MONDOCANEarchivio

                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

 

 

Da Madre Teresa di Calcutta a Jabbar Kubaysi del Campo Antimperialista: balle che svaporano

MITI, MITICCHI E MITIQUAQUARAQUA’

 

29/08/2007

 

Giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole che si sappia. Il resto è propaganda.

(Horacio Verbitsky)

 

 

Da Gesù a Nerone: l’inversione dei fattori cambia il risultato

L’imperfettibile antropologia di Leonardo Sciascia – uomini, ominicchi, ruffiani e quaquaraquà – è applicabile pari pari ai miti, cioè a quelle figure che, a un certo punto e per un certo tempo, per meriti posseduti o attribuiti, assurgono tra un importante numero di umani a icone amate e venerate. I miti che durano sono di solito quelli che o vantano davvero le qualità riconosciutegli, o sono l’oggetto di un massiccio, possente e duraturo lavoro di promozione/denigrazione. Poi ci sono quelli, i miticchi e i mitiquaquarà, che escono dalle provette dei laboratori dell’intossicazione padronale. Ovvio che il Che Guevara, o Cavallo Pazzo, o Spartaco, o Giap, o Dante, o Lenin, si collocano tra i primi dove, ci giurerei, saranno presto raggiunti da Slobodan Milosevic e Saddam Hussein, una volta che tempo e verità avranno disintegrato la blindatura diffamatoria nella quale i nemici dei loro popoli li hanno sepolti. Per la posizione dei secondi, cito due campioni esemplari: in positivo, secondo un comune sentire tuttora prevalente, Gesù, visto che – a dispetto delle nefandezze dei suoi rappresentanti in Terra - sarebbe dio, ma  del quale, ciononostante, da duemila anni si attende una purchè minima prova di esistenza. Nerone in negativo, dato che uno dei più saggi e colti imperatori romani, che neanche dipinto avrebbe potuto vedere un solo cristiano dei tanti che avrebbe bruciato (arrivarono a Roma dopo il suo regno), è stato fatto assurgere dai seguaci del primo a modello di nequizie cosmiche. Infatti, prima che i nazisionisti di Washington e Tel Aviv ci abituassero a dare dell’Hitler a coloro che rifiutavano il loro giogo e dovevano essere eliminati (Fidel, Ho Ci Min, Mao, Arafat, Milosevic, Saddam, Mugabe, Al Bashir, Chavez…), tutti i cattivoni del mondo e della storia venivano gratificati di “Nerone”.

 

Campioni della frode, miticchi della modernità neomedievale: Madre Teresa e Padre Pio

Giorni fa è crollato un mito dell’oscurantismo moderno, pochissimo tempo dopo la sua apoteosi in Vaticano, a dimostrazione che di miticchio e non di mito si trattava. O di mito fasullo, tipo bibita all’arancio con lo 0% di arancia. Madre Teresa di Calcutta, già beata e a due passi da una canonizzazione che, insieme a quella di un altro impostore, Padre Pio da Petralcina, avrebbe dovuto esaltare, nella contingenza dello spappolamento dello Stato predicato da Toni Negri come da Bush (questi, però, pro domo sua), il principio della sussidarietà caro al neoprotocapitalismo, ha lanciato nello stagno un masso da dieci tonnellate e ha mandato schizzi imbarazzanti su tutto quanto il mondo del fondamentalismo cristiano. Ha dichiarato postumamente, nelle lettere ai confessori, ora rigurgitate dalla forza ineludibile del gossip (termine stupido per “pettegolezzo), di vivere nell’oscurità e di  non riuscire a trovare Cristo, neanche disponesse di un visore a raggi ultrarossi. Un’ammissione di ateismo da parte di chi per una lunga vita aveva inflitto alle sue cavie da paradiso le più atroci sofferenze pur di avvicinarle a quel Gesù di cui, pure, non aveva trovato traccia in terra, cielo e mare. Roba da far crollare almeno un paio dei berniniani tortiglioni di rame (rubati al Pantheon) che sorreggono il baldacchino in San Pietro. Una bella gara quella tra i venerabili Padre Pio e Madre Teresa per chi abbia meglio operato in favore della superstizione e più profondamente ingannato il popolino. Il primo, visto il sangue di tintura di iodio scaturito dalle sue stimmate fasulle, fu bollato per gabbamondo dalle autorità competenti del Vaticano prima che arrivasse la canea vandeana dei papi Montini, Woytila e Ratzinger (decreto mai ritirato!) e rimane nella memoria degli antifascisti per le sue benedizioni alle squadracce fasciste che, agli ordini degli agrari, smazzavano i contadini e i politici di sinistra. Le opere da lui e poi nel suo nome erette sono un monumento alla capacità predatrice della Chiesa Apostolica Cattolica Romana. Il suo miticchio regge alla grande e produce miliardi alla Chiesa, “purchè non sia attività esclusivamente commerciale”.    

 

La seconda, dolente e perennemente stazzonata martire della Fede e della Carità, con quelle sue lettere sul “Gesù, dove cazzo stai?”, dovrebbe aver picconato le basi del processo di canonizzazione avviato dal cospiratore polacco e incalzato dal pastore tedesco. E forse, visto che Madre Teresa, vuota di Gesù, per tutta la vita aveva mentito sulla sua intimità con lo stesso, a qualcuno potrebbe venire l’uzzolo di andare a vedere la fondatezza di altre parabole tessute attorno alla beata. Scoprirebbe che, se Teresa non incocciava mai Gesù, forse perché cercare questo totem dell’amore e della carità alla corte dei più sanguinari dittatori dell’America Latina yankizzata, Somoza del Nicaragua e Duvalier di Haiti, dove la santa donna trascorreva vacanze e attingeva fondi, non era proprio come cercare l ‘uva in una vigna. Riandrebbe i percorsi reaganiani della Nostra, quando Teresa è il fondatore dell’impero del Male intrecciavano danze antiaborto, antidivorzio, antiliberoarbitrio sotto i portici della Casa Bianca e nei ranch privati dell’attoruccolo da serie B, però motore da formula uno del rincoglionimento dei sudditi. Si troverebbe a doversi squadernare sotto gli occhi gli orrori igienici e morali dei tuguri della morte di Teresa a Calcutta, come descritti da medici e visitatori non lobotomizzati dal miticchio, dove la vecchia strega si aggirava negando ai malati terminali anestetici, dato che “il dolore avvicinava a Cristo”. Lei, però, si curava dai meritati acciacchi di una senilità perfida in cliniche di lusso svizzere…

 

Miti per gonzi e miti per operai: il Dalai Lama e Lula

Che dire del Dalai Lama? Un miticchio Cia osannato nel suo pendolarismo al servizio delle destabilizzazione imperialista dell’Asia da uno schieramento che più bipartisan non si può. Va bene a Fiamma Tricolore, anche perché per i nazisti era nel Tibet dei tiranni monacensi, pedofili e padroni di vita e morte di tutti i tibetani non preti, che logicamente andavano ricercate le radici etnico-ideologiche del naziarianesimo. Per i postforchettoni Casini e Mastella, manco a parlarne: superstizione per superstizione, frode religiosa per frode religiosa, tutto fa brodo padronale. Come per i neoforchettoni da Fassino a D’Alema. Ma anche, a completare un arco politico che invece è una cassuela, per Bertinotti, di cui si deve ricordare la foto, con tanto di stola buddista immacolata, commosso e sorridente accanto all’erede di un regime tra i più ferocemente assolutisti della storia. Per uno che tiene sul caminetto l’immagine del suo guru, il riciclatore di cervelli Massimo Fagioli, non c’è proprio da meravigliarsi. E, parlando di qui pro quo del nostri tempi quale mito è risultato più miticchio di quello di Ignacio da Silva, detto Lula? Il presidente-operaio (non quello da barzelletta nostrano), il sindacalista di San Paolo (peraltro sindacalista giallo sotto la dittatura, il che già avrebbe dovuto porre sull’avviso), la grande speranza del Brasile di avviarsi alla luce della giustizia, dopo decenni di vampirismo neoliberista (meglio neoprotocapitalista), di corruzione e ruberie d’elite, di polizia-Gestapo, di esclusione e repressione dell’ottanta per cento della popolazione. Il presidente-operaio ha coronato il suo decadimento da mito a miticchio quando, degradata in opere di sporadica carità alimentare la promessa di riscatto sociale e di emancipazione politica, ha concluso con il buffone dell’élite imperialista un accordo strategico che Fidel Castro ha sacrosantamente e scientificamente denunciato come programma di genocidio dell’umanità: la spartizione del mondo e dello sterminio per fame dell’umanità tra Usa e Brasile nella conversione in agrocombustibili per automobili delle terre di metà Brasile e metà Nord America, già coltivate per l’alimentazione umana. Anziché un miliardo di morti di fame, ne avremo cinque e la civiltà superiore starà, per le sue parti elette, assai più larga e viaggerà con l’etanolo su autostrade sgombre. Chi si rode d’invidia è Malthus, teorico della gente di troppo.

 

Un miticchio da rilanciare periodicamente in mito: Ghandi

Per sistemare il santone dell’unilateralismo pacifista (quello dei potenti e dei loro corifei) basta poco. Accantonate le sue scheletriche e perciò funzionali nudità e i digiuni della stessa caratura di quelli del Marco - forza Israele! – Pannella, si ricordino i trascorsi filo mussoliniani, con tanto di saluto romano dai balconi italici e il suo sostegno, abituale tra la ricca minoranza indiana in Sudafrica, all’apartheid.

Conta di più il ruolo rivestito dal mahatma in funzione del salvataggio del feudalcapitalismo e del sistema delle caste dal collasso del colonialismo britannico.

Con Ghandi innalzato in vita su tutti gli altari del mondo, l’Occidente capitalista riuscì a rimpiazzare (anche grazie alla solita passività dell’URSS) una vittoria militare e sociale dei partiti comunisti e di sinistra, conseguita in decenni di sanguinosa lotta armata contro gli inglesi, a costo di migliaia di vittime, con una vittoria politica della borghesia. La nonviolenza di Ghandi, apparsa nell’uomo solo dopo il rientro dal Sudafrica razzista, fu premiata con l’indipendenza che il digiunatore garantiva sarebbe rimasta nell’ordine costituzionale (Commonwealth) e sociale voluto dai colonialisti in ritirata. Al posto di Lenin, s’installò la Regina d’Inghilterra e gli “intoccabili” restarono intoccabili e i rajà restarono rajà. Oggi Ghandi continua a far danno con l’imbroglio del disarmo unilaterale degli oppressi, occultato dal mito falso della nonviolenza. Ma conforta con questo inghippo etico la cattiva coscienza dei disertori della lotta di classe e della guerra antimperialista.

 

Il miticchio dell’accumulazione delle forze: Claudio Grassi

Il mito è quello che resiste quasi indiscusso. Il miticchio è il mito partito male, di seconda categoria, in corso di sgretolamento. Il  mitoquaquaraquà è quello del classico vorrei ma non posso. Sono quelli delle cromature Abarth, delle Mini Cooper bicarburatorate, della vipperia da discoteca romagnola, dei Forattini o Michele Serra che pensano di essere Grosz o Mark Twain, dei comprabanche diessini. Prima di arrivare al fondo di questa categoria, il Campetto Antimperialista dei vernacolari perugini, mi viene in mente, volando basso basso, un vero mitoquaquaraquà: Claudio Grassi, con il suo seguito di strapuntinari. Chi è Claudio Grassi? Qui, a dare una risposta adeguatamente brillante, ci vorrebbe il simpatico comico romano, Gabriele Cirilli, con quel suo esilarante chi è Tatiana??!! che faceva del difetto del personaggio, la grassezza, una categoria antropologica proprio da mito. Claudio Grassi, alcuni dei miei lettori sorrideranno amaramente, era il Grande Capo della corrente comunista vera di quel caravanserraglio in cui Bertisconi  era andato tramutando dalla fine del secolo scorso il partito nato per ricominciare il cammino della liberazione umana. Era la corrente intitolata alla sua, per la verità dignitosa, rivista L’Ernesto (merito del beneparlante e malevotante semidissidente senatore Fosco Giannini), per la quale per anni scrissi in libertà anch’io e le cui posizioni aiutai a diffondere in mille convegni tra Brunico e Marsala. Per lo spazio di un mattino di forzose speranze ci credetti anch’io, al Grassi,  omino la cui morfologia e il cui carisma ricordavano un mustelide, ma i cui annunci di palingenesi escatologica del partito della rifondazione comunista avevano attirato alla corrente qualcosa come il 28% degli iscritti. Di questi il 25% erano sognatori, i rimanenti acari da poltrona. A noi che ardevamo di insofferenza di fronte alle retrocapriole del cashmirato segretario e sovrano, il mustelide rispondeva: calma e gesso, accumuliamo le forze. Tardivamente e tra uno scoppiettio di scissioni e controscissioni dell’accumulato, che pareva lo smarrimento di Zazà a Piedigrotta, gli ernestini si accorsero che chi aveva accumulato erano esclusivamente Prodinotti, cui il talpesco aveva tenuta buona l’opposizione e la revulsione interne, nonché lo stesso Grassi, con vivandieri vari, che si erano installati vuoi nel parlamento dei 18mila euro al mese, vuoi nei consigli locali, nelle municipalizzate, negli interstizi del barile. Questi granitici combattenti contro l’imperialismo e le sue guerre votarono come un solo uomo per le spedizioni da sterminio coloniale in Afghanistan e Libano. Del resto, accumulo dopo accumulo, erano rientrati a vele spiegate, bianche, nella maggioranza bertisconiana. E’ di questi giorni la manchette sui giornali “di sinistra” che annuncia la “Festa Nazionale di essere comunisti” (non si chiamano più “L’Ernesto”, perchè la rivista è rimasta a Fosco Giannini).

Pensate cos’è stato capace di fare il mitoquaquaraquà: cinque giorni, corredati di Banda Bassotti (onore a loro, sono miei amici), la presenza sicuramente più di sinistra, in cui di tutto si dibatterà: Cuba, lavoro, partito, governo, donne (guai, sennò ti sbranano), alternative politiche-ha-ha-ha. Di tutto, fuorché di una cosetta da niente per un comunista antimperialista: la guerra, il nuovo colonialismo italo-forestiero, le basi da olocausto nucleare del padrone, Vicenza, la nostra partecipazione al genocidio dei popoli. Imbarazzo? Collusione? Vergogna? Fate voi. Mitoquaquaraquà.       

  

 

Il mito – vero – della Resistenza Irachena, il mito – falso – di Al Qaida e il mitoquaraquà di Jabbar Al Qubaysi e della sua Alleanza Patriottica Irachena

Dopo sei anni in cui il nazisionismo e i suoi ascari europei hanno imperversato contro i popoli del Sud del mondo e contro le proprie classi escluse interne, avvicinando le specie viventi di qualche evo alla loro fine, il mito – occultato o satanizzato - della Resistenza irachena e dell’Iraq laico e antimperialista va giganteggiando, a forza di micidiali colpi contro l’occupante, nell’immaginario di tutte le resistenze non emasculate dal bertinottismo. La costruzione mitica di Al Qaida si va sgretolando per merito di un’ormai irresistibile movimento della verità e per demerito delle puttanate diffuse dai suoi cultori, mentre affonda nel ridicolo il fiancheggiatore miticchio di un leader della Resistenza che passeggia per i Champs Elysées e con il quale un gruppetto di sparaballe perugini aveva tentato di superare la marginalità in cui lo avevano confinato le astrusità e ambiguità delle sue teorizzazioni post-destrasinistra e delle sue “analisi” geopolitiche. Il mutamento climatico pianificato, a forza di menzogne e di campagne terroristiche, dalla banda di gangster installatasi con metodi fascisti e truffaldini a Washington e Tel Aviv se la deve ora vedere con un clima di mutamento determinato sia dalla forza oggettiva dei fatti (l’evidenza travolgente della natura criminale di chi governa in Occidente), sia dal grande lavoro sull’orrenda patacca dell’11 settembre 2001 e, di conseguenza, sul mostro Al Qaida che ne è stato fatto sortire.

 

Uno tsunami di verità sull’11/9

I documenti, filmati, le testimonianze dirette, le competenze degli esperti, l’irresistibile forza di una logica abbandonata dai chierichetti dello stereotipo diffamatorio, la logica del cui prodest, e, last but not least, quella che dall’uso dell’11/9 è venuto alle vittime delle élites occidentali, hanno saputo superare la blindatura della menzogna, della calunnia - quei paranoici di dietrologi ! – e della compiacenza, a sinistra, di chi avrebbe dovuto assolvere a ben altre responsabilità e invece si è piegato al “mito” del più grave crimine contro l’umanità mai commesso. Al Movimento per la verità statunitense, meritevole, insieme a sparute voci europee, di aver opposto per primo lo specchio di Perseo all’orripilante volto della Medusa nazisionista, annullandone il potere paralizzante della ragione, si stanno aggiungendo voci sempre più qualificate, da Gore Vidal, massimo scrittore statunitense vivente, a Robert Fisk, da decenni prestigioso inviato in Medioriente e il più autorevole esperto di quel mondo, fino alle nostre perorazioni di nicchia in Italia, ora coronate da Zero, perché la versione ufficiale sull’11/9 è un falso, il grande lavoro internazionale di ricerca, analisi, testimonianza e documentazione realizzato con i suoi collaboratori, in volume e dvd, dal capofila dei pochissimi giornalisti onesti e capaci sopravvissuti al degrado del conformismo, Giulietto Chiesa. Il ludibrio propagandistico di Bush  e dei sicofanti di una “commissione d’inchiesta” imbavagliata da mille dinieghi, a dispetto di tutti i testimoni e delle evidenze visive e tecniche, ci aveva rifilato torri che esplodono per un focarello di pochi minuti, apprendisti piloti bocciati che compiono acrobazie mai viste dal Barone Rosso in qua, difesa antiaerea collaudata anche contro le zanzare, ma rimasta bloccata per ore, grattacieli che crollano ore più tardi senza il minimo innesco, aerei che precipitano in un punto preciso e i cui rottami si ritrovano sparsi su miglia quadrate, Boeing enormi che fanno un buco da talpa nel Pentagono e poi svaporano nel nulla, dirottatori inceneriti nello schianto che ricompaiono vispi e vegeti nei propri paesi, un Osama dato ufficialmente per morto nel 2001 in Pachistan e resuscitato in video provati manipolati dai più noti esperti internazionali (il logo di Al Qaida inserito dalle stesse mani e nello stesso momento del logo di una società produttrice di video, Intelcenter, vicina al Pentagono). Lo stesso Osama visitato dal capostazione Cia in Dubai mentre si faceva la dialisi in ospedale. Lo stesso Osama che il governo sudanese voleva consegnare agli Usa (come più tardi il mullah Omar!) e questi dissero di mandarlo in Afghanistan. Lo stesso Osama che il 10 settembre tornava a farsi la dialisi in un ospedale di Rawalpindi, come documentato dal più autorevole giornalista Usa, Dan Rather su CBS. Si potrebbe andare avanti per ore.

 

Piano piano, a forza di resistere ad alluvioni di contumelie che, partendo classicamente dalla ridicolizzazione e arrivando all’intimidazione e alla criminalizzazione, sciabordavano tra stampa di regime e stampa sedicente alternativa (“il manifesto”, “Diario”), i “complottisti” hanno trovato alleati dove non si sarebbero sospettati: i rapporti interni trapelati dal comando Usa in Iraq che,  smentendo il loro stesso presidente impegnato, a disco rotto, a blaterare di Al Qaida. Del resto, i quattro scalzacani che, imbeccati, si dichiaravano di Al Qaida in sospetti bollettini iracheni, erano già stati travolti dalle ripetute e unanimi dichiarazioni di tutte le vere formazioni della Resistenza, dal Baath agli islamici e alle Brigate della Rivoluzione del 1920, nonché di un numero altissimo di capi tribali, secondo le quali Al Qaida in Iraq era un’invenzione dei servizi Usa, in massima parte virtuale, in minima parte mercenaria, (come del Mossad in Palestina e di Giuliano Amato in Italia). E quella minuscola parte mercenaria, composto da scaltri quadri e da utili idioti fanatizzati, impegnata in attività criminali, estorsioni, sequestri, attentati a civili, sulla falsariga delle milizie scite di obbedienza iraniana, veniva presa a fucilate dalla stessa popolazione che ben presto ne aveva individuato il carattere spurio. 

 

Correre ai ripari. Pompare Al Qaida. Chiunque si oppone alla democrazia occidentale è figlio di Osama.

Gli stessi comandi Usa, poi, nei briefing ufficiali, erano costretti a rilanciare la linea del comandante in capo che descriveva un’ Al Qaida onnipotente e onnipresente, alla faccia di una mobilitazione guerresca e poliziesca mondiale, un golem terrorista bisognoso di urgentissimo lifting delle rughe che gli erano state scavate dal Movimento per la verità. L’altalena del piccolo psicolabile nella Casa Bianca, tra trionfalismi sull”’indebolimento di Al Qaida”, dovuti ai sempre più inquieti cittadini, e rilanci atti a giustificare  ulteriori nefandezze della guerra globale al terrorismo, è stato uno dei momenti più esilaranti di tutta questa storia. Di colpo i cinque giornalisti embedded  (mercenari), rimasti rintanati nella “Zona Verde” di Baghdad, dalla loro unica fonte di informazioni residua consentita, il rapporto del portavoce del generale Petraeus alle cinque della sera, venivano bombardati da bollettini in cui non si faceva più cenno né della Resistenza antioccupazione, né delle cannibalesche milizie scite di varia denominazione, del resto finite a sbranarsi tra loro  dopo aver fatto del meglio Usa-Iran per pulire etnicamente i centri abitati sunniti. No, ormai ogni efferatezza, addirittura ogni IED (Improvised Explosive Device), ogni cecchinata, ognuno dei cinque marines e dei dieci contractors uccisi dalla guerriglia ogni giorno, ogni attentato venivano attribuiti ad Al Qaida. La stampa dei velinari dell’impero e del regimetto locale, per noi Repubblica, Corriere della Sera e broccoli  di contorno, raccoglievano l’input (per chi non lo sapesse: il suggerimento) e rilanciavano alla grande: paginoni e paginoni, mappette, fotone e fotine, disegni, grafici, diagrammi, tutti intesi a resuscitare la carogna del proprio agente-capo saudita e ricollocarla nell’ambito da dove sarebbero partiti i suoi supereroi contro Manhattan e il Pentagono, nelle caverne di Tora Tora. Con il beneficio aggiunto della scusa per continuare a polverizzare famiglie, case e campi afgani, senza  ulteriori colpi di spillo da parte di ministri alleati, in affanno davanti al proprio elettorato. E a fronte di queste belve di Al Qaida, come non sostenere – come fa Repubblica accanto alle lenzuolate su Osama – i fantocci ladroni del “governo” iracheno e quel Bernard Kouchner che, sepolta la grandeur autonomista di Chirac, fa il ricambio del sangue alla politica estera francese correndo in soccorso agli Usa e ai loro fattorini di Baghdad e infilando il suo fiato tossico nella tromba della “minaccia planetaria Al Qaida” Quel Kouchner che ricordavamo fondatore di un’associazione di medici zeppa di spie e accanito pulitore etnico per conto Onu in Kosovo. Un mascalzone se ce n’è uno. Aveva voglia l’AMSI, l’Associazione degli Ulema iracheni, voce autorevolissima e forte della Resistenza dalla sua splendida moschea saddamista di Umm al Qura, a documentare le operazioni della vera Resistenza, a smentire ogni ruolo anti-occupazione di Al Qaida e a pagare questo coraggio e queste verità con continue irruzioni, devastazioni, demolizioni, arresti, della soldataglia Usa.

 

 

 

Moreno Pasquinelli  nel coro di Bush. Tonfo finale di una commedia degli equivoci

E a questo punto che, travestito da unico ed eroico vindice della Resistenza irachena, rientra in campo, dal limbo dell’oblio dei cazzari, il vernacolare umbro Moreno Pasquinelli. Generale a riposo della Resistenza islamista in Italia, è colui che, avendone io e compagni vari ripetutamente sfrucugliato le inquietanti posizioni, effettuata una ricerca scientifica sulle mie opere e vita, aveva concluso che tra me e Magdi Allam, scudiero del capofila del sionismo giornalistico Paolo Mieli, quello che viene mandato avanti perché a Mieli viene da ridere, non c’era nessuna differenza. Tutti e due attaccavamo il Campo Antimperialista. Che il velinaro egiziano lo facesse da destra e io da sinistra al perugino poco calava, dato che ormai da tempo si librava libero, in formazione con i neonazisti di Claudio Mutti, De Benoist e Thiriart, nei cieli del “comunitarismo” e dell’universalismo islamico, scevri da ogni arcaica divisione tra destra e sinistra. Ebbene, oggi il gruppetto riunito intorno a questo Trotzky di rione, superato di lancio l’anatema col quale aveva colpito chi, secondo lui, si confondeva col nemico, non ci ha messo il tempo di un’esternazione di Bush per correre al suo fianco e tossicchiare nei di lui strumenti a fiato.

 

I solchi tracciati nel Campo e la spada che li difende

Non è la prima volta che gli agitati del Campo Antimperialista mirano a parole contro l’imperialismo e sparano colli di veleno contro l’antimperialismo. Esaurita la fase pseudotrotzkista della rivistina Praxis, che non era riuscita a tracciare solchi se non nella carta su cui era stampata, il campetto si orientò sulla Jugoslavia. Con perspicacia e coerenza. Prima a sostegno dei serbi e di Milosevic, poi, cambiata l’aria, a disgusto degli stessi e dei loro “mille errori”. Il momento fondante del Campo, oggettivo sodale di un’ Al Qaida sulla quale ogni sinapsi di sinistra partoriva dubbi cosmici, venne con l’11/9. A “sinistra”, si fa per dire, il Campo fu l’unico a riconoscere nell’attentato – in sintonia speculare con i perpetratori nazisionisti – un’operazione collegabile alla resistenza antimperialista dei popoli. Analogamente onorò di rispetto e riconoscimento nientemeno che Mussab Al Zarqawi, l’invenzione simil-Osama dei servizi Usa per introdurre Al Qaida in Iraq, ricuperando un cadavere del 2003, già bell’e sepolto a casa sua, a Zarqa, Giordania, ma previdentemente filmato mentre, flaccido e panciuto, ballonzola con quattro energumeni in nero su una spiaggia (il deserto!) non sapendo come maneggiare l’arma che è la protesi di ogni combattente arabo, l’AK47. Non gli ha reso molto, al Campo, questa “solidarietà tra resistenti”, per cui, con un Pasquinelli che ne inventa una più del diavolo, ecco nascere gli Antiamericanisti”, combriccola partorita, per rientrare in gioco gabbando gli scemi, dalla teorizzazione “andare oltre la dicotomia destra-sinistra” del sottobosco neonazista da Franco Freda in giù. La testata, di pura acqua razzista, convogliava in un appello “antiamericano” nel nome della “comune lotta all’imperialismo”, accanto ai quattro sfigati del Campo, il fior fiore della pubblicistica di estrema destra. La cosa finì malissimo per il Campo che venne inondato dalla riprovazione di ogni essere pensante e che, alla contestazione che i fascisti sono antimperialisti perché auspicano un imperialismo loro, italico, europeo, carolingio, eurasiatico, ritenne utile tornare per un po’ nel retrobottega dei ristoranti locali. Si rifece sotto, sempre guidato dal “filosofo” post-moderno Costanzo Preve, assumendo il ruolo di unico e indomito sostenitore della Resistenza Irachena, per la quale andava raccogliendo “dieci euro a testa”, essendo l’unica entità a conoscenza del conto corrente postale di tale Resistenza… Va dedicata una nota, qui, a coloro che gli permisero di riempire un effettivo vuoto di solidarietà a chi più di ogni altra situazione conflittuale lo meritava: i conigli cagasotto e le volpi opportuniste della Sinistra, anche di quella extraparlamentare,  la quale nascondeva la sua pavidità sotto il meno controverso unilateralismo filopalestinese. Come se i combattenti iracheni e la sofferenza senza paragoni di quel popolo non fossero all’altezza del sostegno dei “compagni”. Come se la battaglia degli arabi contro la rivincita colonialista e il loro annichilimento nazionale non fosse una.

 

Arrivano i “leader della Resistenza Irachena”

Vi invito a assumervi il travaglio di leggere l’intervista a Al Kubaysi diffusa dal Campo Antimperialista, chiamato anche “Comitati Iraq Libero” e che incollo in fondo. Pasquinelli e Co. Hanno portato in giro per l’Italia due soggettoni fatti passare per leader dell’API (Alleanza Patriottica Irachena), che guida lo schieramento della guerriglia antioccupazione: prima Awni al Qalemji e poi Jabbar Al Kubaysi. Awni lasciò l’Iraq a quindici anni per l’Ungheria e ora vive pacificamente e prosperamente in Danimarca. Kubaysi, dopo un paio di puntate in Iraq prima della guerra (era già esule da decenni) e nel 2004, fattosi un anno di carcere – riabilitante per i compagni, al pari della mesata in prigione di alcuni “campisti” : “dieci euro alla Resistenza era troppo anche per la Digos -  per aver urlato di voler unificare la Resistenza, vive oggi indisturbato a Parigi. Altro che Marina Petrella. Anzi, continua a tenere conferenze in giro per l’Europa, definendosi colui che dirige la Resistenza da Place de la Concorde, senza che coloro che buttano in galera o nelle extraordinary renditions il primo che dica Salam Aleikum, o accusi di terrorismo i bombaroli occidentali, gli chiedano le generalità. E pour cause! Leggetevi l’intervista qui sotto e vi renderete conto perchè un tipo così è addirittura impagabile per i terroristi di Stato che si nascondono dietro Al Qaida. In perfetta sintonia con Bush e i suoi piazzisti tra Parigi, Roma, Beirut e Tel Aviv, il “leader della Resistenza Irachena”, che non ha frequentato mai nemmeno uno con la fionda, spinge come un forsennato sul teorema “Al Qaida ovunque”, Al Qaida autrice di tutto ciò che esplode contro l’occupazione straniera in Iraq. Né più né meno di quanto i recessi delinquenziali dell’Occidente trasmettono ai loro burattini di qua e di là dall’Oceano. Leggete, leggete.

 

Chi è Al Kubaysi.  La desertificazione del Campo Antimperialista

E poi andata rivedervi il percorso contorto di questo supercialtrone sotto www.arablinks.blogspot.com/2007/08/reading-list.html: la fine del Campo Antimperialista e del suo vessillifero iracheno. Un percorso da saltafosso e millantatore se ce n’è mai stato uno. Da detrattore del Baath e di Saddam e del loro ruolo nel governo dell’Iraq libero e prospero e poi nella Resistenza, fino all’alleanza con un ramo discutibile del Baath e l’esaltazione del Saddam che, dopo l’occupazione, percorre il paese in lungo e in largo per rianimare una resistenza da decenni sagacemente preparata.  Dal Kubaysi che dichiara al Campo Antimperialista che la scomparsa di Saddam e del suo “clan di autocrati” è stata decisiva per la crescita della resistenza armata, al Kubaysi che riconosce a Saddam, prima della cattura, il ruolo di innesco decisivo. Dal Kubaysi che prima dichiara inesistente il Baath e poi ne riconosce la funzione dirigente sotto Izzat Ibrwahim al Duri, designato da Saddam. Dal Kubaysi interpellato telefonicamente da Pasquinelli, nel momento esatto dell’accensione delle telecamere Rai a San Pietro, nel suo ruolo di “mediatore” per il rilascio dei quattro mercenari italiani, al Kubaysi arrestato per aver superato il limite intromettendosi vociferantemente per il rilascio anche dei giornalisti francesi (venne poi rilasciato e esonerato da qualsiasi imputazione!). Fino al Kubaysi che, da Parigi, guida l’API, definita coalizione egemone della Resistenza senza che nessuno in Iraq ne sappia nulla e che continua a sparare notizie e c comunicati che non trovano conferma da nessuna parte. Se non da Washington, con commossa gratitudine, quando attribuisce ogni petardo che scoppia in Iraq ad Al Qaida, “gruppo principale della Resistenza Irachena”.  Vasellina d’oro per la guerra globale preventiva e  permanente al terrorismo. Qualcuno, come i compagni del bollettino Aginform se n’è accorto, seppure dopo anni di collusione con il Campo. E oggi allestisce preziosi convegni “per la verità sull’11/9”. Che crescano e si moltiplichino. Ne va della vita.

 

Di falsi miti è avvelenata la storia del mondo da millenni. Sono quelli che garantiscono la dittatura della criminalità organizzata padronale. Con quelli grossi c’è ancora, ahinoi, tantissimo da lavorare. Abbiamo incominciato con i mitiquaquaraquà. Inshallah, ce n’est que un debut.      

 

P.S.

Bossi, che, da UCK padano, annuncia l’uso del fucile contro lo Stato è oggetto di “prese di distanza”, cortesi inviti a “moderare i toni”, “non passare il segno” a “non fare rodomontate”. I compagni che affiggono manifesti sul terrorismo bombarolo degli Stati” ricevono galera, criminalizzazione mediatica, napolitanesca e amatiana, cacciata dal sindacato, perdita di lavoro. E hanno pure scampato l’aereo Cia e il carcere della tortura in Egitto. I lavavetri vengono sbattuti dentro per tre mesi in un paese almeno per un terzo sotto il controllo della criminalità organizzata. Giovanna Botteri della Rai a New York, dopo aver tirato il grilletto mediatico contro la Jugoslavia e inneggiato all’arrivo dei genocidi a Baghdad, riesce a confezionare un servizio sul torturatore ministro della giustizia Alberto Gonzales, licenziato per malefatte e corruzioni di ogni genere, senza far parola dei suoi crimini. E subito dopo la consorte dell’editorialista Giuliano Ferrara, Lanfranco Pace, ex-Potere Operaio riciclato da Sion, prorompe in pianto sulla tragedia dei soldatini Usa finiti in bara dopo aver contribuito a obliterare un milione di civili iracheni. Non ci fosse Al Qaida, come farebbero? Grazie, Campo Antimperialista.

 

 

 

  IRAQ LIBERO – COMITATI PER LA RESISTENZA DEL POPOLO IRACHENO

 

Bollettino del 5 agosto 2007

http://www.iraqiresistance.info

iraq.libero@alice.it

 

        

LA RESISTENZA IRACHENA, LE SUE COMPONENTI E LA SUA PROSPETTIVA

intervista ad al-Kubaysi

 

 

Abduljabbar al-Kubaysi, influente leader politico della Resistenza irachena e segretario generale dell'Alleanza Patriottica Irachena (API), risponde alle domande di Willi Langthaler sulla situazione che si va delineando in Iraq.

 

 

Parigi, luglio 2007

 

 

Domanda: In quest'ultimo periodo i media europei, nel trattare dell'Iraq, ci hanno parlato esclusivamente di una guerra civile interconfessionale. Che cose succede in realtà?

 

Risposta: In realtà, sono gli occupanti statunitensi e il governo da essi imposto a spingere in direzione di questa guerra civile interconfessionale. Anche gli Iraniani, poi, vi hanno il loro interesse, poiché anch'essi auspicano una federazione nel Sud: stanno tentando di fare in modo che sunniti, cristiani e mandei [piccola comunità religiosa di tipo gnostico-dualista dalle antichissime origini che vive nella provincia di Bassora e nello Shatt el-Arab iraniano, NdT] se ne vadano per ottenere una zona puramente sciita. In condizioni di guerra queste spinte settaristiche hanno un effetto immediato.

 

Gli Stati Uniti lo usano come argomento per rimanere in Iraq, affermando che ci sarebbe bisogno di loro per sedare il conflitto.

 

C'è tuttavia abbondanza di prove che siano i servizi d'intelligence dei governi statunitense, iracheno e iraniano le vere fonti della violenza. Piazzano bombe, oppure le caricano su automobili che poi vengono fatte esplodere, con un controllo a distanza o tramite elicottero, nelle zone sia sunnite sia sciite, uccidendo deliberatamente civili non coinvolti nella politica. In tal modo tentano di innescare il conflitto interconfessionale.

 

Inizialmente, i media usavano fare sopralluoghi nel sito dell'esplosione, e spesso testimoni oculari contraddicevano la versione ufficiale secondo cui una persona si era fatta esplodere. Ora invece le aree colpite vengono cinte da cordoni sanitari, e impedite le domande agli abitanti del posto. Vogliono che si diffonda la notizia che i responsabili del massacro siano dei militanti, quando sono state le forze governative o statunitensi a piazzare cariche esplosive. Nella maggior parte dei casi l'attacco non è portato da combattenti suicidi: allora potete essere sicuri che è coinvolta la coalizione al potere.

 

Ad esempio, hanno cambiato, nottetempo, il nome di un'importante strada nel distretto di al-Adhamiye di Baghdad: da quello di un'importante figura religiosa sunnita a quello di una figura sciita. Fu la stessa comunità sciita di al-Adhamiye a ripristinare il nome originale. Dunque sono tornati, coi loro Hummers...

 

Ma in realtà non sono riusciti davvero a creare una spaccatura tra sunniti e sciiti. Sì, questa spaccatura è presente nella politica ufficiale. Il Partito Islamico Sunnita, che sta con gli Americani, e il blocco sciita, che sta con l'Iran e gli Stati Uniti, si contrappongono secondo linee del genere, ma non sono riusciti a portare le persone comuni sulle loro posizioni. Qui e lì possono esserci alcuni conflitti minori, ma in sostanza le larghe masse, da entrambe le parti, si considerano irachene al di là della loro confessione religiosa.

 

Guardate Najaf e vedrete le posizioni degli Ayatollah arabi sciiti, che continuano a invocare l'unità nazionale e a opporsi all'occupazione. O guardate la provincia di Diala, che è composta da un 50% di sciiti e un 50% di sunniti, ed è al contempo una solida base della Resistenza. E' ampiamente risaputo che due importanti tribù sciite, al-Buhishma e i seguaci dell'Ayatollah Abdul Karim al-Moudheris, stanno con la Resistenza. Il figlio dell'Ayatollah, che era a capo di un importante contingente tribale della Resistenza, è caduto in combattimento. A Baquba, la capitale provinciale, non è possibile portare avanti le operazioni di 'pulizia', come fanno a Basra con i sunniti o ad Amara con i mandei: a Baquba, sia sciiti sia sunniti sostengono la Resistenza. Ci sono, ovviamente, attacchi da parte dei vari gruppi resistenti contro le agenzie governative irachene, l'esercito statunitense, le forze iraniane e partiti e milizie sciite che, come l'esercito Mahdi, fanno parte del regime fantoccio: ma non sentirete parlare di uccisioni a sfondo religioso.

 

C'è un altro esempio: Tal Afar nel Nordovest dell'Iraq, vicino Mosul. Lì, tra il 50% e il 70% della popolazione è sciita. Nondimeno, è una delle capitali della Resistenza.

 

E' nell'interesse dell'Occidente e dell'Iran fare in modo che il conflitto sembri di natura interconfessionale. Non sono soltanto gli Stati Uniti, infatti, bensì anche l'Iran, a voler giustificare la propria presenza con la necessità di impedire una guerra civile religiosa. Non vogliono soltanto appropriarsi del Sud: vogliono anche impadronirsi di Baghdad, e sbarazzarsi dei suoi abitanti sunniti. Insieme all'alleanza coi Curdi a Nord, questo basterebbe loro a controllare il Paese.

 

Tuttavia, noi non crediamo che questi piani funzioneranno. Ci sono tribù molto importanti per il mondo arabo e l'Iraq, che si estendono nell'intero Paese, dal Nord al Sud, come gli al-Jibouri, la cui gente vive da Nassiria a Mosul, o gli al-Shamari o gli al-Azouwi. La maggior parte di esse include sia sunniti sia sciiti. Ci sono alcune tribù più piccole che appartengono a una sola confessione, ma la maggior parte di quelle più grandi sono miste e i matrimoni interconfessionali rimangono all'ordine del giorno.

 

Non sono riusciti a innestare lo scontro interconfessionale nella base della società. Rimane sulla superficie dei partiti che collaborano con l'occupazione statunitense. Nelle grandi città trovano anche persone bisognose e ignoranti che riescono a indottrinare, ma non riusciranno a modellare le principali entità politiche sulla base delle appartenenze religiose, come gli Stati Uniti apertamente auspicano.

 

D: Inizialmente, gli Americani concentrarono tutte le loro speranze sui partiti politici sciiti, ma poi scoprirono che la situazione era sfuggita loro di mano. Così svilupparono la strategia detta 'redirection' ('cambiamento di rotta'), provando a tirare dentro forze sunnite e anche settori della Resistenza. Questi sforzi hanno prodotto qualche risultato?

 

R: Col passare del tempo, gli Stati Uniti si resero conto che la lealtà dei loro alleati andava esclusivamente all'Iran. Molti di essi sono addirittura iraniani! Ad esempio, in questo momento, tredici parlamentari sono ufficiali dell'esercito iraniano. Oppure, nel precedente governo, solo sei membri su venticinque erano arabi, tra sunniti e sciiti. Altri otto erano iracheni appartenenti a minoranze. Dunque la maggioranza era costituita da stranieri. Ad esempio, la famiglia di al-Hakim è di Isfahan: fino a pochi anni fa, al-Hakim veniva ancora chiamato Abdulaziz al-Isfahani.

 

Sono stati i neocon statunitensi ad introdurre il modello della divisione etnica e religiosa, con l'intenzione deliberata di creare un regime sciita per avere una minoranza al potere, una minoranza rispetto all'intero mondo arabo, che pensavano di poter controllare e guidare più facilmente.

 

Originariamente avevano pianificato di continuare la loro campagna fino a Damasco, e stabilire lì il gruppo sunnita dei Fratelli Musulmani. In tal modo Damasco avrebbe sostenuto gli iracheni sunniti mentre Teheran avrebbe fatto lo stesso con gli iracheni sciiti, e la guerra sarebbe andata avanti per decenni - non sulla base dell'antimperialismo ma su un terreno religioso. Ma la Resistenza irachena ha vanificato tali piani.

 

La Resistenza irachena è sorta rapidamente e ha guadagnato forza, così hanno dovuto riconoscere che non poteva essere affrontata solamente sul piano militare. Questo è il motivo principale del loro cambiamento di rotta strategico. Hanno pianificato il processo politico di normalizzazione e stabilizzazione, chiamando il Partito Islamico sunnita a parteciparvi. La loro intenzione era tentare un ripescaggio di settori della Resistenza. Ma presto il consenso del Partito Islamico crollò, e i suoi leader presero a rifugiarsi nella Green Zone o all'estero.

 

Nello stesso tempo, hanno compreso che gli Iraniani erano penetrati in profondità nell'apparato statale, al di là dei limiti concordati. Così si mossero anche per contrastare questo processo.

 

D: Qual è la situazione della Resistenza, dal punto di vista politico e da quello militare?

 

R: La Resistenza sta ancora guadagnando forze. Basti soltanto guardare il numero dei membri, che da alcune migliaia si è alzato fino a superare ampiamente i centomila combattenti. Le loro capacità di combattimento sono pure migliorate. Ma sono anche riusciti a sviluppare strutture d'intelligence capaci di penetrare l'esercito e la polizia irachene, e, a volte, l'ambiente dell'esercito statunitense. In tutto, quindi, il sistema della Resistenza è composto di circa quattrocentomila persone.

 

Le truppe statunitensi e i loro alleati sono molto demoralizzati. Mentre la Resistenza combatte per liberare il Paese, essi combattono solamente per guadagno. E così stanno diventando sempre più feroci. Non solo aumentano gli effettivi delle truppe regolari statunitensi, ma anche quelli delle forze mercenarie, che si comportano ancora più barbaricamente. Tutti insieme, rappresentano forse un milione di persone.

 

Guardate le perdite statunitensi come comunicate dallo stesso Pentagono (e quindi ovviamente edulcorate): mettendo da parte i mesi di operazioni militari speciali come quelle contro Falluja o Tal Afar, vedrete una chiara tendenza: all'inizio c'erano circa cinquanta soldati uccisi al mese; in seguito si è passato a ottanta e ora si è intorno ai cento al mese.

 

La Resistenza è ora un vero movimento popolare, è una cultura tra la gente. Tutti fanno la loro parte. E il fatto che nessun governo ci aiuti ha anche il suo lato positivo: quando ti pagano c'è sempre corruzione. Sarebbe stata costruita la tipica facciata araba. Ora, invece, non ci sono scusanti. Ogni sezione rende conto per se stessa, organizza i propri uomini, li addestra, prepara gli attacchi, si procura il denaro, eccetera.

 

Anche a livello politico sono stati fatti dei passi avanti. All'inizio c'erano centinaia di gruppi, ma è stato compreso come fosse necessaria una maggiore unità. Ora possiamo dire che esistono otto gruppi principali. Ciò che non è stato finora possibile ottenere è un comando politico unificato, che rimane uno degli obiettivi principali.

 

D: Sono stati segnalati scontri armati tra gruppi della Resistenza e forze riferibili ad al-Qaeda. Che rapporti ci sono tra la Resistenza e i gruppi salafiti e takfiri? [NdT: "takfiri" indica i gruppi che negano l'identità islamica di chi non si impegna per lo stato islamico]

 

R: Ricordiamo che l'Occidente cominciò insultando la Resistenza, che veniva bollata come straniera o nostalgica del vecchio regime. Si voleva insinuare che non ci fosse nessun rapporto tra la Resistenza e il popolo iracheno. In realtà, la Resistenza sorse a un livello estremamente popolare, come autodifesa dalle enormi provocazioni del neocolonialismo statunitense. Era composta di ex-soldati, uomini delle tribù, persone che s'ispiravano alla religione o alla nazione per agire nelle proprie immediate vicinanze. Non furono né gli stranieri né i baathisti la forza propulsiva iniziale, sebbene anche i baathisti abbiano partecipato.

 

Il modo come gli Stati Uniti destituirono Saddam fu percepito come un'aggressione da tutti gli iracheni, compresi i suoi oppositori. Ad essere onesti, verso la fine anche Saddam in persona giocò un ruolo importante nello spingere la sua gente alla resistenza. Non provò a nascondersi fuggendo, come fu a volte riferito. Andò invece di città in città, da Tikrit a Samarra, passando per Anbar e Baghdad. Contattò sceicchi, ufficiali e via dicendo. Diceva che avrebbero dovuto resistere, non per lui come presidente, ma per la nazione e per l'islam. Chiese addirittura che la sua immagine non fosse più usata come simbolo di richiamo. Solo nei mesi successivi il Baath poté riorganizzarsi come partito, e come tale entrare a far parte della Resistenza. Dal punto di vista della Resistenza, fu una grande fortuna che non riuscissero ad arrestarlo per lungo tempo.

 

Per quanto riguarda al-Qaeda, nei primi due anni niente del genere esisteva sotto tale nome, tant'è che pure le maldicenze degli Americani erano relative principalmente a penetrazioni di stranieri dall'estero, e specialmente dalla Siria. Tentavano di creare un pretesto per attaccare la Siria, benché Damasco non facesse assolutamente nulla per aiutare la Resistenza, e viceversa si adeguasse in toto agli ordini di Washington, per timore di un'aggressione, quantomeno nei primi mesi.

 

Nei primi due anni essi disponevano di una forza molto modesta, che contava forse tra i mille e i millecinquecento combattenti tra i locali e gli stranieri. Né il livello dell'attività militare era molto alto: in un lasso di tempo di due anni, essi stessi rivendicano circa ottocento attacchi, mentre la Resistenza stava portando avanti ottocento attacchi a settimana.

 

Più tardi hanno guadagnato stabilmente terreno, e continuano tuttora a crescere. Hanno molto denaro, ma non se ne servono per vivere nel lusso, conducendo viceversa un'esistenza molto dignitosa, limitata ai bisogni essenziali, mentre dedicano tutto alla lotta: questo si dimostra un comportamento estremamente serio e convincente. Il denaro lo spendono per la lotta. La maggior parte dei giovani si unisce a loro non per la loro ideologia, ma perché gli viene offerto uno spazio in cui resistere.

 

In Oriente non è necessario scrivere libri per convincere la gente. Se il tuo personale stile di vita è congruente con la tua missione, allora convincerai la gente.

 

Il tentativo degli americani di stabilizzare la situazione affidando ai loro fantocci locali la gestione delle istituzioni da essi messe in piedi ha finito per favorire al-Qaeda. Coloro che si prestarono a questo gioco argomentavano che, se non l'avessero fatto, gli Iraniani avrebbero avuto la meglio: si sarebbe trattato dunque di cooperare solo per un breve periodo, per poi sbarazzarsi anche degli Americani. Ovviamente fu un fallimento. Al-Qaeda invece sostenne, con profondi argomenti morali, che solo una lotta armata prolungata avrebbe fatto avanzare la giusta causa. I fatti gli hanno dato ragione..

 

Hanno anche offerto denaro ad alcune tribù resistenti dalla forte identità musulmana, delle cui risorse avevano bisogno per la loro lotta. Hanno creato così una coalizione di sei gruppi, uno di al-Qaeda e cinque gruppi locali. Ciò ha dato loro una forte spinta. Non erano forze significative come quelle dell'Esercito musulmano, ma avevano comunque radici a Ramadi, Falluja, Haditha eccetera. hanno dato alla loro coalizione il nome di Consiglio della Shura dei Mujahidin. Sotto questo marchio continuano ora, e non sotto quello di al-Qaeda.

 

Oltre alle loro molte risorse essi hanno, diversamente dagli altri gruppi resistenti, costanti rifornimenti anche dall'estero. Oggi è forse possibile dire che al-Qaeda è la prima organizzazione della Resistenza. Si muovono separatamente dagli altri, ma cionondimeno in ogni città c'è una sorta di consiglio per coordinare l'azione militare, per abbozzare un piano di difesa.

 

L'islam è un'arma per far sollevare il popolo. La storia islamica, le figure islamiche, la cultura islamica vengono usati per spingere le persone alla lotta, poiché considerano l'islam la loro identità. Si stanno mischiando i simboli nazionali e religiosi. Il Corano dice che se una terra islamica è attaccata da stranieri, è obbligatoria la resistenza armata. Fino ad oggi ciò è rimasto scontato per il senso comune. Il Jihad diventa un dovere religioso per chi è sotto occupazione da invasori stranieri, come il digiuno o la preghiera.

 

Quindi tutti i gruppi resistenti, islamici o no, usano questo spirito come mezzo per mobilitare e sollevare la popolazione. Prendete ad esempio le dichiarazioni del partito Baath, e quelle personali di Izzar al-Durri. Giudicando dal suo linguaggio, lo si potrebbe dire un estremista islamico. In realtà, non tutti costoro sono davvero estremisti religiosi.

 

E' l'ambiente intero ad essere islamico. Sarebbe impossibile attirare i giovani con proclami marxisti o nazionalisti. Dovunque ci siano giovani, troverete che dominano il sentimento e lo spirito islamici: e ciò favorisce indirettamente al-Qaeda. Le persone che si uniscono a loro non sentono di fare qualcosa di anomalo: al contrario, visto che l'atmosfera generale è islamica, sono convinte di agire in maniera perfettamente coerente.

 

D: Ma cosa ci dici degli attacchi a sfondo religioso? Al-Qaeda non porta almeno parte della responsabilità?

 

R: La responsabilità appartiene al governo nelle sue componenti sia sciite sia sunnite, agli Stati Uniti, a Israele e all'Iran. Per quanto riguarda gli attacchi attribuiti ad al-Qaeda dall'Occidente, c'è sempre da sottrarre un 95%. E per il restante 5%, si sente solo parte della verità. A volte al-Qaeda attacca aree sciite, come rappresaglia per attacchi del governo o delle milizie in aree sunnite. Vogliono mostrare alla popolazione sunnita che sono in grado di difenderli, in modo da convincerli a restare, mandando così a monte il piano di liberare Baghdad dai sunniti facendola diventare parte dell'entità federale sciita a Sud: questo è infatti l'obiettivo condiviso dai partiti sciiti, dall'Iran e inizialmente anche dagli Stati Uniti.

 

Ma questa non è una linea strategica, tant'è che nell'ultimo anno è accaduto solo poche volte, in reazione ad attacchi massicci. E per ogni attacco si assumono la piena responsabilità. Rivolgono un appello ai saggi tra gli sciiti: «fermate i crimini che vengono commessi in vostro nome, altrimenti ne porterete anche voi la responsabilità. Siamo capaci di rispondere agli attacchi con una potenza dieci volte maggiore».

 

Non è mia intenzione difendere un tale approccio, tuttavia è necessario ripristinare l'oggettività dei fatti contro le distorsioni che ne fa l'Occidente.

 

C'è un altro esempio che colpisce. Al-Qaeda cominciò a Falluja, come del resto l'intera Resistenza. Questa era una città esclusivamente sunnita, ma immediatamente dopo l'inizio dell'occupazione, circa dodicimila famiglie sciite originarie del Sud si rifugiarono a Falluja e Ramadi, poiché erano accusate di essere baathiste. Non solo ne fui testimone oculare, ma fui anche coinvolto nell'organizzazione del loro soccorso. Furono aiutati dalle persone comuni, poiché li consideravano sostenitori della Resistenza. Ad oggi rimangono circa ventimila rifugiati sciiti a Falluja e non è stato osservato neanche un singolo atto di ostilità interconfessionale, neanche da parte di al-Qaeda. Ovviamente ci sono scontri per il potere tra i diversi gruppi resistenti, questo è normale, ma non avviene su basi religiose.

 

D: Due anni fa avete fondato il Fronte Nazionale Islamico Patriottico (Patriotic Islamic National Front), comprendente il Partito Baath, il Partito Comunista Iracheno (Comando Centrale) e l'Alleanza Patriottica Irachena. Ci sono diverse figure, sia sunnite sia sciite, che vi sostengono, ma sino ad ora le principali formazioni militari della resistenza non sembrano rappresentate dal vostro fronte. I tempi non sono dunque ancora maturi per una simile coalizione?

 

R: Si tratta di un fronte esclusivamente politico, e non militare. Questo non significa che non ci siano rapporti, ma noi ci atteniamo al livello strettamente politico. Per quanto riguarda le forze militari islamiche, dovete capire che sono state costruite come gruppi militari di resistenza senza alcuna rappresentanza politica. Noi non siamo interessati a reclutare il tale gruppo o il tale leader. Intratteniamo invece un ampio dialogo con tutti loro, con la proposta di formare un comando politico unificato della Resistenza, schierato contro ogni eventuale politica di collaborazione con gli occupanti. Ma forse le cose andranno altrimenti: un coordinamento verrà formato e noi ci uniremo a loro. Il nostro scopo non è di ostentare il nostro ruolo, bensì di creare quest'unificazione politica.

 

Ogni volta che sembriamo a un passo dal traguardo, però, accade qualcosa che ci impedisce di proseguire. Sappiamo anche cosa c'è dietro: è l'influenza e l'ingerenza dei vicini regimi arabi.

 

Per quanto riguarda al-Qaeda, vogliono sempre rimanere separati e non sono inclusi in questo processo.

 

D: Durante tutti questi anni di resistenza, c'è stato il problema del comportamento ambiguo del movimento di Moqtada al-Sadr, che da una parte è diventato il pilastro principale del governo e una delle forze trainanti degli omicidi interconfessionali, mentre dall'altra si scaglia verbalmente contro l'occupazione, contro la costituzione federale imposta dagli Americani e persino contro lo scontro interconfessionale. Poiché è leader della maggioranza della povera gente, come pensate di portare almeno alcune sezioni dei suoi seguaci ad unirsi alla Resistenza?

 

R: Contrariamente alla maggior parte dei nostri amici, sin dall'inizio ho sottolineato che il suo movimento è molto ampio e che molti baathisti, marxisti e nazionalisti vi sono entrati per proteggersi dalle milizie iraniane. Sono forse stimabili intorno alla metà coloro che nel suo movimento provengono da altre aree politiche e non erano seguaci della sua famiglia. Quindi, qualsiasi sbaglio commettesse, pensavo che potessimo contare su questa gente per rettificarlo, o per sanarne almeno alcuni. In secondo luogo, molti dei suoi seguaci sono molto poveri e allo stesso tempo illetterati. Ovviamente questa è un'arma a doppio taglio. Diversamente dagli altri partiti sciiti, la sua base non è costituita da ricchi commercianti, che magari un giorno si pronunciano contro l'occupazione e l'indomani firmano vantaggiosi contratti con gli Stati Uniti. La loro opposizione all'occupazione è sentita realmente.

 

Credo che alla fine sia stato manipolato e ingannato dai suoi alleati in Iran (principalmente l'Ayatollah Kazem Haeri che è il successore di suo zio) e in Libano. Hezbollah gli ha fatto visita tre volte, invitandolo a seguire la linea applicata in Libano, di partecipare cioè alle istituzioni fantoccio messe in piedi dagli americani, candidandosi per il parlamento, guadagnando posti nell'apparato statale e specialmente nell'esercito, e permettendo così la costruzione di un partito forte. Altrimenti, sostenevano, al-Hakim avrebbe avuto il controllo totale, potendo egli contare su tali risorse. E' per questo che si è candidato con la lista del suo arcinemico al-Hakim.

 

Tutti sanno che suo padre fu assassinato su ordini di Hakim, anche se ufficialmente si dà la colpa a Saddam. Inoltre Moqtada inizialmente li attaccò pesantemente, al-Sistani compreso, per aver collaborato con gli Stati Uniti, bollandoli anche come infedeli. Perciò essi cospirarono con il proconsole Bremer per farlo assassinare. La verità è che gli Stati Uniti lo attaccarono davvero pesantemente, ed egli sotto questa pressione indietreggiò, temendo di venire eliminato.

 

E', d'altronde, semplicemente falso che egli si dichiari contrario alla costituzione. E' completamente coinvolto nel processo di normalizzazione e di stabilizzazione delle istituzioni fantoccio. Ha trentadue parlamentari e sei ministri nel governo e questo va a tutto beneficio dell'occupazione.

 

Poi è stato spinto ad attaccare i sunniti nella prospettiva della creazione di uno stato sciita Mahdi. In seguito a ciò, molti dei suoi seguaci l'hanno abbandonato, mentre altre persone si sono unite a lui, causando una trasformazione profonda del suo movimento. Ad oggi poi, l'esercito Mahdi è stato anche infiltrato dagli Iraniani, al punto che metà del suo personale è composto da Guardie Rivoluzionarie.

 

Fino al 2004 Moqtada è stato dalla parte giusta. Ad esempio, è venuto a Falluja. Ma dopo i colpi inflittigli, nel 2005 si è spostato all'altro schieramento. Ora è altamente improbabile che egli rettifichi la sua linea. A volte si pronuncia contro gli omicidi a sfondo religioso, anche se ammette che la sua gente vi è coinvolta, e ha persino allontanato tre dei suoi leader. Tuttavia, continuano. Ha anche perso in parte il controllo delle milizie. Se date armi e denaro a gente povera e ignorante, rendendoli forti, spesso questi pensano di poter prendere le redini nelle loro mani. Diventano capi mafiosi e lavorano per i propri interessi.

 

Tutto ciò è stato reso possibile anche dal fatto che è giovane, immaturo e manca d'esperienza, così che può essere facilmente influenzato dai suoi consiglieri e dal suo ambiente, incluso l'Iran.

 

D: Ci sono sempre più segnalazioni che tribù sciite si stanno battendo contro le forze governative. Puoi spiegarci questo fenomeno?

 

R: Con l'occupazione, le milizie iraniane nel Sud e nell'Est uccisero ufficiali dell'ex esercito iracheno, accusando tutti i propri nemici di essere baathisti. In questo modo furono uccise molte persone.

 

Anche se appartenevano tutti a qualche tribù, queste avevano paura di difenderli. Ma con il disfacimento delle strutture statali le tribù stanno diventando sempre più importanti e potenti. Ora non possono più accettare che altri dei loro uomini siano uccisi da stranieri, che siano iraniani o iracheni estranei alla tribù. Ora, quando vengono ad arrestare o uccidere qualcuno, le tribù organizzano una resistenza crescente. Ci sono molti esempi, che testimoniano di un ambiente nuovo, di un sentimento diretto contro le milizie filoiraniane e le forze governative. Recentemente c'è stata una battaglia di due giorni presso Shuk ash-Shuyuk, nel Sud, dove hanno tentato di catturare un ex ufficiale. In centinaia hanno preso le armi per difenderlo. E' caduto, ma non senza cambiare l'atmosfera. Apparteneva a una tribù molto combattiva, conosciuta per il suo coraggio. In seguito a ciò si è formato una sorta di patto di mutua assistenza con altre tribù contro le milizie filoiraniane, compreso l'esercito Mahdi, l'esercito iracheno e la polizia, il che indica una tendenza che, tuttavia, rimane locale e non ha ancora raggiunto il livello politico generale.

 

C'è un altro fattore culturale importante. Le milizie hanno portato abitudini aliene che non possono essere accettate dalle tribù. Sotto la copertura del matrimonio Mut’a, importano la prostituzione; e diffondono l'uso di hashish.

 

D: Cosa ci dici del sostegno dall'estero alla vostra causa?

 

R: Veniamo usati dai politici arabi per autoperpetuarsi, senza che ci offrano alcun sostegno reale. Parlano della Resistenza irachena e dei crimini degli Americani in alberghi a cinque stelle e sui canali satellitari, e questo è tutto. Invece potrebbero fare molto, per esempio raccogliere denaro oppure scendere in piazza contro i loro governi per far chiudere le ambasciate irachene. Ma capiscono che ciò significherebbe passare la linea rossa del 'sostegno al terrorismo', come dicono gli statunitensi. Il passato ci insegna l'importanza del sostegno materiale alla Rivoluzione algerina o alla lotta palestinese. Enormi somme furono raccolte, e la gente comune è tuttora pronta ad offrire denaro. Ma nessuno osa raccogliere questi soldi per la Resistenza irachena. Questi leader in realtà stanno ingannando i loro seguaci, poiché suggeriscono che starebbero offrendo aiuto in segreto. Ma vi assicuro che non abbiamo ricevuto nessun aiuto serio dall'estero.

 

Parigi, luglio 2007

Intervista di Willi Langthaler

 

 

 

 

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