MONDOCANEarchivio

                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

IL RATTO GLORIFICATO

(con sentite scuse ai ratti)

 

 

09 febbraio 2004

 

Di solito in tivù la messa cantata la fanno a dio, in San Pietro,  con tanto di papa, in poche grandi occasioni, Natale, Pasqua, un nuovo pontefice. Ma c’è un personaggio in questo paese che l’ha avuta celebrata pur non essendo né dio, né papa e non essendoci nei paraggi né Natale, né Pasqua, ma solo l’imminenza di un voto in parlamento: quello sulla legge Boato che rende al capo dello Stato in esclusiva la facoltà di concedere la grazia a un condannato.

Chi sabato sera s’è trovato davanti al televisore sa di che parlo: la “Serata Sofri” su “La 7”, unica televisione di regime italo-imperial-sionista che non appartenga materialmente a Silvio Berlusconi, pur se, evocato dal conduttore e da quasi tutti i partecipanti alla cerimonia, il cavaliere P2 aleggiava benevolo e solidale nello studio durante tutte le tre ore tracimate dagli schermi su una buona fetta di italiani in preda allo stupore. Stupore, a volte sgomento, ingiustificati poiché forse nessuno in tempi moderni, neppure Gorbaciov, neppure il più modestino Occhetto, o, più recenti, certi epigoni rifondaroli, possono vantare, a livello patrio, i meriti e i crediti accumulati dal protagonista della trasmissione nei confronti di quella eletta schiera che la trasmissione l’ha voluta, fatta e amata: la setta di cannibali regnante in Occidente.

 

Un grande filosofo, riferendosi  a Budda, Maometto e Cristo ( pur distinguendo tra esistenza storica reale del secondo, virtuale degli altri due) aveva parlato dei “Tre Grandi Impostori”, adombrando un loro ruolo nella costruzione dell’architettura planetaria del dominio di classe e del massacro degli sfruttati. Si parva licet…anche Adriano Sofri, assente fisicamente dagli schermi, causa condanna per mandato d’omicidio, ma spurgato in ispirito da tutti i pori della conventicola riunitasi a cantargli pater-ave-gloria, merita di essere posto sugli altari – di questi continua a trattarsi nell’era delle “libertà durature”, delle “guerre preventive” e della “spirale guerra-terrorismo” -  dei grandi impostori garanti dell’ordinato svolgersi delle cose.  Questo era l’imperativo di quel circolo della caccia che malelingue si ostinano a definire cosca, o loggia, o lobby, o sezione Mossad (l’assenza di Giuliano Ferrara non consente di inserire il segmento CIA) e che si è impegnata nell’allestimento della prima beatificazione in assoluto, con messa cantata televisiva, di un laico non ancora defunto, giudicato in tutti i gradi omicida,  e però grandissimo traghettatore di masse traviate da ambiti e impeti rivoluzionari nel campo opposto dell’identificazione con – e dell’assoggettamento al – potere costituito, per quanto guerrafondaio, carnefice e, all’occorrenza nazista, possa faziosamente essere definito.

 

Il parterre era affollato, con tanto di giovanilistici culi per terra a suggerire reminiscenze sessantottine, cosa che non poteva non confortare, insieme a tanti nostalgici, anche una Rossanda da sempre fuorviata dalla sua immensa generosità a difendere il “Sofri vittima della vendetta contro il ‘68”, come prima gli infiltrati nell’”album di famiglia” travestiti da brigatisti rossi Lo schieramento voleva apparire trasversale, ma ci voleva l’insistenza dell’anfitrione Gad Lerner nel dichiararsi prodiano per riequilibrare una platea che pencolava, giustamente secondo l’assunto, drasticamente a destra. Certo, non mancava qualche reduce, sennò che senso avrebbe avuto l’esaltazione del percorso del beatificato, e ai margini del convegno un paio di strapuntini erano stati riservati ai soliti garanti liberalsinistri del pluralismo. Che so, un conavigatore della coppia DS-Dash Roversi-Blady  di nome Davide Riondino, oppure un comico, tale Paolo Haendel, che, stralunato, si trovava  a dover recitare l’impresentabile prosa logorroica e ambigua, seriosamente turgida e totalmente priva di spirito, di un autore che non pare essere mai riuscito a superare i conati stilistici del liceale.

 

Mi rendo conto che corro dei rischi a contrappormi a tanto convito. Un giornalista investigativo, Attilio Bolzoni, che aveva scritto un libro sull’assassinio di Mauro Rostagno, dirigente di Lotta Continua e intimo di Sofri, finito a Trapani in una cosca di trafficanti – Saman - travestita da comunità terapeutica (“Assassinio tra amici”), mi aveva detto anni prima:”Chi tocca quella lobby muore”. Vedremo. Una messa cantata, quella per Sofri, che più universale e onnicomprensiva non si potrebbe neanche per Garibaldi. L’unità nazionale abbozzata dal generale viene qui sublimata in una sintesi a 360 gradi di tutto il mondo che, tra parlamento e il suo fedele riflesso mediatico, conta e comanda. Quale commovente volemose bene, quali supremi tarallucci e vino, quale massima espressione dell’eterno ecumenismo nazionalitario, dell’intima intesa dell’italiano medio con i poteri  che prevalgono. Tifosi della Juventus o della Roma, certo, ma tutt’un embrassons nous nell’adorazione del pallone e del suo impero, per marcio e mafioso che possa essere. Restava fuori dalla lerneriana palude, al freddo, sprezzato ed escluso, chiunque avesse qualche riserva sulla glorificazione. Presenti nemmeno in sagoma, come quelle di Lucarelli in “Blù Notte”,  le decine di ragazzi, bruciati sui vent’anni dallo Stato e dai suoi fascisti, che avevano dato retta a Sofri, leader di Lotta Continua, garante della rivoluzione necessaria e imminente, e che non avevano fatto in tempo a schivare pallottole o botte mortali prima che il leader e il suo sodale, Giorgio Pietrostefani, curatore a Parigi di “Saman Francia” e della flotta contrabbandiera al servizio del latitante Craxi, chiudessero bottega e mandassero a ramengo una generazione che nella politica aveva impegnato tutto il suo futuro.

 

C’era Suor Cecilia, ispirata monaca del Carcere di Pisa che ripeteva, come l’Al di “Odissea nello spazio”, cadenzate, ma tenere giaculatorie umanitarie su quello e su tutti i detenuti, suffragata con più sostanza dal sanguigno cappellano dello stesso istituto.: “E’ un padre, un fratello maggiore per gli altri, si adopera per tutti”. E buon per Sofri che tutti, fuori, si adoperano per lui. Chiudendo con un ispirato e benedicente sorriso, Suor Cecilia calava l’asso: “Io so che il Presidente può dare la grazia, me l’ha detto mia nonna…” Incontrovertibile. La chiosa di Gad Lerner, solenne, compunto:”Noi, però, trasmettiamo sottovoce, con umiltà e cautela. Il destino di un uomo non può essere trascurato da nessuno”. Qualche migliaio di condannati per reati politici,  sprofondati nell’oblio perché incapaci di farsi accogliere e celebrare sulle pagine di “Panorama”, “Il Foglio”, “La Repubblica”, annuivano in silenzio. Tombale. Umilmente e con cautela hanno sollevato perorazioni e novene un’altra ventina di astanti.  Si susseguiva in formidabile sintonia il fior fiore dell’intellettualità d’ordine italiana.  Carlo Ginzburg, annoso denunciatore delle malefatte giudiziarie nei confronti dell’agnello sacrificale, ribadiva le vergogne dei giudici. Appariva da una finestrella il capofila dei picchiatori di palestinesi, Mario Pirani, e rivendicava di essere stato tra i primi firmatari dell’appello per la grazia, in combutta nientemeno che con Bobbio e Foa. Lui, intrecciato a Sofri nel comune auspicio dell’ “israelizzazione” del Medio Oriente (sic) e dell’americanizzazione del mondo. Gli altri due, cui l’eroica solidarietà con la vittima delle vittime rasserenava una coscienza già fugacemente increspata dal dolce ritorno senile nei dorati salotti dell’establishment e della rispettabilità nazionale. Si accavallavano, a rischio di decadere in tiritere tutte uguali, gli interventi, nomi, volti e orazioni di illustri rappresentanti dell’etica e della giustizia. L’ispido Socci, rancoroso conduttore di un talk-show di estrema destra chiamato “Excalibur”, sentenziava che “Sofri non è più l’uomo che il tribunale ha giudicato” (difatti se allora stava con i patrioti stragisti ceceni, oggi sta con gli eroici marines di Baghdad). La quasi intera famiglia Feltri, Vittorio e Mattia, del quotidiano chiamato con sfottò oscarwildiano “Libero”, snocciolava commossa il rosario delle imprese del “Sofri scrittore e viaggiatore”. Luis Stevenson, Celine, Chapham e perfino Rudyard Kipling impallidivano. Veltroni, sindaco di Roma e specialista di testacoda ideologici, si annoverava fiero tra i 371 parlamentari firmatari della richiesta di grazia e, in stretto connubio super partes con Berlusconi, Cohn Bendit, Casini, presidente democristo del Senato, Ciampi, capo dello stato e antifascista di sicura fede, e un altro capriolista, l’enigma di genere Bondi, portavoce di Forza Italia, giurava che si sarebbe battuto alla morte per la proposta di legge Boato (un ex-lottacontinuista, costui, bastonatore di magistrati quanto Sgarbi, ma da destra inavvertitamente scivolato tra i Verdi).

 

Aggrappato come un polipo al collegamento esterno, in spregio al solenne annuncio lerneriano dell’imminente epifania di Marco Panella, Veltroni insisteva perorando che “la pena non deve essere vendetta, specie laddove fioriscono segni  e prove del ravvedimento, e, a proposito, mi ricordo dei tanti segni dati da Sofri fin da quando, inviato a Sarajevo per “L’Unità” che allora dirigevo, fu una delle persone che spostò la sinistra sulla linea dell’intervento umanitario….le sue straordinarie riflessioni… l’esemplare dignità… l’alto senso delle istitutizoni… l’umana solidarietà…bla-bla- bla… “. Non so se Veltroni e il coppiere Lerner siano rabbrividiti, ma in quel momento chi non fosse corazzato di sharonbushismo ebbe a percepire una ventata gelida fin nelle ossa e sentire come il garrulo cinguettìo dell’accolita sofriana fosse penetrato da flebili voci. Voci lontane, come soffocate sotto le macerie di una verità sottoposta al più terribile dei bombardamenti umanitari: 160.000 serbi della multietnica Sarajevo sterminati o espulsi per sempre dalla loro città, cancellati da una “società civile internazionale” dalle zanne come ghigliottine; decine e decine di donne e bambini nel mercato di Sarajevo frantumati dagli ordigni del loro presidente Izetbegovic, con lo stesso meccanismo degli attentati dell’11 settembre, per addossarne la strage ai serbi innocenti e fornire alibi e supporto morale agli stermini bombaroli della Nato; i morti di Sebrenica che ancora rivendicano la verità sui massacri subiti dai propri correligionari, mujahedin di Al Qaida-Cia. La Jugoslavia sbranata da carnefici transnazionali coalizzati e  un branco di trombettieri ammantati di umanitarismo che spianano la strada ai   

carnefici nella coscienza degli ignari, rovesciando in perfetta malafede la verità del boia e della sua  vittima nel proprio opposto: Woytila, Panella, l’interetnico Langer, che sproloquiava di verginali intese interetniche sorvolando con salto triplo su torti e ragioni, le compagnie di giro di preti e Ong, la cosca giornalistica mondiale, nessuno escluso, e, più bugiardo e cinico di tutti, indiscutibile garante del consenso a sinistra e nell’intellettualità, Adriano Sofri.

 

E’ un attimo. La storia quelle voci le ha bell’e seppellite. La geografia le ha distanziate nello spazio, fuori dai diritti, dalla vista e dalla comunicazione. Il frastuono celebrativo nello studio tutto macina e tutto rigenera. Ruminano le stesse formule il dc berlusconide Marco Fellini – “Sofri ha svolto ragionamenti di eccezionale nobiltà e libertà: oggi la libertà di Sofri è un pezzo della libertà di tutti gli italiani” – e il senatore forzista avv. Contestabile che, convinto dell’innocenza di Previti, Dell’Utri e Berlusconi, è, con ferrea logica, altrettanto convinto di quella di Sofri. E con ciò non gli fa un gran favore. Un altro forzista a 18 carati, Biondi, quello del tentato “colpo di spugna” su tangentopoli da ministro della giustizia (!) col Berlusconi I, vola altissimo:”ci sono problemi che dire non può la filosofia dei giudici”, Shakespeare nientemeno, e pour cause, visto che Pisa rinchiude un emulo di Jago. E poi chiude con “quel reo non è più lo stesso”, rendendo doveroso omaggio a chi da assalitore di tutti i palazzi d’inverno dell’ingiustizia e dello sfruttamento ha saputo farsi mangiatore di operai panelliano, esperto di mangiatoie craxiste, fido consulente del Martelli candidato prediletto di Cosa Nostra, nobilitante frequentatore e cantore di tagliagole ceceni, assoldati e addestrati in Afghanistan dalla Cia perché, sequestrando e massacrando innocenti e ignari per tutte le Russie, guadagnassero territori e oleodotti all’impero.

 

Recita la sua particina di sodale in tante imprese “umanitarie” balcaniche il vecchio compagno Daniel Cohn Bendit e per lo studio passa un tremito di compatibile eversione.  Che però è subito riassorbito dall’assicurazione che “Dany il rosso” collima su Sofri, tema dirimente, sia con Berlusconi, che con Fini, glie l’hanno assicurato entrambi. “Ci vuole per Sofri una grande maggioranza trasversale, che già esiste nel mondo intellettuale e culturale italiano”. Vero, Dany, maggioranze trasversali al potere ci vogliono, altro che la vecchia “fantasia” di maggio!  Solo che il tuo monito che la riabilitazione di Sofri sia “un grande segnale per l’Europa” rischia di spaventare un bel po’. Un Giuda al posto di Gesù nelle aule scolastiche?

 

E poi Enzo Bianco, vetta intellettuale del parlamento e primo firmatario insieme a Biondi, che, da ex-ministro degli interni, non si risparmia una doverosa lancia spezzata per il commissario Calabresi e la sua famiglia (al defenestrato Pinelli discretamente neanche un accenno). E Stefano Folli in registrazione, opportuno quanto altri mai poiché direttore del “Corriere della Sera” per suoi meriti di fedeltà berlusconide e per demeriti  in campo iracheno e di interessi configgenti del predecessore Ferruccio de Bortoli: “Siamo tutti convinti che meriti la grazia. E’ molto diverso da trent’anni fa, è un protagonista del dibattito culturale del paese”. Concetto, questo, della diversità tra il reprobo di trent’anni prima e il maestro dell’etica e dell’estetica contemporanee, involontariamente contraddetto da un volto liscio e roseo evocato a tutto schermo dal kibbutziano Lerner, con sottopancia “Gennaro Sasso, filosofo”. Sasso, infatti, proclama Sofri “un raro caso di straordinaria ed estrema coerenza a proprio rischio e pericolo”. Ma anche lui torna ai più suggestivi toni del dramma esistenziale, profusi a piene mani da tutta la congrega,  quando dall’estrema coerenza, passa al suo contrario, alla catarsi figliolprodighista che, in questo paese, intenerisce assai più della coerenza: “Tra quelli che ho conosciuto è colui che ha saputo realizzare la critica più serena e radicale del proprio passato. Dopo LC, un impegno sempre totale che comportava grandi sacrifici…”

 

E il pensiero, lacerato tra coerenze muzioscevoliane e inversioni a U damascene, tutte comunque epiche, non sa se soffermarsi sul Sofri fregoliano che arronzava disoccupati napoletani, insorgenti reggini, gasparazzi torinesi (da “Gasparazzo”, l’operaio Fiat immigrato eternato da un grande disegnatore, morto per portare il giornale di Sofri in giro per l’Italia) e rilanciava la rivoluzione socialista in coro con i Vietcong, per poi invertire la rotta e stendere vele all’uragano del recupero capitalista e del marcio istituzionalizzato, del nazismo sharoniano e del planeticidio sionista-statunitense. Oppure su un altro Sofri, davvero straordinariamente coerente, che, complice l’ottusità senile di un vertice PCI revisionista, statizzato e autoreferenziale, rintronato dall’ossimoro supremo “partito di lotta e di governo” che poi ha generato i noti mostri, sabota il più grande antagonismo dell’Italia nel dopoguerra, lavorando gomito a gomito con la CIA nella persona del socio editoriale Robert Cunningham, longa manus della sovversione USA in Italia, padrone della tipografia di “Lotta Continua”, quando ne ero il direttore responsabile,  e compare di Sofri in numerose altre imprese “commerciali”, fino a quando l’intera baracca viene rilevata dai socialisti e da Claudio Martelli, in società con il confesso provocatore CIA Giuliano Ferrara (un simpatico ricordino che illustra il rigore della coerenza sofrista è quello che vedeva il sottoscritto bersagliato da oltre 150° processi per reati di stampa, tutti attribuibili alle intemperanze redazionali dell’”irresponsabile” Sofri, mentre lo stesso, all’insegna del “cazzi tuoi”, brigava impune con il “compagno americano”). Coerenza estrema per davvero, e ininterrotta fino alle operazioni “umanitarie” dell’intellettuale organico dell’imperialismo nei Balcani e in Caucaso e fino al suo supporto etico-lettario a tutte le soluzioni finali che il likudnismo israelo-anglosassone, con i suoi ascari massonico-mafiosi tra Volga e Po, va eseguendo dall’ Afghanistan all’Iraq, dalla Palestina all’America Latina.

 

“Sarà dunque Sofri – come si esalta Gennaro Sasso – una grande risorsa per la vita intellettuale e politica di questo paese, un paese che di personaggi come lui ha oggi grande bisogno”. Un bisogno, per Sasso, evidentemente non ancora soddisfatto da Lunardi e Bossi, Bondi e Schifani, la camarilla di Arcore  e i fascisti postmoderni di Fini, i flagellanti alla Fassino e Bertinotti, il bombarolo all’uranio, opusdeista e loggiarolo, di Gallipoli, o i corifei del sofrismo assurti a sovrani dei media e a campioni d’inquinamento da ridicolizzare Starace buonanima

 

La catena di Sant’Antonio lerneriana non finisce di snocciolarsi e a uno Stenio Solinas del “Giornale” segue il capodigiunatore panelliano Franco Corleone e Chiara, l’orfana del Moroni socialista suicida di tangentopoli,  oggi demichelisiana di quel Nuovo PSI che si percepisce con forchetta in mano sullo strapuntino arcoriano, esasperato dai lunghi digiuni e vorace più che mai. Ma il momento clou, l’ospite-bomba, il climax non può non materializzarsi nelle spoglie stazzonate, sempre più devastate da chissà quali nefandezze, del guru-arlecchino. Marco Panella non perde l’occasione per trarre dal cilindro lo stupefacente sposalizio dei contrari ontologici: appassionata navigazione negli oceani di sangue delle aggressioni imperialiste e, insieme,  nobili tenerezze, delicate sensibilità quali, tra le altre,  l’amicizia, la riconoscenza, l’amore, oh sì l’amore, per un Sofri visitato due volte al giorno e che in questi anni “è venuto secernendo una non violenza ghandiana nuova, anzi socratico-ghandiana”. Tanto ghandiana quella non violenza, paiono ancora sussurrare i fantasmi di prima che ora paiono sprigionarsi dalla ragnatela di quel volto d’avvoltoio inflaccidito, da averci fatto ghandianamente uccidere ovunque chiedessimo verità e giustizia. Ma Pannella sa anche come volgere una celebrazione in una mobilitazione: “Con Sofri stiamo lavorando a un’enorme manifestazione…” Inavveduto, dimentico dell’aria che, spettri o non spettri, tira là dove si officiano liturgie imperiali, lo spettatore per un attimo pensa al 20 marzo, giorno della manifestazione mondiale contro la guerra all’Iraq, il razzismo sionista, le occupazioni, il colonialismo, lo sfoltimento demografico, la fascistizzazione, la tortura, le punizioni collettive, gli autoattentati terroristici. Errore! Non sono ambiti familiari a un Panella, o un Lerner, o un Ezio Mauro, direttore del tabloid Repubblica (guai se fosse mancato!), o un Feltri (dioceneguardi!), o un Pirani, o un Giulio Salierno ex-picchiatore fascista assassino, radioso in studio nella grazia su di lui discesa fin dagli anni ’50, o un Carlo Rossella, o un Luigi Manconi, o un’ormai matroneggiante  Kanita Focak, precipitatasi da Sarajevo per informare il mondo che, all’epoca dei suoi anni belli, Sofri sosteneva Sarajevo, oltrechè ripetendo inganni Nato e vaticani, recando a lei balocchi e profumi.

 

No, ad altro evento Panella andava accingendosi insieme al fratello dei tagliagole wahabiti al soldo della Cia: “un’enorme manifestazione contro il genocidio in Cecenia”. A Mosca, nello stesso momento, andavano raccattando dai binari del metrò ancora una volta i lembi umani di una carneficina perpetrata dal patriottismo democratico degli amici in Cecenia di Sofri, Panella e Osama Bin Bush. Ma su questo né Panella, né Lerner, né un tardivo, ma parimenti solidale Furio Colombo, frequentatore dello stesso insediamento di Sofri, nulla avevano da dire. Altro da dire invece, e non poteva che essere così, aveva la signora Nelli Norton, polacca, che completava la beatificazione di Sofri con il racconto di un altro miracolo: la liberazione della Polonia. “Al tempo della rivolta anticomunista, dei primi scioperi di Solidarnosc, non solo portava soldi, ma anche messaggi, bigliettini clandestini, faceva da portavoce dei prigionieri, era il nostro corriere…Ha contribuito alla libertà e alla democrazia che oggi abbiamo in Polonia”. Ovviamente in quello studio nessuno ha tirato fuori un libro paga dei viaggiatori in Polonia per controllare se Sofri fosse stato, per quei servigi preziosi, adeguatamente ricompensato. 

 

Chiude Gad Lerner, che ricordo giovane, talentuoso e prediletto discepolo di tanto maestro negli anni ’70 (me lo rivedo in testa a cortei filopalestinesi, pensate l’astutissima lungimiranza!) e poi, come altri di quella che indulgentemente vollero chiamare “la lobby”, avviato ai fasti, se non del potere, quanto meno dei cantori del potere: Enrico Deaglio, Carlo Pannella, Paolo Liguori, Andrea Marcenaro, Franca Fossati, Toni Capuozzo, Gianni Riotta, Paolo Mieli… ragazzi che squadra! Chiude Lerner, rimuovendo un tarlo democraticistico che gli deve aver infastidito la pur coriacea coscienza: il coro ha cantato, ma il controcanto?  “Nessun contradditorio”, taglia corto, “superfluo e fuoriluogo”.

 

Sofri sugli altari, laici, ma non dissimili da quelli su cui sono stati posti i missionari apripista dei massacratori spagnoli in Messico, di Padre Pio, trafficante e mago in Puglia, del cardinale Stepinac, protettore di nazifascisti in Croazia, di madre Teresa di Calcutta, istigatrice del culto della povertà, foraggiata da tiranni sanguinari centroamericani per fingere assistenze mediche e praticare sevizie antiaboriste alle donne, promuovendo al contempo stragi etniche in Kosovo. Se ci stanno loro perché non Sofri? Ed è in questo fulgore di autentica santità che, in apoteotico coronamento, scende dagli schermi il volto del ragazzo invecchiato senza maturare, accartocciato nel groviglio delle sue disonestà , quello di sempre,  dall’occhio freddo di caimano. Scende e ancora una volta intossica il mondo da Sarajevo, sua prova suprema di coerenza: “ I serbi, armati fino ai denti, vogliono un mondo da cui siano cancellati tutti quelli che non sono serbi”.

S’è visto come è andata a finire.

Sottotitoli, sigla e il povero Paolo Haendel che riesce ancora a infilare un “A presto, Adriano!”. Che dio lo perdoni.        

Noi invece ad Adriano Sofri, le cui gesta hanno sporcato la vicenda di una generazione di coraggiosi e generosi, ricordiamo un’ovvietà: tu potrai chiudere con il passato, ma è il passato che non chiude con te. Per quanto sta in noi, te lo garantiamo. Nel nome di tutti quelli su cui è passata la tua ombra di menzogna e di morte. 

 

 

 

info@siporcuba.it

 HyperCounter