo obiettivo e il presidente Dwight David Eisenhower tira una respiro di sollievo.
Nel 1960 - a iniziare dalla riforma agraria - giungono le prime nazionalizzazioni decise da L'Avana, a cui Washington reagisce con ritorsioni economiche e rescindendo i contratti di fornitura del petrolio. In rapida successione vengono nazionalizzate le raffinerie americane Texaco e Esso, la britannica Shell. Poi, le grandi piantagioni di zucchero.
Nel settembre dello stesso anno Castro stila la Dichiarazione dell'Avana nella quale si fissa il ruolo di Cuba in America Latina: l'isola si schiera a fianco degli oppressi e degli sfruttati dal capitalismo e dall'imperialismo. Nel 1961 si avvia la "campagna di alfabetizzazione" che rafforza il consenso popolare nei confronti della rivoluzione: migliaia di studenti si dirigono in ogni angolo dell'isola per sconfiggere la piaga dell'analfabetismo.
Il 3 gennaio si interrompono le relazioni tra Stati Uniti e Cuba. La rivoluzione corre verso la sua scelta socialista. Washington inizia a pensare che la rivoluzione cubana vada isolata economicamente e politicamente. Il totale embargo economico viene messo in opera unilateralmente dal governo americano nel 1962.
Il primo episodio di "internazionalismo" che investe Cuba si verifica il 17 gennaio 1961. Viene assassinato in carcere Patrice Lubumba, primo ministro del Congo, reo di aver chiesto aiuti militari all'Unione Sovietica per bloccare la secessione del Katanga. E' deposto dal capo militare Joseph Mobutu. A L'Avana, quando giunge la notizia della morte di Lubumba, si decide di proclamare tre giorni di lutto nazionale.
L'isola è tradizionalmente sensibile a quanto accade nel continente nero: i cubani si sentono afro-latinoamericani per le contaminazioni che la loro cultura ha subito nel corso dei secoli, dopo l'arrivo degli schiavi provenienti dall'Africa che servivano alla coltivazione dello zucchero. Intanto gruppi guerriglieri che inneggiano a Cuba si organizzano in Guatemala, Venezuela e Perù, mentre gli echi della rivoluzione algerina (Algeri diventa indipendente dalla Francia nel 1962) si diffondono in altri paesi africani.
Il 17 febbraio 1961 gli Stati Uniti danno l'ok al tentativo (che fallisce ben presto) di invasione di Playa Girón che ha per protagonisti molti cubani trasferitisi in Florida. Il via libera viene dal presidente John Fitzgerald Kennedy, eletto alla Casa Bianca poche settimane prima.
Il 16 aprile, alla vigilia della tentata invasione e per la prima volta, mentre si svolgono i funerali dei cittadini dell'Avana uccisi nel corso di un raid aereo statunitense sulla capitale Castro parla della natura socialista della rivoluzione cubana. "Non accettano che abbiamo fatto una rivoluzione socialista sotto il loro naso", dice di fronte a una folla assiepata davanti al cimitero Colón della capitale. La tentata invasione viene sventata: il comando delle operazioni a Playa Girón è assunto direttamente da Castro, mentre Guevara va ad assumere la direzione dell'esercito nella zona di Pinar del Rio.
I prigionieri catturati dai cubani verranno restituiti agli americani in cambio di un ingente quantitativo di medicinali. La rivoluzione ci tiene alle sue simbologie: Davide irride al gigante Golia. La rapida sequenza di avvenimenti serve per riassumere il contesto in cui a L'Avana cresce l'interesse per la politica estera. Il 9 aprile Guevara pubblica il primo testo in cui abbozza le sue idee internazionaliste, "Cuba, eccezione storica o avanguardia nella lotta anticolonialista?". Il ministro dell'industria sostiene in quello scritto che l'isola dei "barbudos" non è affatto un'eccezione, ma semplicemente il primo paese latinoamericano a mettere in discussione la dipendenza economica dagli Stati Uniti.
Il "Che" suggerisce il metodo della "lotta armata contro l'imperialismo". Ma diventa molto prudente, quando ad agosto interviene a Punta del Este, in Uruguay, al vertice economico dei paesi dell'Organizzazione degli Stati americani: "Non possiamo fare a meno di esportare un esempio, perché l'esempio è qualcosa di spirituale che travalica le frontiere. Diamo invece la garanzia che non esporteremo la rivoluzione. Diamo la garanzia che da Cuba non si muoverà un fucile per andare a combattere in qualche altro paese d'America".
Guevara, nello stesso vertice di Punta del Este, ha un incontro a quattr'occhi con Richard Goodwin, portavoce personale del presidente Kennedy. Nel corso del colloquio - che è stato rivelato solo moltissimi anni dopo nella biografia scritta da Jon Lee Anderson e avvalorato da fonti ufficiali cubane - il ministro dell'industria, su mandato di Castro, cerca di convincere l'esponente americano a una sorta di mediazione: Cuba non vuole rinunciare alle caratteristiche della sua rivoluzione, ma non ha intenzione di entrare in rotta di collisione con gli Stati Uniti e di esportare fuori dai suoi confini il proprio esperimento politico.
La proposta è tutto sommato un buon vicinato in cui rispettare le reciproche convinzioni politiche. Goodwin, il 22 agosto, redige un rapporto indirizzato al presidente Kennedy: Guevara, a suo dire, avrebbe ringraziato gli americani per la tentata invasione di Playa Girón, perché aveva permesso il consolidamento della rivoluzione cubana oltre ogni aspettativa; e avrebbe anche rivelato, in un colloquio tutto sommato distensivo, le preoccupazioni della leadership cubana per le difficoltà economiche che si vivevano all'interno dell'isola.
Il diplomatico suggerisce al suo presidente una linea opposta a quella auspicata dal "Che" e da Castro: è il momento buono per stringere Cuba nel cerchio dell'embargo economico e dell'isolamento politico. Quell'episodio dimostra qual è in quel momento la linea di condotta del governo dell'Avana. Forse Castro e il gruppo dirigente cubano scelgono solo progressivamente l'alleanza con Mosca per intelligenza tattica e perché non ci sono alternative per consolidare e istituzionalizzare la rivoluzione, eppure non c'è dubbio sul fatto che l'intransigenza di Washington finisce per rompere tutti i ponti del dialogo.
Guevara, dall'Uruguay, volerà nei giorni successivi in Brasile e Argentina per incontri riservati con gli esponenti dei due governi. In entrambi i casi la sua sola presenza in quei due paesi provoca la reazione dei militari che spodestano coloro che hanno deciso di ricevere il ministro dell'industria di Cuba (Janio Quadros, presidente del Brasile; Arturo Frondizi, presidente dell'Argentina).
La "crisi dei missili" dell'ottobre 1962 imprime un'ulteriore svolta alla politica cubana. Il 14 ottobre un aereo spia americano fotografa una serie di basi missilistiche costruite sull'isola dai sovietici per installarvi ordigni nucleari.
La richiesta è stata avanzata da Castro che teme nuovi tentativi di aggressione da parte degli Stati Uniti e accettata da Nikita Krusciov (a Mosca, a firmare il trattato militare, viene inviato Raul Castro). Kennedy, annunciando una manovra navale intorno all'isola, dà l'ultimatum ai sovietici: quelle operazioni vanno sospese, pena un conflitto armato. Mosca si piega senza neppure consultare Castro sulla decisione finale. Momenti di tensione si vivono in tutto il mondo. Si teme un conflitto dagli esiti imprevedibili tra Usa e Urss.
A iniziare dal 1962, prima dell'esito della "crisi dei missili", Guevara forma un gruppo che lavora a sostenere i movimenti rivoluzionari dell'America Latina. A coordinarlo è Manuel Piñeiro Losada, chiamato da tutti "Barba Roja". Quando Krusciov è costretto dalle minacce militari americane a bloccare l'installazione dei missili con testata nucleare a Cuba, quel gruppo intravede la possibilità di mettere in pratica una strategia autonoma dall'Unione Sovietica.
"Io non posso ammettere - dice Fidel in un discorso a L'Avana, dopo la conclusione della crisi - che Krusciov abbia accettato di ritirare i missili senza il minimo accenno a un minimo accordo con il governo cubano. Noi non siamo un satellite. Krusciov vuole la pace e anche noi la vogliamo.
Ma nessuno ha il diritto di calpestare la nostra sovranità". Per le strade di Cuba si ascolta uno slogan irriverente per i sovietici che risveglia l'orgoglio nazionale: "Nikita, mariquita, lo que se da non se quita!" (Nikita, pederastra, quel che si è dato non si porta via!). Guevara critica la scelta sovietica, mentre Cuba chiede che gli Stati Uniti - come condizione del ritiro dei missili sovietici - revochino il blocco economico verso l'isola.
La fase più acuta dei contrasti tra Cuba e Urss viene in parte ricomposta nel novembre del 1962, quando sull'isola giunge Anastas Mikoyan. La visita ufficiale dura ben ventiquattro giorni e sarà seguita l'anno successivo da un viaggio di Fidel a Mosca. Ma quelle tensioni forse hanno un'influenza sulle decisioni successive di Guevara che può aver trovato il consenso di Castro.
Il contrasto con i sovietici è in quella fase strategico, non solo riferito alla "crisi dei missili". Fin dalla vittoria della loro rivoluzione i cubani polemizzano con i partiti comunisti dell'America Latina: a loro dire, proprio quanto è accaduto a L'Avana con il Movimento 26 luglio dimostra che il continente può essere percorso da altre rivoluzioni a condizione che i partiti comunisti appoggino i movimenti di guerriglia e quanti agiscono fuori (e spesso in contrasto) dalle forze tradizionali della sinistra.
Sotto accusa - seppure in modo un po' celato - è la strategia del dialogo tra i partiti comunisti che si riconoscono nella politica di Mosca e le borghesie nazionali dei diversi paesi. Più in generale, è nel mirino la politica di "coesistenza" pacifica tra Usa e Urss che - senza alternative in Europa - si dimostra deleteria per i movimenti di liberazione del Terzo Mondo.
Guevara si trova tra il 1962 e il 1965 in una bizzarra situazione. E' stato lui che ha influenzato molte delle scelte filosovietiche di Cuba e che ha portato a L'Avana i primi consiglieri economici dell'Est, eppure le sue teorie sullo sviluppo economico e la pianificazione dell'economia iniziano a essere messe in minoranza mentre svolge l'incarico di ministro dell'industria.
E' lui il primo che scorge i pericoli di burocratismo insiti nel modello sovietico importato a Cuba e che tenta di prenderne le distanze. La "crisi di ottobre" può avergli insinuato il dubbio che anche la politica estera dei sovietici si rivela una gabbia per l'esperienza rivoluzionaria cubana. Di qui la scelta di un'altra strategia da sperimentare in altri paesi dell'America Latina e del Terzo Mondo. Molto probabilmente in quella fase Guevara intuisce che una chance per Cuba sta nella capacità di estendere la rivoluzione in America Latina, per evitare che L'Avana passi dalla dipendenza dagli Stati Uniti a quella dall'Unione Sovietica (sta qui l'accordo con Castro?).

 

 

 

 Si spiega così la sua frenetica attività tra il 1962 e il 1965 per coordinare l'attività dei movimenti guerriglieri nel resto del continente (punta innanzitutto a preparare un gruppo che possa far scoccare la scintilla in Argentina e fa capire che potrebbe unirsi ben presto a quei combattenti sul terreno di battaglia).
Ecco perché può aver trovato l'assenso di Castro quando, nel 1965, gli comunica la decisione di voler lasciare l'isola per altre cause rivoluzionarie. Del resto, come vedremo, i contrasti tra L'Avana e Mosca proseguono con alti e bassi fino a poco dopo la morte di Guevara. Del ristretto gruppo dei collaboratori del "Che" fa parte anche Tamara Bunke, conosciuta da Guevara a Berlino nel 1960 nel corso del suo viaggio nei paesi comunisti: gli faceva da interprete nel corso degli incontri con le autorità della Repubblica democratica tedesca (Rdt).
La donna è figlia di ebrei comunisti che erano sfuggiti al nazismo trovando rifugio in Argentina. Aveva fatto ritorno in patria quando era stata fondata la Rdt. Sei mesi dopo quell'incontro a Berlino, la Bunke va a vivere a Cuba e lavora nel gruppo di collaboratori del "Che" (è molto probabile che fosse anche una informatrice della Stasi, i servizi segreti della Repubblica democratica tedesca). E' lei che viaggiando in alcuni paesi latinoamericani informa Guevara sulle possibilità di organizzazione di movimenti rivoluzionari.
Il ministro dell'industria deve però stemperare i suoi entusiasmi quando si reca per la seconda volta a Mosca nel novembre 1964. Vede confermate le divergenze strategiche con i sovietici: dai colloqui riceve l'impressione che i dirigenti di quel partito comunista non aiuteranno la strategia rivoluzionaria per l'America Latina che si sta mettendo a punto a L'Avana. Anzi, a Mosca si sospetta che il "Che" abbia simpatie per le posizioni dei comunisti cinesi, che polemizzano con l'Urss proprio sulla strategia della "coesistenza pacifica" con gli Stati Uniti (in quel momento la frattura tra Mosca e Pechino è verticale e si riflette sul movimento comunista internazionale che si divide tra le due opzioni).
Mao Tse Tung, nel pieno della rivoluzione culturale cinese, insiste nel dire che la guerra con l'imperialismo è la tendenza naturale della storia. A L'Avana, di rimbalzo, chi non è d'accordo con Guevara lo accusa di essere "trotzkista" e "maoista".
Alle spalle, intanto, ci sono le sconfitte dei gruppi rivoluzionari in Argentina e Perù: vengono uccisi molti amici del "Che" e scompare in Argentina senza lasciare tracce di sé Jorge Ricardo Masetti (si suicida?), un argentino che aveva contribuito a organizzare a L'Avana l'agenzia di stampa "Prensa latina" e che stava preparando il terreno nel paese natale con altri guerriglieri per un possibile arrivo del ministro dell'industria di Cuba.
L'11 dicembre 1964 Guevara si reca a New York per rappresentare Cuba all'Assemblea generale delle nazioni unite. Nel suo discorso condanna duramente la politica imperialista degli Stati Uniti e inneggia alle lotte di liberazione in America Latina, Asia (da alcuni mesi gli americani sono intervenuti direttamente in Vietnam contro i comunisti di Ho Chi Minh) e Africa.
Nelle sue parole un posto di rilievo lo occupa la vicenda del Congo, dove le forze progressiste cercano di resistere al colpo di Stato di Mobutu. In quelle giornate passate a New York Guevara incontra il leader dei neri americani Malcolm X di ritorno dall'Africa e dal Medio Oriente. I due discutono proprio della situazione del Congo.

Dagli Stati Uniti il "Che" parte in un viaggio che durerà tre mesi: Africa, Cina, Parigi, Praga, Irlanda. Sessanta giorni li trascorre ininterrottamente in Africa e Medio Oriente: Congo, Guinea, Ghana, Algeria, Egitto, Angola. Per Guevara "l'Africa è uno dei più importanti campi di battaglia contro tutte le forme di sfruttamento esistenti nel mondo, contro l'imperialismo, il colonialismo e il neocolonialismo". In quelle settimane matura la decisione di partecipare in prima persona al conflitto che si sta svolgendo in Congo. Nel viaggio a Pechino cerca di smussare la diffidenza cinese nei confronti di Cuba e riscontra l'interesse della Cina per quanto sta accadendo in Africa.
I primi incontri con i rivoluzionari congolesi sono deludenti. Guevara rimane ben impressionato solo da Laurent Kabila, un giovane di venticinque anni che ha il grado di comandante. Con lui si trova politicamente in sintonia nel considerare il Congo un "problema mondiale": una vittoria delle forze progressiste avrebbe avuto ripercussioni sull'intero continente africano. In Congo ormai da tre mesi, non riuscirà a incontrarlo e l'episodio contribuirà al suo progressivo scoraggiamento. Il 25 febbraio il "Che" svolge il suo discorso al Secondo seminario economico di solidarietà afroasiatica che gli vale la definitiva scomunica di Mosca e i rimbrotti di Castro quando fa ritorno a L'Avana.
Con l'accordo di Castro, Guevara mette a punto la sua partenza per il Congo, nel quale dovrà guidare un gruppo di guerriglieri cubani che da qualche tempo si stanno addestrando per questa missione. Quanto accade nei mesi successivi è annotato scrupolosamente nei diari di Guevara, ma la loro versione integrale non è mai stata pubblicata. Dalle pagine che sono state rese note si apprende come il dirigente della rivoluzione cubana rimanga sempre più deluso dalla situazione congolese e dai movimenti di quel paese che lottano per l'indipendenza.
La missione si rivela un'amara sconfitta politica e militare, nonostante i contatti e gli aiuti che vengono da Cuba. Le difficoltà logistiche e militari prendono il sopravvento, la rivalità tra Cina e Urss finisce per paralizzare i movimenti guerriglieri fino a rendere del tutto marginale la presenza di Guevara sul campo di battaglia. Il "Che" si rende conto (lo scrive nei suoi diari) dell'inutilità di permanere a oltranza in quel paese. A fine novembre abbandona il Congo. Il 25 di quello stesso mese Joseph Mobutu, capo delle forze armate, si insedia al potere stroncando ogni ipotesi rivoluzionaria. Il suo regime crolla solo nella primavera del 1997.
 Prima di partire per l'Africa il "Che" scrive alcune lettere che hanno il sapore dell'addio: una è per Castro, una è per i genitori, una è per i figli. Ad Aleida lascia un nastro registrato in cui recita alcune poesie d'amore di Pablo Neruda. Il 15 aprile, mentre è già in viaggio per l'Africa, la rivista delle forze armate "Verde olivo" pubblica un saggio di Guevara dal titolo "Il socialismo e l'uomo a Cuba", nel quale sono fissate le idee di politica interna e di politica estera del ministro dell'industria che sta per abbandonare tutti i suoi incarichi dirigenti a L'Avana.
L'assenza del "Che" a Cuba scatena una ridda di voci e di preoccupazioni. Il 20 aprile Castro si limita a commentare che Guevara sta bene e si trova "dove è più utile alla rivoluzione". In molti pensano che possa essere stato arrestato e rinchiuso in un carcere a causa delle sue posizioni politiche, che probabilmente divergono da quelle di Castro e del gruppo dirigente cubano.
Anche la madre Celia è preoccupatissima per la sorte del figlio, mentre le sue condizioni di salute si aggravano: gli scrive chiedendo di incontrarlo. Muore senza che venga esaudito il suo ultimo desiderio (il padre, Guevara Lynch, morirà a L'Avana molti anni dopo, nel 1987). Solo nell'ottobre del 1965 Fidel rende pubblica la lettera con cui Guevara gli ha comunicato la decisione di lasciare l'isola.

Dopo la sconfitta in Congo, il "Che" si rende conto che non può tornare a occupare i suoi ruoli di responsabilità a L'Avana. La notizia di lasciare per sempre l'isola è stata resa ufficiale e lui medita una nuova destinazione di lotta in un paese dell'America Latina. Del suo destino si occupa la rete dei servizi cubani alle dipendenze di "Barba Roja" Piñeiro, che lo assiste in un rifugio provvisorio in Tanzania dove viene raggiunto nel gennaio 1966 dalla moglie Aleida.
In quei mesi Guevara inizia a scrivere un libro sulla sua esperienza in Congo e riprende il progetto di stendere in forma compiuta i suoi appunti filosofici e economici. Da L'Avana arriva la decisione che il "Che" deve recarsi a Praga, considerato un rifugio molto più sicuro della Tanzania. In quelle settimane Fidel Castro insiste per riaverlo a Cuba, anche se la politica della rivoluzione ha nuovamente smussato le incomprensioni con l'Unione Sovietica mentre la presenza dell'ex ministro dell'industria avrebbe potuto riaccenderle.
Guevara accetta, a condizione che il suo ritorno rimanga del tutto segreto. La richiesta viene esaudita. Nel maggio 1965 e nel gennaio 1966 (in quel periodo si svolge la Prima conferenza tricontinentale dei movimenti di liberazione di Asia, Africa e America Latina) Castro rilancia le sue critiche nei confronti della "coesistenza pacifica" praticata da Usa e Urss. Con un pizzico di polemica, il 1966 viene dichiarato a Cuba "anno della solidarietà": la rivoluzione si impegna a sostenere tutte le cause dei popoli oppressi.
Fidel sfrutta sapientemente anche le divergenze tra Mosca e Pechino per lanciare l'idea di un terzo polo del movimento comunista internazionale: L'Avana, secondo le sue intenzioni, può diventare il punto di riferimento dei popoli del Terzo Mondo. Queste mosse di Castro sono tattiche, o sui suoi proclami pesa il riavvicinamento con il "Che"?
Guevara, che è rientrato a Cuba in incognito, cerca di mettere a punto una spedizione rivoluzionaria in America Latina. La scelta si concentra sulla Bolivia, dove i militari hanno deposto il presidente Victor Paz Estenssoro. Per quella soluzione opera direttamente Castro, che la ritiene la più opportuna per dare il via a un "foco" guerrigliero che potrebbe estendersi fino ad Argentina, Venezuela e Colombia: per questo incontra ripetutamente Mario Monje, segretario del Partito comunista boliviano, che si dimostra però scettico sulla possibilità che Guevara vada con i suoi guerriglieri in Bolivia.
L'idea che si fa strada nel "Che" è quella di "creare due, tre, molti Vietnam". Il suo quartier generale per i preparativi del trasferimento in Bolivia diventa la zona di Pinar del Rio, la punta occidentale dell'isola. Con lui ci sono alcuni uomini che lo hanno accompagnato sulla Sierra Maestra negli anni della guerriglia cubana e seguito perfino in Congo: Harry Villegas (da tutti chiamato "Pombo"), Carlos Coello, José Maria Tamajo, Octavio de la Concepción, Israel Reyes Zayas.
Si aggiungono al gruppo i boliviani Coco e Inti Peredo (che hanno abbandonato in dissenso il partito comunista del paese d'origine), Vesquez Viana. Tamara Bunke sta già operando in incognito dai primi mesi del 1966 a La Paz, dove è riuscita a ottenere un lavoro e la cittadinanza grazie a un matrimonio di convenienza. La raggiunge molto presto Tamajo, che ha il compito di preparare le condizioni logistiche per l'insediamento dei guerriglieri.
Nel Partito comunista boliviano la prospettiva dell'arrivo dei combattenti cubani acutizza le divisioni tra filocinesi e filosovietici: sono i primi i più convinti della necessità di appoggiare la guerriglia, anche se il "Che" rifiuta di schierarsi con gli uni o con gli altri. Dei contatti con i comunisti boliviani si occupa in una seconda fase Regis Debray, giovane intellettuale francese entrato nelle grazie di Castro e soprattutto del "Che".
La zona prescelta da Guevara in Bolivia è in un primo momento l'Alto Beni, dove - secondo le informazioni che ha ricevuto - potrebbe contare sull'aiuto dei contadini e su una vegetazione che avrebbe favorito i movimenti clandestini dei suoi uomini. Poi, su consiglio di Monje, sceglie la zona di Nacahuasu.
I rapporti tra l'ex ministro dell'industria di Cuba e i comunisti boliviani si deteriorano già nel settembre del 1966, mentre sono allo studio i preparativi della missione: non c'è convinzione rispetto all'avvio dell'insurrezione e il partito vuole controllare ogni mossa di quello che può accadere sul campo di battaglia. Guevara reagisce cercando di ottenere l'appoggio sia di Mosca che di Pechino (tenta di convincere Monje a recarsi in Unione Sovietica; invia una lettera personale a Chu En Lai, il prestigioso ministro degli esteri cinese che ha conosciuto nel suo viaggio a Pechino).
Il "Che" giunge a La Paz il 3 novembre 1966, dopo un viaggio lunghissimo: Parigi, Mosca, Praga, Madrid, San Paolo. Sul suo passaporto reca il nome di un cittadino uruguaiano: Adolfo Mena González che avrebbe il compito ufficiale di stendere un rapporto sulla situazione socio-economica della Bolivia su richiesta dell'Organizzazione degli Stati americani. Prima di partire è andato a salutare i figli (Aleidita, Camilo, Celia e Ernesto avuti da Aleida March e Hildita avuta da Hilda Gadea) fingendosi Ramón, un amico di loro padre (il trucco lo ha invecchiato e gli ha prodotto una incipiente calvizie).
Nelle settimane precedenti - presentato da Castro ad altri dirigenti in occasione di un ristretto ricevimento - è riuscito a non farsi riconoscere neppure dagli amici più stretti. Le ultime ore a L'Avana le ha passate con sua moglie Aleida e con Castro.
Quando Guevara incontra Monje in Bolivia, il 31 dicembre 1966, il dissidio si rivela non ricomponibile: il segretario dei comunisti boliviani chiede la direzione politica dell'attività guerrigliera, proponendo una miscela tra iniziative legali e illegali.
In pratica vuole il controllo politico delle azioni del gruppo al comando del "Che": una richiesta inaccettabile. Questa frattura costituisce un primo handicap per la guerriglia: ne accentua l'isolamento e le impedisce di lavorare alla più ampia unità del fronte della sinistra boliviana. Il gruppo di guerriglieri resta composto da sedici cubani, trenta boliviani, due argentini e tre peruviani.
Castro scrive a Guevara: "Si è completata l'équipe cubana con successo; il morale della gente è buono e ci sono solo piccoli problemi. I boliviani vanno bene, anche se sono pochi. L'attitudine di Monje può da un lato ritardare lo sviluppo dell'azione, ma contribuire dall'altro a liberarmi da eccessivi compromessi politici".
Tutte le fasi di ciò che accade in Bolivia - dal 7 novembre 1966 al 7 ottobre 1967 - sono raccolte scrupolosamente nel "Diario" di Guevara. Il primo scontro con l'esercito si svolge il 23 marzo 1967, a nord di Camiri, nella zona di Nancahuazu: il conflitto a fuoco è casuale, una pattuglia di militari viene chiamata sul luogo a causa di alcuni movimenti sospetti.
I piani del "Che" non prevedono che le autorità boliviane vengano a conoscenza così presto delle sue mosse: avrebbe voluto preparare le condizioni dello scontro per altri nove mesi.
Come mai si verifica quell'incidente? Errori logistici di sicuro, ma è anche probabile che nel gruppo vicino ai guerriglieri ci sia qualche delatore. Ormai il governo di La Paz è a conoscenza che un gruppo gerrigliero è presente sul suo territorio: non sa che è agli ordini di Guevara. La prima misura che si adotta nella capitale boliviana è quella di mettere fuori legge il Partito comunista (il provvedimento è datato 11 aprile). Guevara, amaramente, annota nel suo diario che "la base contadina non si sviluppa" e che "le malattie hanno minato la salute di alcuni compagni".
Il gruppo guerrigliero - a cui si sono uniti nel frattempo Regis Debray, il pittore argentino Roberto Bustos, il fotografo cileno George Roth - cerca di raggiungere una zona più sicura. Ma a Muyupampa, il 20 aprile, vengono arrestati Debray e Bustos. Quest'ultimo - dopo alcune settimane di carcere - rivela i piani della guerriglia e disegna gli identikit dei suoi protagonisti.
Anche Debray, sotto tortura, finisce per parlare ("Debray ha parlato più del necessario", scrive il "Che" nel riepilogo del suo "Diario" nel mese di aprile).
Altri scontri con l'esercito si verificano a maggio. Guevara prende nota che non ci sono contatti con La Paz e che il reclutamento dei contadini non fa un passo in avanti. Nella capitale il governo decide di decretare lo stato d'assedio e di arrestare molti esponenti della sinistra. I consiglieri statunitensi - prontamente giunti in Bolivia - iniziano l'addestramento di reparti speciali anti-guerriglia.
Il successo più importante per gli uomini di Guevara si verifica il 7 luglio, quando occupano la città di Samijpata, che taglia in due la Bolivia lungo la strada che unisce Cochabamba a Santa Cruz.
La controffensiva dell'esercito non si fa attendere e la zona viene riconquistata. Da quel momento in poi isolamento e scoramento vincono sulle possibilità di organizzare l'insurrezione. Il gruppo si è intanto diviso in due. Quello di cui fa parte Tania Bunke viene individuato e sterminato il 31 agosto a Vado del Yeso.
Guevara ne ha notizia dalla radio boliviana, ma spera in una montatura e nel possibile ricongiungimento. Nel "Diario" vengono intanto appuntati i sintomi della disgregazione del manipolo guerrigliero che inizia a vagare sulle montagne boliviane senza un piano preciso.
Le comunicazioni con L'Avana sono difficili. Il "Che" riceve dei messaggi in codice ascoltando le trasmissioni di "Radio Avana" con la sua radio da campo. Castro, quando ha potuto comunicare con lui, lo ha sempre rassicurato sulla rete di rapporti politici che si sta tessendo a Cuba per non lasciarlo isolato.
Resta il fatto che il quartier generale cubano non fa granché per tirare fuori Guevara dal labirinto boliviano: non si organizza una spedizione ad hoc, mentre dalla Bolivia giungono notizie sempre più preoccupanti sulla sorte di quel manipolo di guerriglieri. Non manca certo la solidarietà politica, è però assente quella militare e logistica.
Il 10 agosto 1967 - a riprova che Cuba sostiene il tentativo di Guevara - Castro conclude a L'Avana, presso il cinema Chaplin, la prima conferenza dell'Organizzazione di solidarietà latinoamericana: il suo discorso è di pieno appoggio alle guerriglie del continente e di critica rispetto alle prudenze dell'Unione Sovietica.
Il "Che" ha indirizzato a quella conferenza un messaggio - attraverso le pagine della rivista "Tricontinental" nel suo numero di aprile - in cui ripropone la sua idea di creare "due, tre, molti Vietnam". Quella conferenza non piace ai movimenti rivoluzionari che si riconoscono nelle posizioni dell'Unione Sovietica. Ed è probabile che il Kgb, il servizio segreto sovietico, abbia concorso dopo quest'episodio ad accrescere l'isolamento del "Che" in Bolivia (Tania Bunke aveva il compito di sorvegliare le sue mosse e di tenere informato il Cremlino?).
Il 7 ottobre, nell'ultima pagina del "Diario", Guevara scrive: "Si compiono undici mesi dall'inaugurazione della guerriglia. Giornata senza complicazioni, bucolica... ci rendiamo conto che siamo a circa una lega da Higuera". E' un appunto che si rivela del tutto inconsapevole di quello che sta per accadere.
Una vecchia contadina ha scoperto accidentalmente i guerriglieri, che cercano di comprare il suo silenzio con cinquanta pesos. "Ma ci sono poche speranze che mantenga il silenzio", si legge nel "Diario". Il giorno dopo, presso la Quebrada del Yuro, i diciassette uomini superstiti dell'iniziale gruppo di guerriglieri che ha iniziato l'avventura boliviana con il "Che" vengono sorpresi da cinque battaglioni di ranger.
Sei muoiono nello scontro, otto riescono a fuggire, tre sono fatti prigionieri. Tra loro, ferito, c'è lo stesso Guevara, che rivela la sua identità e viene trasportato nel villaggio di La Higuera, distante otto chilometri. I prigionieri vengono rinchiusi in una scuola.
Il "Che" è ripetutamente interrogato. Si rifiuta di rispondere alle domande. I militari sono al comando di Andrés Selich e di Miguel Ayaroa. Il 9 ottobre giunge sul luogo il cubano Felix Ismael Rodríguez Mendigutia, che è entrato a far parte della Cia e tenta inutilmente di far parlare il prigioniero. In mattinata, da La Paz giunge l'ordine di ammazzare Guevara: a prendere la decisione hanno provveduto il presidente boliviano Barrientos e i funzionari dei servizi segreti americani che sono in perenne collegamento con Washington.
A sparare i colpi mortali ci pensa il militare Mario Teran (gli assassini di Guevara moriranno tutti in circostanze misteriose negli anni successivi). Si chiudono in questo modo trentanove anni vissuti intensamente.
Il cadavere - trasportato fin lì con un elicottero - viene esposto all'ospedale Signore di Malta su un tavolaccio a fotografi, tv e giornalisti. Il "Che" ha gli occhi aperti, la divisa sbottonata. Il suo corpo viene sepolto di nascosto in un angolo della località di Vallegrande, a duecentoquaranta chilometri a est di Santa Cruz (nel 1996 il governo boliviano ha autorizzato le ricerche in prossimità di un aeroporto per ritrovarne i resti).
Le mani vengono tagliate e fatte arrivare a Cuba, affinché L'Avana prenda atto che Guevara è davvero morto. Il 15 ottobre, in un discorso televisivo, Castro conferma a tutto il mondo la morte del "Che". Il 18 ottobre, nella Piazza della rivoluzione, si svolge la "veglia funebre" in memoria di quello che viene ribattezzato "il guerrigliero eroico". Vi partecipa una folla immensa e commossa.
Cosa accadde ai superstiti? La versione più attendibile è quella di Harry Villegas, alias Pombo, che è stato accanto a Guevara dal 1957 al 1967. Del gruppo guerrigliero si salvano tre cubani: lui, Dariel Alarcon (Benigno), Leonardo Tamayo (Urbano). Ci riescono perché proprio il "Che" li aveva convinti per motivi strategici a separarsi dal suo gruppo. La notizia dell'arresto del loro leader l'apprendono dalla radio.
E' un dettaglio a confermare l'accaduto ("Parlavano delle calzature, di due paia di calzini: il "Che" ne usava sempre due paia, perché aveva la pelle molto sensibile e così la proteggeva"). Amarezza e sorpresa lasciano subito il posto al lucido tentativo di sottrarsi all'esercito boliviano e agli agenti della Cia. Scontri a fuoco con i militari, clandestinità, altri compagni ammazzati costellano la rottura dell'accerchiamento.
Solo nel gennaio del 1968 i superstiti (aiutati da ciò che resta della rete guerrigliera e da qualche componente del Partito comunista boliviano) riescono a giungere a La Paz da Cochabamba a bordo di un camion di fortuna. Da lì parte la loro marcia forzata verso il confine con il Cile, dove giungono il 15 febbraio. Falliti i contatti con Perù e Ecuador per un rapido rimpatrio, i tre devono iniziare un vero e proprio giro del mondo per tornare a Cuba. Prima l'Isola di Pasqua, poi Tahiti, Numea (isoletta del Pacifico), Sri Lanka, Addis Abeba, Parigi, Mosca e finalmente L'Avana, dove il 6 marzo trovano Fidel Castro ad aspettarli all'aeroporto.
Anche le pagine del "Diario" di Guevara arrivano a Cuba in modo rocambolesco, grazie soprattutto a Salvador Allende, leader socialista cileno (è lui ad accogliere i tre cubani superstiti in Cile e ad avviarli verso Tahiti). Una prima versione viene pubblicata sulla rivista cilena "Punto Final" alla fine di gennaio 1968. I microfilm del "Diario" giungono a L'Avana nel mese di marzo.
Il primo luglio esce nelle librerie cubane la prima edizione stampata del "Diario" con un'introduzione di Castro (mancano solo poche pagine che saranno reintegrate molti anni dopo). Quel libro diventa un bestseller in tutto il mondo.
Il 28 gennaio 1968 c'è un episodio che è una specie di ondalunga del dissidio che ha contrapposto per qualche tempo Cuba all'Unione Sovietica. Il comitato centrale del Partito comunista cubano espelle Aníbal Escalante e altri nove dirigenti dell'ex Partito socialista popolare (il vecchio partito comunista pre-rivoluzione) con l'accusa di aver organizzato una "microfrazione" legata alle direttive di Mosca.
Nella polemica viene coinvolto anche lo staff dell'ambasciata sovietica a L'Avana. La rottura tra Cuba e Urss è totale e i "barbudos" sembrano ricercare l'originalità dei primi anni della rivoluzione che hanno via via perduto. Ma ad agosto, mentre i carri armati di Mosca hanno invaso Praga, giunge inaspettata un'ulteriore correzione di rotta.
Castro, in un solenne discorso, difende quella scelta dell'Unione Sovietica piegandola alle esigenze di Cuba: "Noi accettiamo l'amara necessità che ha reso inevitabile l'impiego della forza in Cecoslovacchia, ma abbiamo il diritto di esigere che si prenda una posizione coerente in tutte le altre questioni che riguardano il movimento rivoluzionario nel mondo". Fidel teme di restare solo sulla scacchiere internazionale e in balia degli Stati Uniti? La morte di Guevara chiude il ciclo delle speranze di estendere la rivoluzione in America Latina e di costituire un terzo polo (rivoluzionario e non allineato alle grandi potenze) nello scenario mondiale. Quel discorso di Castro segna un passaggio di fase.
Nonostante negli ultimi anni si sia riacceso un interesse per la ricerca storiografica intorno a Guevara e sia ripartito un dibattito intorno a un personaggio che somiglia a un puzzle (i suoi scritti sono disponibili in nuove edizioni), non è possibile ritenere esaurite le fonti che possono aiutare un giudizio e un'interpretazione definitivi. Nei cassetti dei servizi segreti di Mosca, Washington e L'Avana sono ancora rinchiusi troppi documenti che riguardano il "Che" e i suoi disperati tentativi rivoluzionari in Congo e Bolivia.
Non è stata ricostruita nei dettagli la sua esperienza di ministro e di uomo di Stato a Cuba. Sui suoi rapporti con Castro sono state avanzate delle ipotesi non suffragate da documenti e testimonianze (o pieno accordo o totale conflitto sull'evoluzione della rivoluzione cubana).
Non sono stati pubblicati integralmente neppure tutti i suoi scritti: sul diario del Congo, sugli appunti filosofici e economici grava ancora il veto del Consiglio di Stato cubano, mentre su qualche scritto giovanile vegliano la moglie Aleida e i suoi figli che vivono a L'Avana. Il boom editoriale che circonda il personaggio non ha esaurito affatto l'indagine e il confronto sulle interpretazioni possibili e su alcuni passaggi della sua biografia umana e intellettuale.
E poi la rivoluzione cubana e Fidel Castro non hanno abdicato: stanno cercando in questi anni Novanta nuove vie per convivere con un mondo del tutto cambiato rispetto al 1959 e ai tre decenni successivi. Il "Che" fa parte della storia, ma su di lui, Cuba e Castro si fa fatica a far prevalere il distacco storico. Sta qui - nella ricerca che continua - una delle attualità di questo argentino inafferrabile che il caso ha portato a Cuba e poi a girare per i diversi continenti come messaggero e diplomatico del Terzo Mondo, nel tentativo di rendere più giusto un pianeta diseguale in anni irripetibili per ansie e propositi di liberazione.
L'America Latina e l'Africa contemporanee, nelle loro drammatiche contraddizioni, non sono molto distanti da quelle del decennio Sessanta. Se c'è una lezione da trarre dalla vita di Guevara, forse consiste nella sua capacità di mettersi in discussione continuamente, senza adagiarsi in presunte certezze e nel richiamo finanche ossessivo alla situazione di degrado del Terzo Mondo.
La sua voglia di conoscere e di fare non si è mai fermata. La sua coerenza morale e etica ha spesso sfiorato la testardaggine, ma è stata una bussola inossidabile di riferimento. I giovanissimi che in tutto il mondo indossano le magliette con il suo volto stampato non sanno granché dei suoi trentanove anni di vita. Intuiscono semplicemente la forza di un simbolo ribelle in cui riconoscersi. Di simboli, miti e totem è cosparsa anche l'era di Internet, fax e satelliti. Non sempre si tratta di cattivi maestri.
Gli anni trascorsi dalla famiglia Guevara a Alta Gracia sono ricostruiti nel libro di Stefano Sieni "L'altra faccia del Che. Il mito "bambino" (Casa editrice Le Lettere, 1996 Firenze). Il periodo va dal 1932 al 1943. L'autore ha incontrato gli amici d'infanzia del "Che" che hanno seguito come un'eco lontana le sue gesta prima di guerrigliero, poi di ministro e uomo di Stato e poi ancora di guerrigliero in Congo e Bolivia.
Dalle parole dei compagni di giochi e di scuola viene fuori il ritratto di un ragazzino malato e testardo, allevato in una casa piena di libri e di visitatori, generoso e allegro, con un particolare attaccamento per la madre. In questo libro si possono leggere alcuni episodi inediti sulla vita di Ernesto Guevara.

La Guerra civile spagnola si svolge dal 1936 al 1939. Il 18 luglio 1936 scoppia una rivolta militare contro il governo del Fronte popolare di Largo Caballero. A guidarla è il generale Francisco Franco che per combattere la sinistra fa affidamento sui settori monarchici e cattolici, ma soprattutto sulla Falange fascista fondata nel 1933 da José Antonio Primo de Rivera.
I rivoltosi sono appoggiati sul piano militare da Germania, Italia e Portogallo. Il governo repubblicano ottiene l'aiuto della Francia e dell'Unione Sovietica, mentre giungono in Spagna "brigate internazionali" formate da militanti comunisti, socialisti e anarchici (60.000 uomini).
Franco conquista Madrid nel 1939. Il suo governo viene riconosciuto da Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Il bilancio della Guerra civile spagnola è di un milione di morti.

Alberto Granado è nato a Cordoba, Argentina, nel 1922. Dal 1961 vive a L'Avana dove lavora come biologo in un centro di ricerche sui problemi dell'agricoltura. A volerlo a Cuba è stato proprio Ernesto Guevara che chiese a tutti i suoi migliori amici di dividere con lui l'avventura rivoluzionaria. A cementare l'amicizia tra i due ci aveva pensato il viaggio in moto per l'America Latina iniziato alla fine del 1951. Granado ha raccolto i suoi ricordi di allora nel libro di memorie "Con el Che por Sudamerica".


"L'ultima volta che ho visto il 'Che' - racconta - è stato a Santiago di Cuba nel 1965. Stavo tenendo una lezione all'università e lo vidi entrare nell'aula con la sua nuova moglie, Aleida March. Gli chiesi il motivo della sua visita, ma rispose solo con un cenno. Lo invitai a mangiare in una pizzeria che si chiamava Fontana di Trevi. Parlammo con la solita amicizia di sempre. Infine mi salutò dicendo che aveva lasciato due libri per me a L'Avana. Non sapevo che si trattava di un addio".

Il colonnello Juan Domingo Perón (nato a Lobos nel 1895) giunge al potere nel 1946: viene eletto presidente della Repubblica e comincia ad applicare su larga scala una politica nazionalistica. Le sue riforme demagogiche gli assicurano un largo sostegno popolare, ma provocano inflazione e contrasti con la Chiesa a causa della decisione di rendere legali i matrimoni civili.
Nel 1945 sposa Eva Duarte, annunciatrice radiofonica, che diventerà famosissima al suo fianco (muore il 26 luglio 1952). Nel 1947 Perón pronuncia la "Dichiarazione d'indipendenza economica" che presuppone la fine del predominio statunitense sullo sviluppo del paese. Nel 1951 la sua politica è travolta dalla crisi: l'Europa, dopo la Seconda guerra mondiale, è in ripresa e riduce sensibilmente la domanda di prodotti alimentari agricoli. Perón riesce ugualmente a farsi confermare alla presidenza.
Nel 1955 un golpe militare rovescia la sua leadership: una parte dell'esercito è con lui, gli operai organizzati dai sindacati sono pronti a battersi e chiedono le armi, ma il presidente preferisce scegliere l'esilio. Il 12 ottobre 1973 viene rieletto presidente per la terza volta. Alla vicepresidenza è chiamata la moglie di allora, Isabel Martinez. Anche questa volta critica "gli imperialismi americano e sovietico", proponendo un'alleanza tra i paesi sottosviluppati.
Muore l'1 luglio 1974. E' il personaggio di questo secolo che ha maggiormente influito sulla politica e la società argentina: per trent'anni la vita di quel paese ha ruotato intorno alle sue idee e alle sue iniziative che rappresentano una forma ambigua di nazionalismo tipicamente latinoamericano.

Pablo Neruda, nato in Cile nel 1904, è considerato il più grande poeta latinoamericano di questo secolo. Tra le sue opere ricordiamo "Venti poemi d'amore e una canzone disperata", "Canto generale", "Cento sonetti d'amore". Il poeta, nei cui versi l'amore occupa sempre un posto centrale, ricevette il premio Nobel per la letteratura nel 1972. E' morto nel 1973, poco dopo il colpo di Stato militare che nel settembre di quell'anno destituì con la forza il presidente socialista Salvador Allende. La sua sensibilità non ha retto di fronte alla dittatura che si stava impadronendo del Cile. Aveva sempre preso posizione a favore delle cause progressiste dei movimenti dell'America Latina.

Josè Carlos Mariategui nasce a Moquegua, Perù, nel 1894 e muore a Lima nel 1930. Nonostante la sua breve vita, viene considerato il teorico marxista più importante che abbia avuto l'America Latina. I suoi biografi ne sottolineano la capacità critica e non dogmatica. Giornalista, ideatore di riviste ("Nuestra Epoca", "La Razón", "Amauta") e di una casa editrice (Minerva), fondatore del Partito socialista peruviano e della Confederazione generale dei lavoratori del Perù, narratore e autore di opere teatrali, Mariategui è stato un lucido interprete della realtà politica e culturale del suo tempo.
Nel 1919 inizia un viaggio in Europa che lo porta in Francia, Spagna e Italia. Proprio in Italia diventa amico di Antonio Gramsci e partecipa nel 1921 alla fondazione del Partito comunista d'Italia a Livorno. Nei suoi articoli sulla situazione italiana descrive il fascismo che sta per prendere il potere.
Tra le sue opere tradotte in italiano: "Lettere dall'Italia e altri scritti" (Editori Riuniti, 1973), "Il romanzo e la vita" (Marietti, 1990), "Difesa del marxismo" (Fahrenheit, 1996).

Il governo di sinistra guidato da Jacobo Arbenz in Guatemala dura dal 1949 al 1954. Arbenz avvia una politica economica progressista e espropria la United States Fruit Company, ma viene rovesciato da un colpo di Stato con l'appoggio degli Stati Uniti. Il colonnello Castillo Armas, il suo successore, viene assassinato nel 1957. Nel corso dell'esperimento progressista in Guatemala dei primi anni Cinquanta erano giunti in quel paese molti militanti della sinistra latinoamericana.

Hilda Gadea, prima moglie di Ernesto Guevara, ha raccolto le sue memorie nel libro "I miei anni con il Che" (Erre emme, 1995). Nata in Perù, laureatasi all'Università di Lima, è costretta all'esilio in Guatemala per aver aderito alla corrente di sinistra dell'Apra (un partito schierato su posizioni progressiste e di opposizione). "Non esisti più fisicamente, Ernesto 'Che' Guevara, ma rimane il tuo esempio, la tua opera, i princìpi per i quali sei caduto. Sarai sempre presente nelle nostre lotte", ha scritto in una delle sue note del febbraio 1968.

John Fitzgerald Kennedy nasce il 29 maggio 1917 a Brooklyn, Massachusetts. Nel 1937 viene nominato ambasciatore a Londra. Dal 1940 al 1945 partecipa alla Seconda guerra mondiale come volontario in Marina. Nel 1946 viene eletto rappresentante del Partito democratico alla Camera dei deputati per l'XI distretto del Massachusetts. Nel 1952 viene eletto senatore per il distretto di Boston. Negli anni successivi svolge un'attiva opposizione contro le politiche conservatrici del Partito repubblicano del presidente Eisenhower.
Nel 1960 vince le elezioni presidenziali sull'onda di una politica rinnovatrice e antirazzista a favore dei diritti civili per i cittadini dalla pelle nera. La sua presidenza elabora la teoria della "nuova frontiera" : il rilancio dell'egemonia di Washington sul mondo, seppure caratterizzata da valori progressisti. Ma sarà proprio lui a intestardirsi nella politica contro Cuba e Vietnam. Kennedy viene ucciso a Dallas il 23 novembre 1964 a bordo della sua auto presidenziale mentre sta percorrendo le vie della città nel corso di una visita ufficiale. Sugli esecutori e i mandanti di quell'assassinio resta un alone di fitto mistero.

Nikita Krusciov nasce il 17 aprile 1894 a Kalinovka. Nel 1918 aderisce al Partito comunista sovietico (Pcus). Nel 1932 è nominato segretario dell'organizzazione del partito a Mosca. Sette anni dopo entra a far parte del Politburo, organo supremo del Pcus. Tra il 1941 e il 1943 partecipa alla Seconda guerra mondiale sul fronte di Stalingrado e di Voronej. Nel 1953, quindici giorni dopo la morte di Stalin, diventa primo segretario del Pcus.
Il 25 febbraio 1956 legge il "rapporto segreto" al XX Congresso del Partito comunista in cui denuncia i guasti politici e repressivi provocati dallo stalinismo. Nel novembre dello stesso anno decide di inviare le truppe del Patto di Varsavia in Ungheria per reprimere la rivolta contro il governo comunista di quel paese. La sua gestione dell'Unione Sovietica è improntata all'idea di una possibile riforma del socialismo e a quella del superamento del gap economico che divideva Mosca dagli Stati Uniti e dagli altri paesi capitalistici.
Il 15 ottobre 1964 l'agenzia di stampa "Tass" annuncia che Krusciov ha dato le dimissioni "per ragioni di salute" e che è sostituito da Leonid Breznev alla segreteria del partito. Muore a Mosca, totalmente isolato, nel 1971.
Willy Brandt, leader storico dei socialdemocratici della Germania Ovest, nasce il 18 dicembre 1913 a Lubecca. E' stato colui che con più tenacia ha perseguito l'obiettivo del dialogo tra Ovest e Est (la cosiddetta "Ostpolitik") negli anni caratterizzati dalla "guerra fredda" che dominava la scena mondiale del secondo dopoguerra. Brandt ha ricoperto il ruolo di presidente della Spd (il partito socialdemocratico) a partire dal 1964 fino al marzo 1987 e quello di Cancelliere dal 21 ottobre 1969 fino al 1974. Dal 1957 al 1964 ha rivestito la carica di borgomastro a Berlino. Nel 1971 gli è stato assegnato il premio Nobel per la pace. Muore nel 1992, dopo che si è realizzato il sogno della sua vita: la riunificazione tedesca sancita nel 1990, dopo la caduta del Muro di Berlino avvenuta nel 1989.

Angelo Giuseppe Roncalli nasce il 25 novembre 1881 a Sotto il Monte (Bergamo). Viene ordinato sacerdote il 10 agosto 1904. Nel 1934 gli viene assegnata la delegazione apostolica di Turchia e Grecia. Nel dicembre 1944 diventa Nunzio apostolico a Parigi. Nel 1946 viene nominato osservatore della Santa Sede all'Unesco. Diventa cardinale nel 1953. Il 28 ottobre 1958, alle ore 17, viene eletto Papa e assume il nome di Giovanni XXIII succedendo a Pio XII. Il 25 gennaio 1959 annuncia la celebrazione del Concilio ecumenico che si apre l'11 ottobre 1962.
Le sue encicliche "Mater et Magistra" e "Pacem in terris" segnalano il bisogno di rinnovamento della Chiesa cattolica. L'ultima disegna i compiti ecclesiastici in un mondo moderno dilaniato dalle guerre e dalle tensioni tra paesi del Sud e del Nord. Giovanni XXIII muore il 6 giugno 1963. Il suo è stato un breve pontificato che ha però lasciato un segno indelebile nella Chiesa di Roma.


Nguyen Sinh Cung, detto Ho Chi Minh, nasce il 19 maggio 1890. Nel 1917 si trasferisce a Parigi, dopo aver vissuto negli Stati Uniti e in Inghilterra. Nel 1920 partecipa alla fondazione del Partito comunista francese. Tre anni dopo si reca a Mosca, dove si stabilisce fino al 1924. Nel 1930, a Hong Kong, fonda il Partito comunista indocinese e negli anni successivi segue da vicino le vicende della rivoluzione cinese. Nel 1945 viene eletto presidente del governo della neonata Repubblica democratica vietnamita.
L'anno dopo risulta primo nelle elezioni alla presidenza della Repubblica. Nel 1947 divampa il conflitto con la Francia che vuole riconquistare quei territori: la guerra si conclude solo nel 1954 con la decisione di dividere il Vietnam in due zone (Sud e Nord). Il processo di unificazione del paese che doveva terminare nel 1956 viene più volte rinviato con la motivazione del "pericolo comunista" rappresentato da una possibile presidenza di Ho Chi Minh.
Il 7 febbraio 1965 si svolgono i primi bombardamenti di aerei statunitensi sul Vietnam del Nord. La guerra dura fino al novembre 1968. Ho Chi Minh muore il 6 giugno 1969, dopo aver contribuito alla riunificazione del Vietnam e alla sconfitta dell'interventismo di Washington.

Mao Tse Tung, il leader della rivoluzione cinese del 1949, è nato nel villaggio di Shao Shan nel 1893. Nel 1918, diplomatosi, si reca a Pechino dove frequenta alcuni corsi universitari e lavora alla biblioteca dell'università. E' lì che incontra Li Ta-chao, l'economista che per primo diffonde il pensiero marxista in Cina, e Ch'en Tu-hsiu, che sarà per sei anni il segretario del Partito comunista cinese (Pcc). Nel 1921 è tra gli appena dodici partecipanti al primo congresso del Pcc. Tra il 1934 e il 1935 partecipa alla "Lunga marcia" che dà inizio alla rivoluzione cinese. Proprio in quel periodo viene eletto presidente del partito. Agli inizi degli anni Quaranta guida la rivolta contro l'occupazione giapponese della Cina.
Tra il 1946 e il 1947 dirige la lotta dei comunisti contro i nazionalisti che chiedono la semplice evacuazione degli occupanti dal paese. Il primo luglio del 1949 annuncia che i comunisti hanno conquistato la Cina. Il primo ottobre viene fondata la Repubblica popolare cinese.
Nel 1954 viene eletto presidente della Repubblica. Nel 1958 lascia questo incarico per dedicarsi esclusivamente alla direzione del partito. Nei primi anni Sessanta - con la parola d'ordine "sparare sul quartier generale " - lancia e gestisce la "rivoluzione culturale" contro i pericoli di burocratizzazione del partito e dello Stato. Mao Tse Tung muore a Pechino nel 1976.

La guerra di Corea dura dal 1950 al 1953. Gli Stati Uniti intervengono direttamente nel conflitto che alla fine vede la divisione del paese in un Nord guidato dalle forze comuniste fedeli al leader Kim Il Sung e in un Sud filostatunitense. Questo conflitto estende a Oriente la penetrazione delle posizioni comuniste e acquista il sapore di una lotta per l'autodeterminazione politica bloccata da un intervento straniero.

Cuba è stata "scoperta" da Cristoforo Colombo nel corso del suo primo viaggio verso le Americhe del 1492. La colonizzazione spagnola fece strage di "siboneys" e "tainos", le due popolazioni indigene che abitavano l'isola e che non superavano le 200.000 unità. A guidare la loro resistenza fu un capo ribelle di nome Hatuey, che venne bruciato vivo come si faceva un tempo con le streghe e gli "infedeli" perché non aveva voluto convertirsi alla religione cattolica: una piccola statua lo ricorda nella piazza centrale di Baracoa, la prima città fondata dagli spagnoli, e luogo dove arrivò Colombo per la prima volta. La conquista definitiva dell'isola si deve a Diego Velázquez, che nel 1510 partendo da Baracoa esplorò ogni palmo di quel territorio e piegò con la forza la resistenza degli indios.
Dopo la metà del 1500, L'Avana diventa uno dei più grandi porti del mondo, ma anche ritrovo di scorribande di pirati e contrabbandieri francesi, inglesi e olandesi che cercano di dare l'assalto alla flotta spagnola. La collocazione geografica è ideale per fare sosta durante la traversata verso le Americhe. Si spiega così il fatto che il simbolo di Cuba finisca per diventare una "chiave", la chiave d'accesso da un punto all'altro del continente americano.
Di pari passo con la conquista da parte spagnola, procede lo sfruttamento delle risorse naturali. Già nel 1614 inizia la coltivazione su grande scala del tabacco, tra le principali ricchezze naturali di Cuba, grazie anche alla particolare temperatura e umidità dell'isola. Presto diventerà un prodotto pregiato in tutto il mercato europeo.
E' intorno alla coltivazione del tabacco e della canna da zucchero che si formano i primi insediamenti stabili di immigrati, che nel Settecento daranno origine alla borghesia "creola" (la prima generazione figlia di immigrati, ma nata sull'isola). Nel 1762, per quasi un anno, L'Avana viene conquistata dagli inglesi che non riusciranno però a prendere possesso delle altre città dell'isola.
Nonostante la sua breve durata, la presenza inglese rivoluziona l'economia cubana. I modelli economici che vengono da quell'isola europea sono molto più avanzati di quelli di origine spagnola.
Via via che si sviluppa il commercio via mare, prende corpo la tratta degli schiavi. Dall'Africa - soprattutto dalla Nigeria - vengono trasportati a Cuba migliaia e migliaia di persone di pelle nera. Proprio nel 1763, mentre sta per finire il dominio dell'Inghilterra su L'Avana, si assiste all'exploit della produzione di zucchero, che diventa virtù e dannazione di quest'isola.
Nel 1827 dei 700.000 abitanti dell'isola il 56 per cento è costituito da neri e schiavi. Questa percentuale spiega la non partecipazione di Cuba alla guerra di indipendenza dalla Spagna che infiamma l'America Latina nel corso del XIX secolo: la borghesia creola teme che senza la protezione di Madrid saranno i neri a prendere il potere.
Ma c'è pure chi - nella stessa borghesia nazionale - inizia a guardare alla prospettiva di una possibile annessione di Cuba agli Stati Uniti. La tentazione di far cadere l'isola sotto l'egemonia statunitense si era del resto già realizzata nel 1823 con la "dottrina Monroe" (prende questo nome dall'omonimo presidente del nuovo Stato confederato) che recitava più o meno così: "L'America agli americani e Cuba prima o poi agli americani".
Quando nel 1841 la popolazione residente nell'isola raggiunge un milione di unità, la percentuale dei neri sale al 58 per cento. Lo sviluppo dell'industria dello zucchero è inarrestabile e nei suoi riflessi sociali dà avvio alla singolare contaminazione tra cultura bianca e cultura nera. Nel 1837, prima che in qualsiasi paese dell'America Latina e prima che nella stessa Spagna, viene costruito un tratto di ferrovia su rotaia: collegherà L'Avana a Bejucal.
La guerra d'indipendenza dura ben trent'anni e si avvia nel 1868, quando il ricco proprietario terriero Carlos Manuel de Cespedes mette in libertà i suoi schiavi e suona la campana della sua azienda al grido di "Viva Cuba libera", di fronte a migliaia di cittadini che condividono il proposito di fare dell'isola una nazione pienamente indipendente. Il 24 febbraio 1895 inizia la fase finale della guerra d'indipendenza organizzata e diretta da José Martì che riunifica tutte le componenti del nazionalismo cubano intorno al Partito rivoluzionario.
Il 10 dicembre 1898 viene firmato un trattato di pace tra Spagna e "mambises" (erano chiamati così i combattenti per l'indipendenza). A mediare tra i due contendenti nella fase terminale della guerra ci avevano pensato gli Stati Uniti. Lo zampino di Washington è ben visibile nell'"Emendamento Platt" (dal nome del senatore proponente) che accompagna la sigla della pace: "Cuba acconsente che gli Usa si riservino e mantengano il diritto di intervento per la conservazione dell'indipendenza cubana e il mantenimento di un governo solido".
Quell'emendamento prevede anche che l'isola non possa firmare trattati o prestiti internazionali senza la previa autorizzazione di Washington. Veniva concesso agli Stati Uniti anche l'usufrutto della base militare di Guantanamo su territorio cubano (ancora attualmente occupata da truppe statunitensi, ma che dovrebbe essere restituita allo Stato cubano nel 1999). L'"Emendamento Platt" verrà addirittura inserito come norma nella prima Costituzione di Cuba nazione indipendente (di qui la definizione di quel periodo come "pseudo Repubblica").
Nel 1906 si verifica il primo sbarco militare da parte degli Stati Uniti per sedare alcune rivolte popolari che rischiano di mandare in fumo gli interessi americani presenti a Cuba. L'influenza di Washington diventa via via più ossessiva, mentre migliaia di cittadini statunitensi decidono di trasferirsi sull'isola.
Nel 1925 viene fondato il Partito comunista cubano. Tra i suoi animatori c'è Julio Antonio Mella, figura di spicco nella sinistra latinoamericana, dirigente del movimento studentesco dell'Avana. Per lui, il primo obiettivo è raggiungere un'effettiva unità razziale tra bianchi e neri come rifondazione dell'idea di una comune nazionalità cubana.
In quegli anni è al potere Gerardo Machado, ribattezzato il "Mussolini tropicale", che fa arrestare Mella nello stesso 1925. Quest'ultimo inizia in carcere uno sciopero della fame che costringe le autorità a liberarlo sotto la pressione dell'indignazione popolare. E' in quel momento che Mella decide di partire alla volta del Messico, dove conduce la sua vita di esiliato accanto a Tina Modotti, fotografa di prestigio e di nazionalità italiana. Verrà ucciso a Città del Messico il 10 gennaio del 1929 da due sicari prezzolati dal regime cubano.
La lotta contro Machado si conclude nel 1933. Scioperi e manifestazioni quotidiane fanno da scenario al crescere dell'opposizione. La notte del 12 agosto il dittatore riesce ad abbandonare l'isola con cinque casseforti ricolme d'oro e a stabilirsi a Nassau, nelle Bahamas. Dopo la rivolta, viene eletto presidente Grau San Martín, un professore dalle idee progressiste dell'Università dell'Avana.
Tra i primi obiettivi del suo governo c'è quello della nazionalizzazione dell'energia elettrica che veniva gestita da una società statunitense. Le reazioni della destra - e di Washington che decise di non riconoscere la legittimità della presidenza di Grau San Martín - non si fanno attendere e gli Stati Uniti giungono alla decisione di boicottare l'economia dell'isola.
E' in questo periodo che scala la vetta della popolarità Fulgencio Batista, un sergente dell'esercito ben visto da Washington e dalla destra cubana. Il 15 gennaio 1934 si fa promotore di un golpe di palazzo, che porta alla presidenza Carlos Mendieta. A tessere i fili del potere è però lo stesso Batista, che in coincidenza con la Seconda guerra mondiale vede rafforzato il suo potere grazie all'aumento del prezzo dello zucchero sul mercato mondiale.
Dal 1946 al 1952 la corruzione mina la società politica cubana: omicidi e ruberie sono all'ordine del giorno. Le elezioni presidenziali previste nel 1952 non si svolgono. Batista prende il potere nella notte del 10 marzo, questa volta con un vero e proprio golpe. L'unica resistenza di un'opposizione divisa si verifica nell'Università dell'Avana, dove scontri tra polizia e studenti accompagnano i primi giorni del golpe. Il 14 marzo l'Università viene chiusa.
Nel 1953, anno del centenario della nascita di Martì, si avvia il primo focolaio rivoluzionario anti-Batista. Il 26 luglio di quell'anno un gruppo di giovani raccolto intorno al giovane avvocato Fidel Castro dà l'assalto alla caserma Moncada di Santiago di Cuba, approfittando dei festeggiamenti del carnevale per confondersi tra la folla (di qui il nome Movimento 26 luglio). Un secondo manipolo di militanti - guidati da Abel Santamaria - ha il compito di conquistare un ospedale. Raul Castro, fratello minore di Fidel, deve impossessarsi del tribunale di Santiago. Gli attacchi falliscono i loro obiettivi. Fidel Castro e pochi altri riescono a fuggire sulle montagne, dove verranno catturati.
Castro prepara da solo la sua autodifesa (che pronuncerà in tribunale nel corso del processo contro di lui e i militanti del Movimento 26 luglio), diventata famosa col titolo di "La storia mi assolverà". I sopravvissuti dell'assalto alla caserma Moncada verranno condannati al carcere e detenuti nell'Isla de Pinos (oggi chiamata Isola della gioventù) dove era stato rinchiuso anche José Martì, ma nel 1955 verranno liberati grazie a un'amnistia. I militanti del Movimento 26 luglio partono subito per l'esilio in Messico, dove iniziano a riorganizzare i loro progetti insurrezionali (Fidel Castro va anche negli Stati Uniti a raccogliere fondi presso gli emigrati cubani).
L'organizzazione e l'addestramento in territorio messicano di quel manipolo di cubani dura più di un anno. Al gruppo originario si aggiunge il giovane medico argentino Ernesto Guevara. Fidel Castro acquista da una coppia di statunitensi lo yacht Granma per preparare lo sbarco e il ritorno a Cuba (in teoria avrebbe potuto trasportare solo 20 persone, finirà per imbarcarne 82).
A Santiago il Movimento 26 luglio, guidato da Frank Pais, si dà l'obiettivo di organizzare l'insurrezione per il 30 novembre del 1956, in contemporanea col previsto arrivo del Granma. Ma lo yacht sbaglia rotta, trova mal tempo e arriva sulle coste dell'isola solo il 2 dicembre, e in un punto molto distante dal luogo stabilito. Il Granma, inoltre, viene avvistato da una nave da guerra: è una carneficina. Dopo aver camminato per tre giorni, i superstiti militanti del Movimento 26 luglio vengono sorpresi dall'esercito nella località di Alegría de Pio.
Erano arrivati a Cuba in 82, ma quando il 19 dicembre Fidel Castro riesce a radunare i sopravvissuti, può contare solo su 12 uomini. Tra i superstiti c'è anche un italiano, Gino Doné Paro.
Sulle montagne della Sierra Maestra il manipolo si riorganizza in cerca della rivincita che arriverà alla fine del 1958, dopo tre anni di guerriglia. Il primo gennaio del '59 i "barbudos" (chiamati così per le lunghe barbe che si erano fatti crescere sulla Sierra) fanno il loro ingresso a L'Avana con alla testa Ernesto "Che" Guevara e Camilo Cienfuegos. Il dittatore Fulgencio Batista riesce a fuggire. Castro giunge nella capitale dopo aver attraversato tutta l'isola.
Nel 1961 Fidel Castro annuncia che "la rivoluzione cubana è una rivoluzione socialista". Si stringono i rapporti con l'Unione Sovietica e i paesi socialisti dell'Est. Gli Stati Uniti decretano il blocco economico unilaterale contro l'isola e finanziano la tentata (e fallita) invasione di Playa Girón. Nel 1962 scoppia la "crisi dei missili": Washington minaccia un intervento armato contro l'isola se i sovietici non sospenderanno l'installazione di missili nucleari sul territorio cubano.
1989 e 1990 sono altre date storiche per Cuba. La caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione prima dei paesi dell'Est del "socialismo reale" e poi della stessa Unione Sovietica lasciano sola l'isola nello scacchiere mondiale.
L'Avana avvia il "período especial" fatto di terribili restrizioni economiche, apertura all'economia mista e alle joint-ventures, ristrutturazione dell'infrastruttura industriale e delle tecnologie. L'isola cerca di reinserirsi nella nuova realtà internazionale senza rinunciare alla peculiarità della sua storia che ha prodotto un atipico Stato sociale.
Ma gli Stati Uniti, prima con la Legge Torricelli e poi con la Legge Helms-Burton, stringono ancora di più il cappio del blocco economico, provocando la reazione di condanna di America Latina, Europa, Vaticano, Canada e paesi asiatici. L'assemblea delle Nazioni Unite ha più volte condannato negli ultimi anni la politica unilaterale di Washington nei confronti dell'Avana.

Il 13 agosto 1926 Lina Ruz e Angel Castro Argo, proprietario terriero del podere Manacas a Biran (nella zona orientale di Cuba), mettono al mondo Fidel Castro Ruz. Nel settembre 1942 entra nel collegio Belen gestito dai gesuiti a L'Avana, dove si diploma nel 1945. In quell'anno si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell'Università della capitale cubana. Nel 1947 aderisce al Partito ortodosso. Nello stesso anno partecipa a una spedizione rivoluzionaria a Santo Domingo - che però fallisce - con l'obiettivo di liberare l'isola dal dittatore Trujillo. Nel 1952 è candidato alle elezioni politiche per il Partito ortodosso, ma il 10 marzo il putsch del sergente Fulgencio Batista annulla la competizione elettorale. Dopo il golpe, Castro - con Abel e Haydé Santamaría, Elda Pérez, Melba Hernández, Frank Pais e Celia Sánchez - inizia a meditare sulla necessità di intraprendere la lotta armata.
Il 26 luglio 1953 è la data che avvia la rivoluzione cubana. Centocinquanta militanti del Movimento 26 luglio decidono di dare l'assalto alla caserma Moncada di Santiago di Cuba: si richiamano alla "generazione del centenario", quella che festeggia i cento anni dalla nascita di José Martí (eroe e teorico della lotta di indipendenza contro il colonialismo spagnolo).
L'iniziativa fallisce. Processato e arrestato, Castro viene liberato solo grazie a un'amnistia il 2 maggio 1955. Riorganizza il suo movimento in Messico e nel novembre 1956 ritorna a Cuba con ottantadue uomini a bordo dello yacht Granma per intraprendere la lotta rivoluzionaria. Il 15 febbraio 1959 viene nominato primo ministro. Attualmente occupa le cariche di segretario del Partito comunista cubano e di presidente del Consiglio dei ministri.
Dirigente del Movimento 26 luglio a Santiago di Cuba. Ha il compito di coordinare l'insurrezione della città in concomitanza con lo sbarco del Granma nel novembre 1956, ma la rivolta inizia quando Fidel Castro e i suoi uomini non sono ancora giunti sull'isola. Viene ucciso il 30 luglio 1957 nel Callejón del Muro di Santiago dal capo della polizia della città, il colonnello José Salas.
Il giorno dopo un immenso numero di donne si concentra nel centro della città per protestare: facendo finta di andare a fare la spesa, si raccolgono nella piazza principale nel momento in cui doveva essere ricevuto ufficialmente Ealrl Smith, ambasciatore degli Stati Uniti a Cuba.

C'è un italiano sull'imbarcazione che il 2 dicembre 1956 sbarca sulle coste cubane per dare il via all'insurrezione contro il governo di Fulgencio Batista. Si tratta di Gino Doné Paro, nato a Monastier, in provincia di Treviso, il 18 maggio 1924. E' un ex partigiano emigrato a Cuba dopo aver partecipato alla Resistenza contro il fascismo. Nel 1951 lavora come carpentiere alla costruzione della Plaza civica. Nel 1954 aderisce al Movimento 26 luglio, poi si reca in Messico nel 1955 per unirsi al drappello di rivoluzionari guidato da Fidel Castro. Sul Granma ha il grado di tenente. Dopo le disavventure logistiche della spedizione e lo scontro a fuoco con l'esercito, l'italiano riesce a salvarsi e a raggiungere la città di Trinidad. Lascia Cuba nel 1957. Attualmente vive negli Stati Uniti, ma ha conservato forti legami con la rivoluzione cubana.

Camilo Cienfuegos nasce a L'Avana nel 1932 da una famiglia di modeste condizioni economiche. Emigra giovanissimo negli Stati Uniti. E' tra i dodici comandanti della rivoluzione cubana che dirigono l'insurrezione contro il governo di Fulgencio Batista. Muore nella notte del 28 ottobre 1959 durante un violento nubifragio, mentre a bordo di un aereo Cesna cerca di far ritorno a L'Avana. Si era recato a Camaguey per ottenere la resa della guarnigione guidata dal comandante della rivoluzione Hubert Matos che accusava Fidel Castro di essere diventato ostaggio dei comunisti. Il suo corpo e i resti dell'aereo non sono mai stati recuperati. Ancora oggi, ogni 28 ottobre gli studenti delle scuole cubane portano fiori lungo le spiagge dell'isola per ricordare Cienfuegos.

Raul Castro è il fratello minore di Fidel (gli altri, in ordine di età, sono Ramón, Juanna e Emma). Dopo essere stato nominato comandante del fronte orientale nel corso della rivoluzione, attualmente occupa il ruolo di ministro delle forze armate e di vicesegretario del Partito comunista cubano. Da giovane studente è stato iscritto alla gioventù comunista e espulso dall'Università dell'Avana a causa delle sue idee politiche. Ha preso parte all'assalto alla caserma Moncada di Santiago di Cuba nel 1953 e allo sbarco del Granma nel 1956. Nel corso degli anni Sessanta e Settanta è stato tra i dirigenti cubani più vicini alle posizioni dell'Unione Sovietica.

Regis Debray è nato a Parigi il 2 settembre 1940. A conclusione della drammatica avventura vissuta in Bolivia con Ernesto Guevara, dopo quattro anni di reclusione e di torture viene liberato dalle carceri di La Paz grazie all'intervento diretto del presidente Charles De Gaulle. Negli anni Ottanta ha fatto parte del gruppo di collaboratori del presidente della Repubblica francese François Mitterrand. Le sue memorie sulla spedizione boliviana del "Che" sono raccolte nel libro "La guerriglia del Che" (Feltrinelli, 1974). Dopo aver contribuito alle teorizzazioni sulla necessità della guerriglia negli anni Sessanta in America Latina, col tempo ha assunto posizioni molto critiche nei confronti della rivoluzione cubana.
Il filosofo e la scrittrice francesi visitano Cuba nel 1960. Sartre scrive le sue impressioni sulla giovane rivoluzione cubana in alcuni articoli che vengono raccolti con il titolo "Uragano sullo zucchero". I suoi giudizi sono positivi su quanto è accaduto a L'Avana: Sartre trova nella rivoluzione cubana la conferma che all'inizio del decennio Sessanta la liberazione del Terzo Mondo dal colonialismo e da antiche forme di oppressione economica è una questione di urgentissima attualità che può rinnovare anche l'azione e la cultura dei tradizionali partiti comunisti.

Carlos Rafael Rodríguez è tra dirigenti storici del Partito socialista popolare (il partito comunista prima della rivoluzione cubana). Per molti anni ha ricoperto incarichi di prima responsabilità all'interno del governo dell'Avana. Tradizionalmente si è sempre schierato sulle posizioni filosovietiche presenti nel gruppo dirigente cubano. All'inizio della guerriglia guidata da Fidel Castro ha dissentito sui metodi di lotta del Movimento 26 luglio. Nel 1940 - in nome dell'emergenza dell'unità antifascista contro quanto stava accadendo in Europa - era entrato a far parte del governo filo-Batista a nome del Partito socialista popolare.

Il 17 marzo 1960 il presidente degli Stati Uniti Eisenhower annuncia che Washington non avrebbe più acquistato lo zucchero di Cuba se sull'isola fosse proseguita la nazionalizzazione delle industrie. E' il primo atto di rottura tra i due paesi. Il blocco economico generalizzato degli Stati Unii nei confronti di Cuba entra pienamente in vigore nel 1962. Nel 1992, trent'anni dopo, il Congresso americano approva la Legge Torricelli che inasprisce ancora di più le misure di isolamento economico nei confronti di Cuba. Nel 1996 viene approvata anche la Legge Helms-Burton, che cerca di internazionalizzare gli effetti del blocco economico nei confronti dell'isola, nonostante che nel corso degli anni Novanta l'assemblea degli Stati Uniti abbia più volte stigmatizzato la scelta della Casa Bianca.

La residenza del grande scrittore americano Ernest Hemingway è stata fissata per oltre vent'anni a Cuba, presso la sua villa denominata Finca Vigia, nel paesino di San Francisco de Paula nei pressi dell'Avana. Hemingway ha seguito con simpatia l'evoluzione della guerriglia cubana e la sua vittoria, anche se ha incontrato solo una volta Fidel Castro, nel 1960. Il racconto della vita cubana e della permanenza di questo scrittore sull'isola è contenuto nel libro di Norberto Fuentes "Hemingway a Cuba" (Gamberetti, 1996). L'Avana è idealmente percorsa da un itinerario hemingweiano: l'Hotel Ambos Mundos, il bar Floridita, il ristorante la Bodeguita del medio sono tutti luoghi frequentati a suo tempo dallo scrittore.

E' il primo presidente degli Stati Uniti (resta in carica dal 1953 al 1960) a affrontare i rapporti tra Washington e la rivoluzione cubana. Eisenhower, esponente del Partito repubblicano, aveva avuto un ruolo di primo piano come generale delle forze armate statunitensi nel corso della Seconda guerra mondiale. La sua amministrazione sceglie, dopo qualche tentennamento, la linea dura contro il pericolo comunista rappresentato da Fidel Castro in America Latina. La nuova politica della Casa Bianca in quel periodo è diretta dal segretario di Stato John Foster Dulles che si pone l'obiettivo di sgretolare il campo comunista che guarda all'Unione Sovietica e di liberare i popoli "sottoposti al comunismo".

Il movimento comunista internazionale si divide nel 1960. La polemica scoppia tra Pechino e Mosca e riguarda il ruolo della rivoluzione nei paesi del Terzo Mondo e in quelli sottosviluppati. La Cina, sotto la guida di Mao Tse Tung, critica la politica di "coesistenza pacifica" che ispira l'Unione Sovietica, ritenendo che la tendenza generale del mondo sia quella della guerra - non solo metaforica - tra imperialismo e comunismo. Questa polemica finisce per riflettersi sulle strategie dei diversi partiti comunisti e dei movimenti di liberazione di tutto il mondo, che iniziano a dividersi tra "filosovietici" e "filocomunisti". Il conflitto ideologico raggiunge anche l'America Latina.

Patrice LumumbaNato nel 1925, muore assassinato nel 1961 mentre cerca di rifugiarsi a Stanleyville. Come dirigente del Movimento nazionale che si batte per l'indipendenza del Congo, nel 1960 aveva chiesto l'intervento delle Nazioni Unite contro l'azione repressiva scatenata dalle truppe belghe di occupazione. Dopo la sua morte, prende il potere Joseph Mobutu che instaura una dittatura che crolla solo nel corso del 1997. Mobutu cambierà anche il nome del paese, denominandolo Zaire.

La "crisi dei missili" del 1962 fu ricostruita in dettaglio da Saverio Tutino nel libro "L'ottobre cubano" (Einaudi, 1968). Tutino, in quel momento corrispondente de "L'Unità" all'Avana, racconta il clima e i fatti di quei giorni ora per ora. Dal suo libro si può capire come il mondo abbia rischiato nel corso di quella crisi una terza guerra mondiale. L'autore, nato a Milano nel 1923, ha partecipato alla guerra partigiana in Italia come commissario di una brigata garibaldina in Piemonte. Ha vissuto a lungo all'estero come corrispondente de "L'Unità", prima in Francia e poi a Cuba. E' il massimo esperto italiano di questioni cubane.

Anastas MikoyanPrimo ministro dell'Unione Sovietica nei primi anni Sessanta, giunge a Cuba nel novembre 1962. La visita ufficiale dura ventiquattro giorni e serve a ricomporre i contrasti tra L'Avana e Mosca dopo l'esito della "crisi di ottobre". Mikoyan ha il mandato di sottoscrivere nuovi accordi economici tra i due paesi e di smussare la protesta dell'Avana, che non era stata interpellata sull'accordo raggiunto con gli Stati Uniti sulla non installazione dei missili sovietici a Cuba. L'anno successivo quell'atto distensivo viene seguito da un viaggio di Fidel Castro in Unione Sovietica.


Laurent Kabila ha guidato nel 1997 il movimento di lotta che ha fatto crollare il regime di Joseph Mobutu in Zaire. E' nato a Moba sul Lago Tanganyka nel 1941. Laureato in filosofia politica nella Germania dell'Est, nel 1960, ancora giovanissimo, viene eletto nel primo parlamento del Congo indipendente nelle liste del partito di Patrice Lumumba. Nel 1964 incontra il "Che", che di lui scrive: "E' un uomo attratto più dalle donne e dal whisky che dal fronte della lotta". Sconfitto il tentativo rivoluzionario a cui partecipa anche Ernesto Guevara, va in esilio prima in Tanzania e poi in Uganda. Nel 1967 fonda il Partito rivoluzionario del progresso. Nel 1984 le sue truppe conquistano la piccola città di Moba, ma poi vengono costrette a ripararsi in Tanzania. Non demorde e costringe il regime di Mobutu alla capitolazione dopo una guerriglia durata, con fasi alterne, più di trent'anni.

L'odissea del ritorno in patria dei cubani superstiti è raccontata da Harry Villegas ("Pombo") nel libro "Un uomo della guerriglia del Che" (Erre emme, 1996) e da Dariel Alarcón Ramírez ("Benigno") nel volume "La rivoluzione interrotta" (Editori Riuniti, 1996). Pombo e Benigno presentano due tesi differenti sugli aiuti forniti da Cuba all'iniziativa di Ernesto Guevara in Bolivia e sullo sviluppo di altre guerriglie in America Latina. Si tratta della testimonianza di due protagonisti che hanno lottato a fianco del "Che" in Africa e Bolivia.

testimonianze

 

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