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                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

 

Dall’ennesima megabufala di Londra all’ennesimo appecoronamento dell’Illusionista e delle sinistre al seguito

HERRENVOLK UND   UNTERMENSCHEN

 

11/08/2006                     

In tempi di menzogna universale
dire la verità diventa un atto rivoluzionario (
George Orwell)

 

Quando una settant’anni fa Luigi Pirandello moriva e, con lui, la più rivoluzionaria, moderna e profonda visione dell’uomo e del mondo (al di là  del guitto in orbace che ne nascondeva l’assoluta diversità), era ancora rimasta nella specie quel tanto di coscienza anticlericale e antiuniversalista, antidogmatica, antiassolutista, da opporre alla mostruosità involutiva del nazifascismo una quasi totalità umana in armi (con le sue inevitabili componenti strumentali, eminentemente anglosassoni), con per avanguardia i partigiani greci, serbi, francesi e italiani e l’eroica, per quanto sottaciuta (chiedete ai sionisti perché), underground tedesca (1 milione di martiri). Oggi che tre Stati fuorilegge, tre Stati assassini (con l’Italia nel ruolo vuoi di palo, vuoi di ascaro) compiono su milioni di essere umani e sull’habitat del vivente atrocità e nefandezze che non hanno uguali per ferocia e portata nella storia, l’Italia del presunto cuore della ridicola Seconda potenza mondiale fa girare appelli sui giornali equidistanti (“Israele esagera, ma Israele ha il diritto di difendersi” Già, cancellando dalla faccia della terra una nazione. E poi dicono di Ahmadinejad!). E basta. E si presenta in dodici su 35 (gli altri erano palestinesi e libanesi)  per un presidio a Montecitorio su Libano e Palestina (il 7 luglio), all’indomani della Londra dei centomila con le scarpette dei bimbi lanciate ai piedi del co-sponsor della strage degli innocenti tra Gaza e Beirut. Quello della “terza via” tra le torri gemelle di New York e i treni di Madrid: quello del metrò di Londra.  

Gli appelli invocano di smetterla di farsi del male, gli uni (con le armi si sterminio proibite), gli altri con le mitragliette e i katiusha), ai quali il manifesto si permette di pluralisticamente affiancare, non solo gli editoriali cerchiobottisti del finto pacifista ed effettivo arabofobo Zvi Schuldiner, ma addirittura un osceno e offensivo messaggio di certi “pacifisti”, in veste di fiancheggiamento sionista, che inneggiano alla vittoriosa non violenza delle masse libanesi che, così, subendo bombe all’uranio anche sui funerali e facendosi sterminare il futuro dagli infanticidi israeliani, darebbero una lezione al mondo e, implicito, a quei violentacci di hizbollah che insistono a rispondere con la fionda a Golìa. Mi piacerebbe molto vedere cosa farebbe a questi lugubri nonviolenti, ripugnanti campioni di ipocrisia, la prima famigliola libanese uscita da sotto le macerie di Qana  Lo Herrenvolk (razza padrona, anche popolo eletto) con la croce uncinata ha ceduto il passo a un ben più determinato e descrupolizzato Herrenvolk con stelle, striscie, croce di S.Andrea e, soprattutto, stella di Davide. Gli Untermenschen (sottouomini, anche subumani) sarebbero, a rigor del paradigma storico recuperato dai miasmi delle carogne del Bunker di Berlino, tutti gli altri, quel 90% che non ha barche da 17 metri o ville da 50 stanze, ma soprattutto quella metà del pianeta che ha la pelle più o meno “abbronzata” e che, nella sua maggioranza, non sa che farsene di più di due dollari al giorno. Ma questa identificazione ha fatto il suo tempo, diversamente dal primo dei due lemmi. Gli han fatto fare il suo tempo proprio genti di pelle meno bianca tra Cuba e Iraq, tra Venezuela e Algeria, tra Vietnam e Palestina  e ora Libano. Han ribadito il punto gli hizbollah e la guerriglia irachena. Di Untermenschen autentici, però, ne sono venuti fuori altri e si fanno passare per statisti quando non sono che skipperastri di complemento, buoni per lavare il ponte, per cazzare la randa e, nei giorni di festa, per tranciare la gola a qualche indigeno risparmiato dall’affettatrice laser del Herrenvolk. Untermenschen ne  sono usciti recentemente a iosa, larve in cashmir scaturite da bozzoli mimetici in rosso, e, negata l’esistenza dell’imperialismo e blindata l’esistenza dello Stato più razzista della storia, ci mandano a fare i killer all’israeliana in Afghanistan, e fanno indulti per far contenti gli amici e gli amici degli amici e perfino i nemici e gli amici dei nemici, e si sporgono dal bozzolo fino ad allargarsi a maggioranze senza confini, che non siano i confini dell’”Ombrello Nato”, e vanno alle feste fasciste di Azione Giovani dopo essersi messi all’occhiello la denigrazione della Resistenza e l’esaltazione della non violenza (degli oppressi). Indovinato, parlavo di Bertisconi. Chè dei suoi patetici sicofanti sul tabloid padronale e di come si divincolano nelle strette delle volute involutive del boss, non mette più neppure conto parlare…

 

Dieci piccoli aerei da far saltare

Scusate il particolare fervore astioso di questo libello, ma a un’indignazione arrivata a vette himalaiane si aggiunge di questi tempi la frustrazione per non poter stare in Libano, prima delle guerre mediorientali da quella dei Sei Giorni che mi perdo. Da poco mi hanno trapanato un ginocchio e nel Libano democratizzato da Israele, oltre a una tuta da guerra ABC, ti occorre portare un fisico capace di superare fiumi senza ponti e di sottrarti a palazzi che ti si schiantano addosso con tutto il carico delle loro cinquanta famiglie. Mariuccia Ciotta, oggi dama di direzione nel manifesto, la conobbi per un articolo che elogiava un fetentissimo Campidoglio rutelliano per aver istituito il “Bioparco”, cioè per aver messo quattro fioriere su quell’ergastolificio con camere di tortura che è il Regina Coeli degli animali. Oggi Ciotta commenta l’ennesima, grottesca megabufala terroristica anglo-israelo-statunitense, quei dieci aerei verso gli USA da far esplodere l’11 agosto, elencando compunta e poco precisa 11 luglio (Londra) e 11 settembre (New York e Washington), obliterando 11 marzo (Madrid) e 9/11 (Amman, ma lì il bagno era di sangue bruno, conta poco).

 

E, volendo, sapendo, osando, Mariuccia poteva proseguire:

11 settembre delle Torri fatte esplodere da cariche Cia, del Pentagono colpito da un oggetto volante largo meno di sei metri e non da un Boeing di 39 metri, della totale inerzia delle forze di difesa, delle concomitanti esercitazioni simulanti attacchi a torri e pentagoni, delle testimonianze e documentazioni soppresse, delle speculazioni fatte in Borsa dal numero tre della Cia sui titoli agitati da quegli eventi, dei sei dirottatori su 19 riscoperti in vita nei loro paesi,  eccetera, eccetera: un presidente con ogni evidenza minus habens, svuotato di ogni credibilità dai dimostrati brogli con cui si è fatto eleggere, prende in mano la nazione sotto attacco e la lancia, come catachesizzato da anni dai nazisionisti della sua tavola ovale, contro l’universo mondo, a partire dall’Afghanistan, porta verso il Caspio del petrolio e anticamera di Russia e Cina, e dall’Iraq, osso particolarmente duro e indigesto ai fratellini Herrenvolk in età evolutiva. Il mito del “terrorismo islamico” fa da scivolo culturale all’impresa, permette di infilare in un panico perenne l’umanità non islamica tutta e, quindi, di farle accettare una fascistizzazione galoppante del dominio di classe (e le classi aggredite e massacrate fanno da sgabello al presidente della Camera mentre si delizia a scampanellare al ritmo di “Con la spirale – guerra-terrorismo – andiamo a Kabul – a far colonialismo - Per me il comunismo – da tempo sta in vacanza – ora mi preme la Grande Maggioranza – E del partito – con falce e con martello – ora ne faccio – uno più bello – Lascio ai fessi – lotta e rivoluzione – avanti popolo – per la restaurazione”.

 

Quel mito va però restaurato e rilanciato, specie nei momenti in cui qualche confuso (psicopatico patologicamente attaccato alla complottistica, secondo il manifesto) si fa depistare dallo tsunami di prove della mendacità della versione ufficiale sugli attentati e sull’organizzazione burattinaia Al Qaida, oppure mette a confronto i 3000 sepolti dalle torri tirate giù da Bush e Co. con i due milioni e 200mila civili iracheni ammazzati tra il 1991 e oggi direttamente dagli occupanti anglosassoni con furieri latini. O si ricava perplessità sulla democrazia innervata (parolaccia bertisconiana) dagli squadroni della morte a ispirazione iraniana e conduzione israelo-statunitense, o con i quasi 5000 palestinesi macellati dal gangsterismo israeliano. E ne trae qualche incomoda conclusione su chi ammazza meglio e di più. E allora   .           

11 marzo dei treni di Madrid fatti saltare alla vigilia delle elezioni generali , dei presunti attentatori tutti quanti felicemente muti perché morti (come si dice di quelli del’11/9) essendo stati fatti saltare in aria con tutta la loro verità dalla polizia spagnola; dell’auspicato sostegno al reazionario Aznar, manutengolo anti-arabo ed antilatinoamericano di Usa e Sion,  grazie alla criminalizzazione dei baschi, terroristi quanto i musulmani; del rovesciamento del piano degli attentatori grazie all’irripetuta intelligenza e chiaroveggenza degli elettori spagnoli. Fu l’unica volta che gli andò davvero storta. Gli spagnoli disertarono gli Usa e Israele e se ne andarono dall’Iraq, per poi fare altre cose sconvenienti, cose che nessuna Lituania o Georgia o Bulgaria o Fassino farebbero mai.

 

11 luglio della metropolitana di Londra, dei cinque tranquilli ragazzetti pachistani in gita a Londra con tanto di biglietto di ritorno e merenda in macchina, che saltano per aria nei punti precisi e nel momento preciso in cui erano previste esplosioni fasulle di attentatori fasulli in un’esercitazione di “sicurezza” gestita da una società israeliana. I ragazzi, fatti a pezzi da ordigni collocati, secondo testimonianze dirette e fotografie, non nei loro zaini, ma in precedenza sotto i vagoni del metrò, ovviamente non parlano. Neanche sotto tortura. Le centinaia di migliaia che avevano protestato contro il serial killer Blair ammutoliscono. La teoria sempre più lunga di militari inglesi uccisi dalla Resistenza si trasforma in martirio in difesa della civiltà. La rivelazioni che forse speciali britanniche, travestite da arabi, sono state scoperte a mettere bombe nei mercati iracheni, viene annegata nel sangue di 150 tra morti e feriti.  Il ministero degli interni ottiene misure repressive che permettono di sbattere dentro chiunque faccia saltare la mosca al naso del primo bobby, o del primo spolveracessi di Blair. Per un po’, di ritiro dalle nuove colonie non si parla più.

 

9/11  delle bombe in tre alberghi di Amman; dei cinque kamikaze morti nell’operazione, come da dispositivo collaudato, (tranne una, che confesserà in tv e scomparirà); del comunicato Al Qaida-Al Zarkawi che rivendica l’uccisione di “crociati”, “sionisti” e “infedeli”(sciti) e dei 54 ammazzati tutti musulmani sunniti, arabi, neanche un crociato, un ebreo, uno scita; della scoperta che l’esplosivo non era nelle cinture di inesistenti kamikaze, bensì predisposto nei soffitti dei saloni; della rivelazione sui giornali israeliani e da fonti dei servizi israeliani che i turisti israeliani in quegli alberghi erano stati fatti rimpatriare la sera prima dalla polizia giordana su imbeccata dei servizi israeliani (remember New York, niente affatto una leggenda metropolitana secondo l’FBI) e, soprattutto, dell’uccisione (questa, sì, mirata) di cinque alti dirigenti dei servizi e della finanza palestinesi e di tre delegati del Ministero della Difesa cinese con i quali i palestinesi si stavano incontrando in uno degli alberghi.

Erano passati pochi giorni dalle primissime notizie sugli orrori al fosforo di Falluja. Si passò a parlare di Amman e dell’efferato terrorismo islamico.

 

Un 11 maggio era, se la memoria non m’inganna, anche quello di Bagdad, quando comparve il video della decapitazione del pacifista e antimperialista statunitense Nick Berg, prima di una serie che fece dire a Barenghi del manifesto, e non solo a lui, che preferiva i marines ai tagliatori di teste; video di un Al Zarkawi redivivo dopo la morte sotto le bombe in Kurdistan (2003) e provvisto di nuova gamba dopo la mutilazione in Afganistan (2001), di un Zarkawi che si esprime in arabo con accento israeliano, di un Zarkawi camuffato che taglia la testa a un corpo già morto, dal quale non esce una stilla di sangue, e fa sovrapporre al video  un urlo che dovrebbe essere dell’agonizzante ma che esperti fonici scoprono essere di donna, di un Zarkawi all’interno di un ambiente che è in tutto e per tutto identico agli interni di Abu Ghraib. Era da poco che il mondo era stato sconvolto dalle notizie delle torture Usa in Abu Ghraib. Si preferì parlare di tagliatori di teste, piuttosto che di Abu Ghraib. E ora

 

11 agosto, giorno in cui avrebbero dovuto essere polverizzati da esplosivo liquido, forse urinato a bordo dagli attentatori, ben dieci aerei di linea zeppi di innocenti donnicciole, fanciulli sulla soglia della vita e pietosi vegliardi diretti da Londra a New York. Bel colpo nel momento in cui sempre più vaste masse inorridiscono di fronte ai crimini alla Auschwitz e Marzabotto compiuti dai fascistizzati soldati di Tsahal in Palestina e in Libano. Bel colpo che permette al minus habens Dabeliu Bush, ammaestrato dai neonazisti intorno alla tavola ovale, di ribattere a quattro coraggiosissimi gatti israeliani o ebrei, che denunciano senza più remore il nazismo della giunta militare israeliana, che la guerra è ormai della libertà contro i fascisti islamici. Bel colpo, messo in piedi insieme ai compari dell’ISI, servizio pachistano pronube con la Cia di Al Qaida, che elimina dai titoli di quei pochi media non del tutto integrati gli sgradevoli dati delle ininterrotte sconfitte militari che i massacratori dal cielo subiscono a terra, sesto esercito più potente del mondo, a opera di una manica di guerriglieri con armi leggere, tra le macerie e i buchi, come i topi, perlopiù motivati, anziché da spiriti di Herrenvolk, da motivazioni di Untermenschen come la vita, la dignità, la sovranità, la libertà, il rispetto, il diritto, la convivenza, l’amore (Zvi Schuldiner e altri interlocutori di manifesto e Liberazione, come gli orridi intellettuali pseudoprogressisti Oz, Grossman, Youshua, o come progressisti italici alla Emanuele Fiano, DS, li chiamano “criminali”, mentre curiosi “ebrei contro l’occupazione”, tipo Sveva Haerter, tergiversano, equiparano e menano il can per l’aia). Bel colpo per chi s’era visto lanciare sulle vergogne, giorni prima, migliaia di scarpette di bambini da centomila inglesi fuori di sé per la compartecipazione del delinquente terzaviaista, che osa parlare la loro stessa lingua e indossare la loro stessa pelle, a nome di quel terzo di bambini finiti preda, su mille innocenti assassinati in 28 giorni in Libano e su 5000 in sei anni in Palestina, dei più voraci infanticidi mai visti sulla faccia della Terra. E chi ci pensa più, obliterati dai morti aerei che potevano essere. Bel colpo per chi doveva stendere veli pietosi, appunto centinaia di cadaveri, sulle vittoriose offensive della guerriglia baathista in Iraq e, insieme, sulle stragi di innocenti compiute, su mandato di John Negroponte, dai tentacoli filo-iraniani di Moqtada al Sadr, Al Sistani, e Al Hakim. Non per nulla gli hizbollah, autentici patrioti libanesi e arabi, con i fanatizzati dell’infiltrato correligionario Al Sadr non vogliono avere niente a che fare, a dispetto delle chiassate messe in atto dal lardoso chierico per fingere appoggi a Nasrallah e mimetizzare la sua totale acquiescenza, al governo, in parlamento e per strada, agli occupanti. Bel colpo per chi ora s’inventerà l’estremo e risolutivo legame tra quei disgraziati – o manipolati, lobotomizzati – dei primi arresti a Londra e Birmingham e Iran e, soprattutto, Siria, Stati ai quali i predatori mirano fin da quando i neonazisti di Washington presero a formulare “nuovi secoli americani”, fin da quando il razzismo colonialista sionista puntò alla prime frontiere – Litani e Giordano – come piste di lancio per quelle definitive, Nilo ed Eufrate, fin da quando il Mossad, facendo saltare per aria un socio non troppo fidato come Rafik Hariri, sperò di innescare un’altra “rivoluzione di velluto”, quella dei cedri e gli andò splendidamente male.

 

Bel colpo per chi ha spedito l’irrefrenabile macchina d’aggressione israeliana a continuare una “guerra preventiva e permanente” per la quale gli inizia a mancare il fondo, e a farsi esecutore di quei crimini di guerra di stampo ultrahitleriano per i quali la cabala nazisionista rischia di rimetterci tutti i Lieberman del suo apparato. Bel colpo: ora si può contare, umanitariamente, sugli europei. C’è pronta e fremente d’attesa la Nato di Parisi, Prodi, D’Alema e dell’afgano Bertisconi, con i suoi figuranti ernestini da opposizione con tarallucci e vino, che poi, come tutte le finte ritrose, alla fine ci stanno. Bel colpo il rilancio alla grande del panico terrorista, fascista, islamico per chi s’è impegnato in una corsa per la sopravvivenza della casta a costo di instaurare, sui resti di un pianeta spopolato da uranio, siccità, inedia, inquinamento e armi segrete nazisioniste, una dittatura mondiale dotata di mezzi di coercizione come non si erano neanche visti sotto Pinochet, Duvalier, Somoza, Himmler, o l’angelo della redenzione Torquemada, idolo di Marcello Pera.

 

Bel colpo, tragicamente, per chi, a forza di orrori bombaroli e mediatici, ha annichilito qualsiasi diversità contrinformativa e autenticamente antiterroristica anche in chi fa professione di giornalismo contro, pacifismo, antagonismo, alterità. Per tutti costoro cito ancora Mariuccia Ciotta, direttrice di un “quotidiano contro” a volte a 5 euro, nel suo editoriale post dieci aerei salvati da Scotland Yard (e risparmiati, per una volta, dai terroristi di Cia-MI6-Mossad-ISI). Del tabloidi gossip Liberazione non mette neanche conto parlare, dopo le schifezze razziste di Emanuele Fiano e il perenne, sottile rosicchiamento sionista di Guido Caldiron, le acrobazie giustificazioniste di Gagliardi e Sansonetti a copertura dell’incopribile del loro principale Bertisconi. Scrive Ciotta: “A ogni colpo di mortaio si moltiplicano le forze del terrorismo, organiche a quelle dei generali, e non c’è più confine tra crimine di Stato  e quelli delle cellule dormienti, risvegliate dalla stessa furia di sterminio di civili dall’est all’ovest…” Tutti uguali. Guerrafondai e terroristi islamici. La famigerata “spirale” di Bertinotti. Fate pure, pare aver concesso Langley, dateci addosso, purchè ribadiate sempre il concetto-base: terrorismo islamico. E diate addosso ai “dietrologi”.

Non sarà letteralmente l’inversione carnefici-vittime, praticata da Israele e complici sparsi per gli ultimi sessant’anni, ma ne è l’infame equiparazione. Peggio, è l’avallo all’impostura più spaventosa di tutti i tempi, quella dalla quale, senza alcun dubbio, dipende il futuro del pianeta, probabilmente la sua sopravvivenza, casta di delinquenti compresa.

 

Siamo sempre tre, tre briganti e tre somari, siamo tre. Ma c’è ora, dopo la veltronizzazione di Radio Città Aperta, con il suo recente riconoscimento ad Al Qaida “massimo oppositore degli USA” (sic!),  anche una gran brava radio: Radio Spazio Aperto. A capire, a dire, a dimostrare che gli attentati se li fanno loro. Che senza sarebbero finiti. Che smascherati finirebbero davanti a un plotone d’esecuzione. Che perciò devono continuamente alzare l’asticella. Che devono fare della paura il sentimento collettivo più diffuso e forte dall’epoca in cui si pensava che i fulmini li mandasse un dio incollerito. Giulietto Chiesa, Gianni Minà e, in piccolo, io. Per non collassare nella disperazione più nera ricordiamoci, però, primo, di coltivare l’incazzatura e, poi, che mille altri lavorano sottotraccia, ignorati da manifesto e Liberazione, specie negli Usa. Guarda un po’ dov’è finita la famosa talpa!. Pensare che di quei tre briganti-somari ostinati, solo uno è dichiaratamente comunista. Andiamo bene!  

 

 

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