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                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

SPIRALI

 

18/02/04

 

 

 

Vi racconto, cari compagni, amici e osservatori, come è andata con il “Seminario Nazionale su guerra e terrorismo” del PRC, a Roma, lunedì 16 febbraio, nella sede del Comitato Politico Nazionale.  Sede non insignificantemente underground di quel CPN che fra un paio di settimane verrà chiamato a decidere sullo scioglimento del partito, che avrebbe dovuto rifondare il comunismo dopo il testacoda di Occhetto-D’Alema-Fassino-Veltroni, nella SE (“Sinistra Europea”, Europeische Linke, Gauche Europeenne, European Left, Izquierda Europea. In greco, lussemburghese e estone non so). Il CPN, ne gioiamo tutti, non incontrerà grandi difficoltà: deciderà sul partito deciso a gennaio e il cui congresso fondativo è stato deciso per maggio (pare che ci sia già l’inno, correttamente caratterizzato da un afflato femminista, visto il ruolo che certe donne hanno avuto nell’accantonare contraddizione capitale-lavoro e conflitto di classe a vantaggio di quella di genere, assai più attuale e universale. Dicono che inizia così: “E’ primavera, svegliatevi bambine…”). Sono partiti che stanno come d’autunno sugli alberi le foglie e, trovandosi nella condizione del panda, giustamente cercano un ricupero unendo i propri inverni dello scontento in un primaverile auspicio: se son rose fioriranno. Per carità non rosse, però, sono fuori moda. Tanto che il partito comunista di Boemia-Moravia e un’altra quarantina, invece in piena espansione e che avrebbero preferito l’inno “Rose rosse per te…” sono stati ampiamente snobbati come retrò e ne hanno tratto la conclusione che conveniva restare a casa. E comunisti.

 

Ma non divaghiamo. Il mio proposito era di raccontarvi come è andato il “Seminario Nazionale”. Quello pompato con grande impegno tra militanti, iscritti, elettori, simpatizzanti, mediante trombe, tamburi e timpani di una clamorosa campagna: mezza dozzina di microannunci sul giornale di partito. Per la ghiotta occasione, sicuramente attesa con impazienza da qualche decina di migliaia di persone che si erano visti percuotere per mesi dalla “spirale guerra-terrorismo”, rifilatagli in tutte le salse cartacee e comiziali, era stata prevista una cornice e un tempo di grande attrattiva e accessibilità: lunedì mattina alle 9 nello scantinato della Federazione romana. Un orario che compagni tramvieri, automobilieri, metallurgici, campagnoli, scolastici o aziendali, panettieri o vignaioli non avrebbero potuto chiederne uno migliore.

Faccio della cinica ironia e faccio torto agli organizzatori: si trattava di non turbare, con iniziative di carattere contingente e un po’ estemporanee, la concentrazione dei compagni su obiettivi di ben altra portata strategica, la SE e l’abbraccio governativo con ormai ampiamente riscattati massacratori della Jugoslavia e della classe lavoratrice nazionale.

 

E così il “seminario nazionale” ha visto la discreta, ma fervida partecipazione di ben venti persone. Partecipazione anche qualificata: se dico che c’erano ben tre compagni che in un qualche momento non fossero stati, o oggi non fossero, negli organismi supremi del partito, forse esagero. L’avvio viene dato dallo stesso Fausto Bertinotti: a seminario “nazionale”, segretario nazionale. E’ un avvio brontolone e pour cause: degli intemperanti avevano lasciato tra i documenti in distribuzione uno con alcune domande rivolte al “giornale comunista” Liberazione. Si chiedeva, a me pare innocentemente, ai responsabili di quel quotidiano se fossero in buonafede quando pubblicavano senza commento paginoni di compagni come i neonazisti (qualcuno li chiama “neocons”) di Washington, o come Macbeth-Cossiga, o quando nascondevano oggi una Jugoslavia frantumata e dissanguata dopo averne esaltato la fine ieri in combutta con arnesi Cia come Otpor, o quando ignoravano pervicacemente ogni prova sulla longa manus USA e Cia nel terrorismo internazionale, dall’11/9 alla Cecenia, da Bali a Istanbul, o quando flirtavano con un D’Alema bombardiere, o con un Fassino vituperante Berlinguer e esaltante Craxi.  Niente, non si chiede, sono provocazioni, sono insulti s’infervora Bertinotti e, ordinando la rimozione dell’obbrobrio, conclude:”La censura, quando ce vo’ ce vo’”. Lo sappiamo, Fausto, lo sappiamo. E subito qualcuno nella platea ha invocato il Collegio di garanzia. La sindrome di Beria non muore.

 

Chi apre il “seminario nazionale” dei venti notabili? Ma lui, l’uomo che sulla spirale la sa più lunga di tutti, colui che a sentire “Intifada fino alla vittoria” brandisce subito il pastorale: antisemiti! E’, appropriatamente, il responsabile esteri del partito, Gennaro Migliore. E’ lui che indica la via, è lui che illumina le ombre, è lui che mette i paletti, è lui che divide il giusto dall’ingiusto, il bene dal male. Riparte la spirale che sale sale, in tutti gli interventi, viene fugacemente interrotta dallo smanierato che scrive, ma è subito ricomposta e rilanciata verso l’infinito proprio di questa figura geometrica, nientemeno che dal segretario. L’ONU – dice  Migliore - è stata sprovveduta e anche negativa, specie quando dell’occupazione ha parlato come peace keeping (risoluzione 1511), ma ora guai a prescindere dall’ONU, è lo strumento democratico per eccellenza. Che gli iracheni lo sappiano o no. Come si farebbe altrimenti a garantire la democrazia, cioè un libero mercato, una privatizzazione di tutto, una ricomposizione dei governi occidentali nella comune rapina delle risorse irachene? Sotto i colpi della dialettica migliorina, svaniscono anche gli ultimi dubbi ereditati da un genocidio perseguito dall’ONU con 13 anni di embargo. Ci si consola con i meriti ONU nella ricostruzione della Somalia, nella spaccatura della Corea, nelle carneficine africane dal Congo al Ruanda, fino al benemerita transizione della Jugoslavia dal gengiskhan slavo Milosevic al democratico occidentale Al Capone. Migliore vuole l’ONU, ma per carità non vuole la resistenza irachena. Uccide poliziotti, diomio! E’ terrorismo puro. Ha fatto fuori 100 curdi in un colpo solo! (L’episodio verrà poi rievocato anche da un altrimenti carta carbone Musacchio che, con la lacrima sul ciglio, ricorda quanto lui si sia speso per la causa curda, e non importa se, nella commozione, faccia un po’ di confusione tra comunisti curdi del PKK sterminati dai turchi e dai curdi iracheni amici dei turchi, da Clinton e Bush, e tribù narcotrafficanti e mercenarie della Cia da trent’anni (dei capi feudali Barzani e Talabani) che stanno pulendo etnicamente il Nord dell’Iraq e ambiscono a spaccare un popolo unito da 3000 anni e a farsi un protettorato fascistoide amerikano, petrolifero e narcotico. Del resto Musacchio si occupa di ambiente e le boscose montagne del Kurdistan vanno salvaguardate o no?.

 

Naturalmente hanno ragione gli occupanti e Bush a dire che lì, in Iraq, a tirare le fila c’è Al Qaida e, quindi, anatema a coloro che sostengono la resistenza irachena e la chiamano guerra di liberazione! Al Migliore devono essere fischiate le orecchie al ricordo di quelle migliaia di compagni fuorilinea – non più di un paio ne sono tracimati nelle lettere a Liberazione – che hanno mentalmente – ma in alcuni casi anche fisicamente – vomitato a leggere sul “giornale comunista” coprofile esternazioni di certi sedicenti comunisti iracheni  (anche di questo si parlava nel documentino buttato sul rogo dal segretario) in omaggio all’occupazione “liberatrice” USA. Vomito diventato irrefrenabile a sapere che il PCR si era gemellato con questo “PC iracheno” che, mentre tantissimi comunisti si battono in armi o in marcia contro l’occupante colonialista e stragista, siede nel governo fantoccio nominato e pagato dagli USA e capeggiato da gangster come Ahmed Chalabi e Jalal Talabani. Il “responsabile esteri” ha una parola risolutrice e risanatrice: “Non si può mica dire che quelli del PC iracheno siano agenti della Cia. Non erano forse contro Saddam e, quando stavano a Londra (tra i computer e negli appartamenti regalati dalla Cia. N.d.r.), anche contro la guerra?” E vogliamo forse soffermarci su queste quisquilie quando il ragionamento è talmente degno del cognome di Gennaro e pure corazzato dal nobile anatema sionista  contro ogni “Intifada fino alla vittoria”, che poi quella vittoria (immaginata dai palestinesi come la pacifica e paritaria coesistenza tra due popoli) non è davvero altro che una “destabilizzazione terroristica”. Già, come la troppo angelicata resistenza partigiana, o come la rivoluzione d’ottobre dell’orrendo novecento. Migliore finisce con un’impennata di originalità: dalla ormai stra-acquisita “spirale guerra-terrorismo” passa con balzo estetico nientemeno che alla “morsa guerra-terrorismo” ed è comprensibile che, anziché dalla scontata ovazione, il responsabile venga accolto alla fine da uno stupefatto e ammirato silenzio.

 

E’ l’ora ormai del panino e della birretta, proprio quando Franco Grisolia osa una deviazione dal liturgico paradigma affermando che la resistenza irachena va appoggiata, ma anche criticata perché non diretta da un partito comunista rivoluzionario (gli iracheni in armi ne sono rimasti mortificati e provvederanno). Di Ramon Mantovani è sempre difficile ricordare cosa dice, ma mi pare che abbia costruito una specie di gerarchia, con in fondo, nella merda, la resistenza irachena, un po’ più su, a galla, le Farc colombiane e in cima, ad altezze irraggiungibili, Marcos e gli zapatisti nella loro sublime formula sparo-non sparo. Una sua intuizione formidabile mi è rimasto però impressa: non è vero niente che Francia e Germania abbiano alimentato un’opposizione alla guerra imperiale (guai a pronunciare la parolaccia “imperialista”). E l’idea di un polo alternativo che inglobi Russia, Cina e India è una vera stronzata. Sbavano tutte a entrare nella Nato. Ah, perché mai non abbiamo più il Ramon responsabile, lui, degli esteri, a spiegarci come va il mondo!

 

Non sto a tediarvi con il resoconto degli interventi di Nicotra, Ricci, Gianni, o del citato Musacchio. Nessuno avrebbe potuto essere più coerentemente e originalmente fedele alla linea, anzi, alla spirale. Con il capo copertomi di cenere e di sdegno dal successivo Bertinotti, riferisco la terribile caduta culturale e politica del sottoscritto. Accecato da narcisistica deformazione professionale, avevo osato presentare, documenti alla mano, alcuni dati informativi e le deduzioni che pensavo se ne potessero trarre. Acchiappando la coda della spirale, avevo tentato di disarticolarla, nientemeno, illustrando il collasso della versione ufficiale degli attentati dell’11 settembre 2001, citando le innumerevoli contraddizioni e menzogne risultanti dalle ricerche e dalle rivelazioni di investigatori, luminari, testimoni, famigliari delle vittime: la paralisi durante due ore di attacco del più attrezzato apparato di difesa area del mondo, il crollo controllato delle torri, il buco di 5 metri fatto nel Pentagono da un aereo di 39 x 12 metri che non lascia neanche un  briciolo di rottame, l’allegra visita di Bush a una scuola durante tutto l’attacco, le speculazioni preventive in borsa sulle azioni delle compagnie aeree e d’assicurazione, dirette da Buzzy Krongard, direttore operativo della Cia, la scomparsa delle scatole nere, il sabotaggio governativo dell’inchiesta parlamentare, i precedenti storici  degli autoattentati statunitensi da almeno un secolo a questa parte per giustificare aggressioni militari, i legami della Cia con Al Qaida dall’Afghanistan dell’Armata Rossa, alla  Bosnia, al Kosovo e, ancora oggi, alla Macedonia, gli analoghi legami, societari e famigliari tra i Bush e i Bin Laden, il disastro che dall’11/9 e seguenti è derivato al mondo islamico e alle classi lavoratrici e l’inenarrabile vantaggio che ne è venuto ai guerrafondai preventivi e permanenti, i piani di un’aggressione a Afghanistan e Iraq giustificati con l’11/9, ma già pronti da mesi e anni,  e dai e dai e dai, ne sapete quanto e più di me.

 

Ho chieste, impertinentemente, lo ammetto, che questa mole di lavoro di controinformazione sull’operato della notoriamente più bugiarda e cinica amministrazione della storia umana alimentasse almeno qualche dubbio, una pratolina nelle distese ghiacciate delle certezze assolute, un piccolo sbandamento della spirale guerra-terrorismo, per sospettare che, forse, forse, le guerre e gli attentati terroristici li fanno gli stessi, gli stessi che guadagnano cornucopie come piovesse da tutti e due. Che la dicotomia guerra contro terrorismo e terrorismo contro guerra, avallando esattamente quello che i guerrafondai vogliono, che cioè il terrorismo sta fuori, dall’altra parte, soprattutto nell’Islam (dove certamente imitatori e sicari fanatizzati proliferano), potrebbe forse agevolare la strategia dei nuovi conquistadores contro popoli e classi. E che allora il dogma resistenza uguale terrorismo, a parte l’incongruità storica, avrebbe potuto rivelare qualche lieve incrinatura e che, impostasi così una logica e doverosa solidarietà con chi resiste, in qualsiasi modo, il rosario della non violenza poteva anche perdere qualcuno dei suoi grani… Speculazioni, arzigogoli, dietrologie. E Chomsky? E Gore Vidal? E Chosuddovski? E Giulietto Chiesa? E l’ex-ministro della difesa e della tecnologia tedesco, Andreas von Buelow che, insieme a tanti altri, da anni fantastica su un terrorismo tutto USA? Intellettuali fuori della realtà, innamorati dei propri complottismi. Infine, un dubbio minuscolo come un microbo non potrebbe nascere dalle gigantesche bugie con le quali i governi della guerra permanente hanno giustificato carneficine e devastazioni di paesi e popoli? Non avrebbero potuto mentire anche su tutto il resto, Milosevic, Osama, Saddam, terrorismi compresi?

 

Bertinotti non ha esitato a rispondere subito, da par suo, con l’ ironia che simili fantasticherie meritano. Dichiarato, con idonea espressione facciale, che le “argomentazioni di Grimaldi mi hanno fatto ammutolire” (ammutolimento che, interpretato tendenziosamente, avrebbe anche potuto accendere una scintilla di speranza in molti comunisti), ha subito promesso che si sarebbe “mantenuto nello schema  costruito dai precedenti oratori e avrebbe evitato rigorosamente di riferirsi a quello di Grimaldi. Quindi, nei successivi trenta minuti, Bertinotti non ha fatto altro che replicare alle fesserie dette da Grimaldi, negando in primis che ci si possa inventare un mondo del male insediato a Washington e sostituire la Cia ai meccanismi di accumulazione del capitale. “Responsabilizzare il mefistofelico gruppo dirigente USA a scapito della critica del capitalismo e dei suoi poteri costituenti?  E no!”  E poi, altra doccia fredda sugli infantili entusiasmi del dietrologo fissato: “Il potere va destrutturato con la disobbedienza, sottraendo le masse al consenso, costruendo criticità e luoghi, spazi, alternativi critici con la non violenza  che è la forza critica della nuova fase capitalistica. La violenza è una critica graffiante al cuore del potere e al suo carattere oppressivo”.

 

Compagni, amici, osservatori, che dire davanti a tanta critica, a tanta elaborazione teorico-pratica. La testa gira, gli occhi si inumidiscono, il cuore batte, l’anima si eleva a spirale. L’avessero detto a Spartaco, alla donna violentata, a Marx,  a 400 anni di rivoltosi irlandesi, agli arabi che cacciarono re e governatori coloniali, ai partigiani che cacciarono i nazifascisti, agli indiani sparacchioni di Wounded Knee,  ai serbi che a forza di fucilate si liberarono dei tedeschi, ai bolscevichi che, sparando, costruirono la prima alternativa all’essere soggiogati e sfruttati, agli iracheni che stanno costringendo i nuovi barbari a mollare la preda, ai palestinesi che se non avessero combattuto dal 1967 in poi non ci sarebbero proprio più, ai comunisti che pensavano, contro le mediazioni di Turati, che si sarebbe potuto fermare i fascisti con la forza, agli aborigeni australiani dell’altro giorno a Sidney che, castigando manipoli di poliziotti al servizio della più feroce apartheid del mondo (dopo quella di Israele), hanno finalmente attirato l’attenzione del mondo sul loro genocidio… L’avessero detto a tutta l’umanità, durante tutta la storia, che criticare bisognava, perdio, non lottare, non combattere rischiando di diventare simili al proprio aguzzino, magari come quei corrotti di Giovanni Pesce, o Giorgio Bocca, o Gerry Adams, o Che Guevara!

Quanto sarebbe stata più rosea, la vicenda umana, dolce, senza preoccupazione per il potere: se lo tengano quello schifo, ne facciano quello che vogliono. Noi critichiamo. E, ve lo giuriamo padroni, senza alzare un dito.

 

E cantiamo: “E’ primavera, svegliatevi bambine…”

 

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