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                                       di Fulvio Grimaldi

 

 

 

11 SETTEMBRE: UN REICHSTAG AMERICANO

A due anni dal più grave attentato terroristico mai compiuto, che ha fornito l’alibi per la guerra preventiva e infinita, la commissione d’inchiesta, sabotata dalla Casa Bianca, finisce nella sabbia, mentre gli interrogativi e documenti contrari alla versione ufficiale si moltiplicano, gettando un’ombra agghiacciante sull’amministrazione Bush

 

 

Fu Walid Jumblatt, uno dei più esperti politici del Medio Oriente, profondo conoscitore dell’Occidente e degli USA, leader del Partito Socialista Libanese, più volte ministro, a sparare senza esitazione l’indicibile: “Se lo sono fatti loro”. Me lo dichiarò a Beirut il giorno dopo l’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono, sebbene a un mondo sconvolto dall’orrore e dalla pietà i dirigenti statunitensi avessero immediatamente e senza il minimo dubbio indicato una pista, Al Qaida, di cui fin lì nessun aveva sentito parlare. E il mondo bevve. Ogni interpretazione alternativa appariva  irrealistica, peggio, impensabile. Fuorché nel mondo arabo e, più in generale, nel cosiddetto Terzo Mondo, quello delle brutalità coloniali, delle cento guerre per procura o dirette sofferte dagli USA dal 1945, dei colpi di stato, delle provocazioni sanguinarie, delle operazioni coperte della CIA. Da Baghdad a Buenos Aires, da Teheran a Caracas, da Gerusalemme a Mogadiscio, dal Cile a Cuba sentii rieccheggiare le parole e la convinzione del leader druso libanese: ognuno, da quelle parti, aveva ben presente il ricordo di capacità terroristiche quali Sabra e Shatila, lo stadio di Santiago, il Piano Northwood (vedi dopo), Pearl Harbour, il Golfo del Tonchino.  Da noi, qualche pensiero, inaudito, da esprimere se non nella cerchia più intima, si insinuò nelle riflessioni di coloro che avevano memoria di Piazza Fontana, di Brescia, dell’Italicus, delle stragi mafiose del ’93, di Ustica, di Bologna e che avevano metabolizzato il termine “terrorismo di Stato”. Pensieri subito sepolti, magari a covare sotto la cenere, obliterati  dal rullo compressore della “guerra al terrorismo”, dell’”integralismo islamico”, della difesa dell’Occidente, dei diritti umani, della democrazia, di tutto il ciarpame razzista che ci viene inflitto nel nome della “superiore civiltà”. E mentre l’imprendibile Osama e l’indefinibile Al Qaida imperversavano nei titoloni di giornali rimpinzati di velinari e agenti, nelle segnalazioni delle questure, nei terrorismi allarmistici degli Scajloa, Martino, Pisanu, pappagallini sul trespolo dei Rumsfeld, Cheney, Rice, Powell, nei mandati di cattura di immigrati immancabilmente “cellule” di Al Qaida, ma poi sistematicamente rimessi in libertà perché semplici venditori di tappeti; e ogni paese significativo veniva bombardato a tappeto da minacce terroristiche a ponti, grattacieli, bocciodromi, stadi, metropolitane, mamme e bimbi, l’umanità si giocò un paio di “stati canaglia” e  un’altra fetta di popolazione palestinese. E a parte il rifiuto della guerra come tale, da parte di qualcuno pure dell’imperialismo senza se e senza ma, attenuati però dal disgusto, coltivato da un meccanismo di diffamazione senza precedenti, per le “belve sanguinarie” che infestavano il mondo, da Belgrado a Baghdad, da Kabul a Teheran, da Pyongyang all’Avana, pacificamente e passivamente passò la falsa dicotomia “guerra e terrorismo” E dunque il corollario ineluttabile della “guerra al terrorismo” portato in vetta a tanti cortei per la pace e al centro di tanti articoli, ad avvallo di un  equivoco grande come il pianeta.

 

La controinformazione USA mina il gigante d’argilla

Dappertutto, ma non negli Stati Uniti. Nella “pancia del mostro”, organizzazioni antimperialiste, protagonisti dell’antagonismo sociale e pacifista, gruppi di ricerca, studiosi della levatura di un Chomsky o di un Chossudovsky, quest’ultimo con il suo gruppo di superesperti di “operazioni sporche” Global Research, giornalisti investigativi, dettero vita a una formidabile campagna di informazione non subalterna all’immane apparato di propaganda messo in piedi dalla lobby neoconservatrice al potere. Produssero documenti, dossier, libri di denuncia delle infinite contraddizioni, bugie, depistaggi messi in opera dal governo, tutti basati su documenti ufficiali e su dati incontrovertibili che minarono alla base il teorema dell’attacco terroristico esterno, ma infelicemente e colpevolmente, non trovarono che scarsissima e timida eco nei mezzi d’informazione europei, in particolare italiani. Materiale sconvolgente, ma ripreso in termini minimalistici e con un ampio alzare di spallucce. Il dilagare, quanto meno negli USA e in ambienti minoritari di altri paesi, di questa informazione di contrasto e disvelamento, impose ai dirigenti statunitensi, dopo lunghe esitazioni, una contromossa, esplicitatasi ora, a poche settimane dal secondo anniversario degli attentati, nel rapporto della Commissione parlamentare d’inchiesta, quella che in un primo momento Bush aveva inteso affidare al famiglio Henry Kissinger, candidatura subito sepolta dall’irrisione universale e, soprattutto, dall’indignazione dei congiunti delle 2800 vittime. Furono le incessanti denunce di costoro a imporre alla fine una commissione cosiddetta “indipendente”, ma che Bush seppe comunque infarcire di commissari di sicuro affidamento. Il risultato furono 858 pagine di sostanziale conferma della versione ufficiale – complotto islamico e dirottatori arabi di Al Qaida teleguidati da Osama in una grotta dell’Afghanistan – con qualche riserva, pronunciata in particolare in un protocollo aggiuntivo, firmato da deputati democratici, circa il boicottaggio dell’amministrazione, inesorabilmente impegnata a negare collaborazione e accesso a documenti dell’Intelligence, in particolare ai vitali rapporti quotidiani forniti al presidente. Più le ormai note contestazioni circa i numerosissimi avvertimenti che servizi di tutto il mondo, compresi CIA e FBI, autorevoli inchieste giornalistiche, come una, sconvolgente, della BBC, avevano fatto pervenire alla Casa bianca circa addirittura piani in fieri di attacchi alle Torri Gemelle con aerei di linea, tutti ignorati e archiviati dal governo. Capri espiatori alcuni dirigenti di questi servizi, subito perdonati e confermati nel ruolo, come ben ironizzato da Alessandro Ribecchi sul Manifesto:”La CIA non lo disse all’FBI, l’FBI non lo disse alla CIA. Nessuno dei due lo disse alla NSA (National Security Agency) e la NSA non disse nulla a nessuno”. E soprattutto Echelon, che intercetta e analizza tutte le comunicazioni di tutto il mondo, nulla riferiva su battaglioni di “terroristi” che, individuati e seguiti, circolavano e operavano tranquillamente negli USA, in tranquilla tolleranza dell’Intelligence. E cosi’, in quelle quasi 900 pagine, un silenzio tombale copre gli annosi rapporti, strettissimi e assai redditizi, tra famiglia Bin Laden e famiglia Bush, sui soggiorni americani dei presunti kamikaze, sulla colossale defaillance della difesa antiaerea del militarmente più agguerrito e tecnologicamente più avanzato paese del mondo, sull’insider trading, operato da chi sapeva, sui titoli in borsa da vendere o comprare alla vigilia dello sconvolgimento determinato dagli attentati (assicurazioni, linee aeree), sulle gigantesche incongruenze della versione sui voli dirottati e sul crollo di torri e Pentagono.

Cent’anni di “torri gemelle”

All’attualità si aggiunge la storia. Una storia che sanziona gli USA come lo Stato - nell’ultimo secolo inseguito con accanimento da Israele - più terrorista del mondo, quanto meno a partire dalla fine del XIX secolo. Basta un elenco limitato degli episodi confermati dagli stessi documenti ufficiali oggi declassificati e reperibili nei National Security Archives di Washington. 1898, tempo per la cacciata dell’ultimo paese europeo dalle sue colonie nello spazio Latinoamerica-Pacifico, guerra ispano-americana scatenata dall’esplosione della corazzata “Maine” nel Golfo dell’Avana, con centinaia di marinai nordamericani a bordo, attribuita agli spagnoli, ma provocata dai servizi USA per  mobilitare l’opinione pubblica statunitense in favore della guerra. Cacciata degli spagnoli da Cuba, Portorico, Filippine,  colonizzati  da Washington al costo di 250.000 e passa vittime nei paesi aggrediti e di alcune migliaia di soldati statunitensi caduti. 1915: la nave-ospedale Lusitania viene affondata al largo delle coste americane, muoiono feriti, sanitari, equipaggio, colpa attribuita agli U-Boot tedeschi che, però, si dimostrò non avevano l’autonomia per arrivare fin lì, dichiarazione di guerra agli imperi centrali. 1941, 9 dicembre, attacco giapponese alla flotta USA del Pacifico, attacco più volte segnalato da agenti statunitensi a Tokio, segnali ignorati, compreso quello che alle 9 del mattino del 9 dicembre giunse nelle mani del generale Marshall (quello del Piano famoso, i cui doni furono elargiti agli europei dai partiti affiliati ai “liberatori”, onde imporre un dominio perenne, a partire dalle elezioni del 1948 in Italia). L’attacco era annunciato per le ore 13 e fino a quell’ora il ministro della Difesa si  tenne il dispaccio in tasca. Finirono ai pesci 2800 marinai, tanti quanti furono le vittime dell11/9…Ma si poterono giustificare la guerra al Giappone, le zampe sull’Asia. 1962 (Robert Stinnett, “Il giorno dell’inganno”, Il Saggiatore): fallita l’invasione della Baia dei Porci, occorre una rivalsa. Il Pentagono approva il Piano Northwood (National Security Archives) redatto dai capi di stato maggiore riuniti. Prevede il bombardamento della base di Guantanamo da parte di statunitensi travestiti da cubani, l’affondamento di navi di esuli cubani in navigazione tra Cuba e la Florida, una serie di attentati dinamitardi in tutti gli States con stragi di vittime e, ciliegina sulla torta, l’abbattimento di un charter USA carico di centinaia di studenti nordamericani in volo di vacanze-studio verso il Cerntroamerica, nello spazio aereo di Cuba, ad opera di un Mig cubano che non sarebbe stato un Mig cubano, ma un  caccia USA ridipinto. Kennedy, ansioso di evitare un confronto nucleare con l’URSS, rinvia il piano. Mesi dopo viene assassinato, con ogni probabilità dalla mafia cubana di Miami. 1964, Golfo del Tonchino: la flotta USA finge un totalmente inesistente attacco nordvietnamita e ne trae il pretesto per radere al suolo il Vietnam del Nord e lanciare una guerra, chimica, che costerà la vita a 3 milioni di vietnamiti e a 50.000 GI’s. 1993 e 1995, Sarajevo: gli ascari musulmani degli USA, sotto Izetbegovic, fanno saltare per aria due volte una fila di donne e bambini al mercato, colpa attribuita ai serbi (ancora oggi dal “convertito” Adriano Sofri), bombardamenti Nato. Inchieste ONU e giornalistiche provano la responsabilità del presidente bosniaco.

1999, gennaio, Racak, Kosovo: i tagliagole UCK addestrati dagli emissari USA di Al Qaida, allestiscono la messa in scena di 45 corpi di “civili” uccisi a freddo e mutilati “dai serbi”, l’inchiesta dimostra la falsità dell’assunto, ma l’opinione pubblica mondiale è pronta a sostenere l’aggressione e lo squartamento della Jugoslavia.

 

Dai nazisti ai Bush, dai Bush ai Bin Laden

Una campagna di terrore e genocidi che costa la vita a centinaia di milioni di persone, la sovranità e libertà a decine di paesi e che raggiungerà l’acme con l’ultimo rampollo della dinastia Bush. Quel Bush minore che ha per nonno un signore istruito da modelli di prima qualità: Prescott Bush, socio del magnate dell’acciaio nazista Von Thyssen, autore e profittatore per miliardi di marchi del riarmo di Hitler. Avevano in comune una banca con filiali ad Amsterdam e New York (Union Banking Corporation), nelle quali il fornitore delle guerre naziste riversava i suoi utili, poi trasferiti al crollo del nazismo negli Stati Uniti a perpetua fortuna dei Bush. Lo stesso Prescott possedeva poi una compagnia di navigazione grazie alla quale scienziati tedeschi, soprattutto genetisti, poterono rifugiarsi negli USA e da lì curarne il riarmo biologico. Continuità associativa col presunto nemico che arriva alle sbalorditive partnership della famiglia del presidente con la famiglia Bin Laden, soci nella società petrolifera “Arbusto”; nella Banca BCCI (governata dal comune banchiere Khaled Bin Mafouz), condannata come principale riciclatrice di narcodollari e strumento per il finanziamento dei contras in Nicaragua, grazie alle armi vendute da Israele e dagli USA all’Iran nel corso della guerra Iraq-Iran; nel gruppo Carlyle, la più grande multinazionale di armamenti, fornitrice delle FFAA nordamericane e con un’associata, Bioport, che, unica produttrice negli USA del vaccino anti-antrace, ha intossicato centinaia di migliaia di soldati statunitensi traendone superprofitti. Superprofitti poi esaltati dal panico antrace (5 morti e decine di destinatari di lettere all’antrace, quasi tutti democratici da persuadere alla guerra infinita) che ha promosso l’acquisto di milioni di dosi di vaccino. Non solo petrolio, dunque. Noam Chomsky: “La più rilevante forma di terrorismo è, di gran lunga, il terrorismo di Stato, cioè terrorizzare complessivamente la popolazione tramite azioni sistematiche eseguite dalle forze dello Stato stesso. Questo tipo di terrorismo costituisce parte essenziale di un progetto sociopolitico imposto dal governo, finalizzato a soddisfare le prerogative dei privilegiati”. Quanto a partnership tra  dirigenti USA e Al Qaida, all’origine di quel “Reichstag americano” (i nazisti bruciano il parlamento e danno la colpa ai comunisti, ne segue la liquidazione di ogni opposizione) che per molti  sono gli attentati dell’11/9, utilizzati come lasciapassare per guerre finalizzate all’eliminazione di avversari potenziali (Europa, Cina, Russia, India) e al dominio imperiale sul mondo, nonché alla riduzione a stati di polizia delle democrazie occidentali sotto perenne minaccia dell’insubordinazione delle proprie classi lavoratrici, gli elementi di prova sono innumerevoli e incontrovertibili. Per quanto rapidamente accantonata dai media ufficiali, resta in molti la memoria della creazione, ad opera della CIA, di Al Qaida, punta di diamante di un estremismo fondamentalista che ovunque è stato istigato dagli USA (fino al recente episodio, denunciato dai responsabili della sicurezza palestinese e da collaborazionisti confessi, di Israele che ha tentato di allestire un gruppo Al Qaida nei territori occupati e allo sforzo, finora vano, di attivare elementi Al Qaida in Iraq per convertire in terrorismo quella che è una grandiosa resistenza di popolo). I testi delle madrassa islamiche (scuole coraniche) in Afghanistan e Pakistan, zeppi di incitamenti alla guerra santa e al terrorismo bombarolo, furono redatti e stampati negli USA e distribuiti a cura della CIA e del servizio pakistano fratello, ISI (Interservices Intelligence), per alimentare quel fanatismo che avrebbe poi portato carne da cannone ad Al Qaida, prima per la guerriglia contro l’Armata Rossa, giunta negli anni ’80 in Afghanistan a sostegno del governo progressista dei comunisti, poi per l’addestramento e il sostegno ai secessionisti bosniaci e kosovari (guidati direttamente da Osama agli ordini degli USA) e, infine, ai vari focolai della sovversione terroristica in Indonesia, Filippine, Kashmir, Algeria. Ogni tentativo delle agenzie di sicurezza USA di intervenire sui patrimoni e canali di finanziamento dei Bin Laden dopo l’11 settembre viene bloccato da Bush. Osama stesso è visitato in una clinica di Dubai, nel luglio precedente gli attentati, dal caposervizio CIA della regione. La sua estradizione, offerta nel 1997 dal Sudan, viene respinta da Washington, che chiede di spedirlo… in Afghanistan.

 

Occorre un “trauma di massa”

La necessità di disporre di uno strumento di provocazione – che ovviamente sarebbe surrealistico pensare possa sfuggire a tutti i 12 servizi di spionaggio degli USA, compreso Echelon, e rivoltarsi contro i propri padrini e foraggiatori, uscendo dalle caverne afgane per sbattere 4 aerei contro i più difesi obiettivi dello Stato nordamericano – è stata del resto teorizzata ampiamente dai padri del Programma per il nuovo secolo americano (PNAC), che dagli anni di Reagan riunisce un think tank di estremisti evangelici in stretto rapporto con gli integralisti del sionismo israeliano, oggi al comando della nave d’assalto statunitense (Perle, Wolfowitz, Cheney, Rumsfeld, Rice, Ledeen, Brzezinski, Abrams,  in buona parte anche alla vetta dell’JINSA, Istituto Ebraico per gli Affari della Sicurezza Nazionale). Brzezinski inneggia agli Stati Uniti impero mondiale e, per neutralizzare la minaccia a questa ascesa costituita ”dall’atteggiamento molto più che ambivalente della cittadinanza statunitense riguardo alla proiezione esterna del potere degli Stati Uniti”, raccomanda un “trauma collettivo”. Per Brzezinski, maestro del neofascista Ledeen, ammiratore ed emulo di Mussolini, coloro che prediligono le libertà individuali e la sovranità della propria nazione rappresentano “le forze del disordine globale” che devono essere sconfitte. Quindi “l’opinione pubblica deve essere manipolata, ricordandosi che l’opinione pubblica ha appoggiato l’impegno degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale in gran parte a causa dell’effetto sconvolgente dell’attacco giapponese a Pearl Harbour”. Aggiunge, a scopo di chiarezza: “Il consenso di massa potrebbe essere agevolato da un trauma di massa”, suscitato da “una minaccia esterna davvero rilevante”.

 

Il “fallimento” dei più potenti servizi del mondo

Il trauma di massa più efficace in questo senso dei nostri tempi è stato indubbiamente l’attacco dell’11/9. Gli Stati Uniti dispongono della Central Intelligence Agency, del Federal Bureau of Investigation, della National Security Agency, del National Reconnaissance Office, del Secret Service e di una schiera di altre agenzie d’ intelligence e per la sicurezza. Queste agenzie utilizzano Echelon, che controlla la maggior parte delle comunicazioni elettroniche mondiali, Carnivore, che intercetta la posta elettronica, Tempest, una tecnologia in grado di leggere lo schermo di un computer alla distanza di vari isolati, i satelliti Keyhole, che hanno una risoluzione di 4 pollici, più altre tecnologie di spionaggio delle quali in parte non sappiamo nulla. In più sono alla loro totale dipendenza i servizi segreti della maggior parte dei paesi alleati o vassalli e, con buona pace di Rossana Rossanda e di tutti i fautori dell’autenticità integrale delle Brigate Rosse, i servizi USA e israeliani hanno dimostrato di saper infiltrare direttamente o con servizi alleati le formazioni antagoniste di molti paesi. Nel 2001 gli Stati Uniti hanno speso 30 miliardi di dollari per la raccolta di informazioni di intelligence e altri 12 miliardi per l’antiterrorismo. Con tutto ciò dovremmo credere che il governo non abbia avuto il minimo sentore di terroristi che stavano progettando di attaccare gli Stati uniti dirottando aerei e schiantandoli sugli obiettivi più importanti del paese. Sappiamo ora che ne hanno avuto sentore e che non hanno mosso un dito. O ne sono stati i burattinai?

 E’ stato Giulietto Chiesa a riassumere i termini del primo, in ordine di tempo (dopo gli avvertimenti ignorati), episodio che dimostra una consapevolezza e, dunque una connivenza, per quanto si è abbattuto su New York e Washington tra i più alti livelli dell’establishment statunitense: l’insider trading alla borsa di New York sui titoli che avrebbero subito fortissimi ribassi o rialzi in seguito agli attentati.

 

Giocando in borsa su 2800 vittime

Qualcuno fece montagne di dollari scommettendo in anticipo sul crollo delle azioni delle due compagnie aeree – American Airlines e United Airlines – che sarebbero state coinvolte nell’attacco dell’11/9. Furono oggetto di queste attività speculative anche la Morgan Stanely Dean Witteer & Co, che occupava 22 piani del WTC, e la Merrill Lynch & Co, che aveva i suoi uffici nelle immediate vicinanze. Dalle operazioni furono colpite anche Axa Reinsurance (che possiede il 25% di American Airlines), Marsh & McLennan, Munich Reinsurance, Swiss Reinsurance e Citigroup. Tutta questa attività si svolse tra il 6 e il 10 settembre 2001. Chi la gestì? Non arabi, né musulmani, bensì bianchi, cristiani, cittadini statunitensi, in particolare, secondo un’indagine FBI subito insabbiata, alti dirigenti di un’importante banca americana, la Bankers Trust (BT) che piazzarono un  grosso pacchetto di put options (contratti futures che consentono all’acquirente di guadagnare se le azioni stanno per crollare) e call options (azioni che si acquistano in previsione di forti rialzi). Sorpresa: la BT acquistò nel 1997 la A.B.Brown, una banca minore presieduta da A. Buzzy Krongard, che divenne dunque vicepresidente della BT. Subito dopo, nel 1998, Krongard entrò nella CIA, della quale è oggi numero tre, direttore operativo. Chi lo promosse? George-il minore-Bush e proprio nel marzo del fatale 2001. Senza contare che la BT-AB Brown è stata denunciata in Senato come una delle maggiori banche implicate nel riciclaggio del denaro sporco. Torna il fantasma della BCCI. E si afferma oltre ogni dubbio la preconoscenza di un altissimo dirigente CIA, se non del suo sponsor, di quello che sarebbe successo. Niente di strano per un presidente che, dopo aver polverizzato l’Afghanistan con la scusa dell’11/9, ha governato con i suoi proconsoli il ritorno delle coltivazioni di oppio in quel paese, estirpate dai Taleban, con subito un  raccolto record di 2800 tonnellate nel 2002. Da quest’oppio arriva l’85% dell’eroina consumata in Europa, nonché un utile di 500 miliardi di dollari che entrano nel circuito finanziario ufficiale, soprattutto degli USA, e sono indiziati di sostenere la campagna elettorale di chi le elezioni peraltro non le vince, ma arriva alla presidenza grazie al conteggio della Corte Suprema, Corte nominata dal papà. Ma anche il fratello Jeb Bush, governatore della Florida, si è dato da fare, cancellando abusivamente 90.000 elettori dalle liste elettorali della Florida, elettori perlopiù neri e perciò in maggioranza favorevoli al partito democratico. Oggi 15 miliardi di dollari ottenuti tramite l’insider trading pre-attentati attendono ancora di essere ritirati. Chi li ha vinti aspetta tempi più tranquilli.

 

Aerei fantasma al Pentagono e piloti elettronici contro le torri

Gli interrogativi più drammatici, però, riguardano quello che è successo al Pentagono e alle Torri Gemelle e, soprattutto, quello che non è successo. I dirottatori, secondo quanto dichiarato per certo dagli investigatori – che in un battibaleno ne hanno comunicato nomi e nazionalità per quanto nè tali nomi, né corrispettivi falsi apparissero nelle liste dei passeggeri imbarcati – avevano frequentato scuole di pilotaggio per piccoli apparecchi turistici monomotore, tipo Chessna.  Quanto agli enormi aerei di linea Boeing 747 e 757 che si sono schiantati, tutti i comandanti di aviazione civile più esperti (compresi quelli italiani, in una trascurata trasmissione di Corrado Augias) hanno negato categoricamente che avrebbero mai potuto essere pilotati da persone con simile primitiva preparazione, perlopiù con manovre umanamente quasi irrealizzabili, come quelle del sorvolo delle Torri, la virata di 360 gradi, la discesa a bassissima quota in pochi secondi e il centro, in virata, su edifici equivalenti per tali proiettili a un fiammifero. L’aeronautica USA ha la capacità di sequestrare in aria grandi velivoli di linea e di guidarli con comando a distanza, annullando i comandi dei piloti. Esperimenti in questo senso con Boeing  e Global Hawk della Northrop Grumman (simile al Boeing 737), fatti decollare, volare e atterrare elettronicamente tra Edwards in California e Edimburgh in Australia, sono stati coronati da successo. Del resto si tratta di una tecnologia ampiamente impiegata con i Predator, aerei senza pilota, in Afghanistan. Nel caso specifico, dirottatori a terra sono in grado di inviare all’aereo un segnale che si sostituisce al codice del transponder e di impostare al millimetro la nuova rotta, senza che i piloti a bordo possano fare alcunché. Inoltre la tecnologia “Home Run” si sovrappone alla trasmissione dei dati delle scatole nere, cancellandoli irreversibilmente dopo mezz’ora dall’uso. Quanto alle telefonate fatte dagli aerei a congiunti e addirittura politici,  scoop mediatico di grande impatto emotivo, tutti i tecnici interpellati negano che si possano fare comunicazioni a terra con cellulari, alla velocità e all’altezza a cui volavano gli aerei

Come dimostrato con documenti esclusivamente ufficiali da Thierry Meyssan, giornalista investigativo francese, nel libro “L’incredibile menzogna” (Fandango Libri), nessun Boeing 757 può aver colpito il Pentagono. Tutte le fotografie e riprese scattate subito dopo l’impatto mostrano la totale assenza, fuori e dentro il Pentagono, del più piccolo rottame di un aereo con 39 metri apertura alare, 12 metri di altezza della carlinga, quattro grandi motori. Non vi sono tracce di carburante. L’apertura causata dall’impatto nei tre cerchi dell’edificio è larga tra i 5 e i 6 metri per una lunghezza di 100m: esattamente quella che verrebbe provocata da un missile Cruise. Solo due testimoni, entrambi dipendenti del Pentagono, affermano di aver visto avvicinarsi un Boeing, tutti gli altri parlano di oggetti metallici lucenti, simile a missili o a piccoli aerei. Del resto nessuno ha mai potuto conoscere quanto rivelato dalle  scatole nere ricuperate da alcuni degli aerei dirottati, definite “inutilizzabili”. Nessun pilota al mondo crede possibile che un aereo di linea possa scendere in picchiata o a spirale da alcune migliaia di metri fino a rasentare il suolo, procedere tra alberi e case senza toccarli e poi colpire un edificio senza…lasciar tracce.

Nel corso dell’ora e mezza circa  (dalle 8.48 del volo 11 sulla Torre Nord, alle 10.10 della caduta del volo 93 in Pennsylvania)  che è durata l’impresa dei quattro aerei, l’intero apparato di difesa antiaerea statunitense è rimasto bloccato, inevitabilmente per un ordine arrivato dal comando supremo del NORAD (lo stato maggiore dell’aeronautica militare). E’ procedura standard  dell’aeronautica USA e della Guardia Nazionale, collaudata in occasioni di centinaia di intrusioni involontarie, o di prova, di tenere pattuglie di caccia pronte al decollo nel giro di 2,30 minuti, capaci di raggiungere dalle loro basi ogni punto del cielo statunitense in 8 minuti. I quattro aerei dirottati hanno circolato fuori rotta, segnalati in tempo reale dai radaristi alle basi a terra per oltre 90 minuti e nemmeno dalla base Andrews, 50 km e un minuto di volo da Washington, si è alzato alcun velivolo per l’intercettazione. Né sono entrate in azioni le batterie di fuoco automatico poste attorno alla Casa Bianca, al Pentagono e al Centro Commerciale Mondiale. Queste ultime dovrebbero intervenire qualora un intruso si avvicinasse a 5km dalle Torri e avesse ignorato l’ordine di invertire la rotta comunicatogli a distanza di 12 km dalle Torri. Nessuna inchiesta hai mai voluto approfondire la ragioni di questo straordinario annullamento delle più elementari procedure di difesa.

L’autorità dell’aeronautica civile, Federal Aviation Administration, aveva allertato il comando della difesa aerea nazionale sull’avvicinamento del voloAmerican Airlines 77  a Washington (tutti gli aerei dirottati trasportavano passeggeri per meno del 25% della loro capacità e del numero imbarcato nei giorni precedenti). Mancavano dodici minuti all’impatto: nessuno trasmise l’allarme all’aeronautica militare o al Pentagono, l’edificio non fu evacuato, ma, grazie a un’acrobatica virata finale di 270 gradi, il presunto “Boeing” evitò il lato del Pentagono dove si trovano gli uffici del segretario alla Difesa e del capo di Stato Maggiore e colpì l’area piena di dipendenti civili. Sarebbero bastati meno di tre minuti per intervenire dalla base Andrews.     

 

Bush nella scuola e nessun dirottatore sugli aerei

 Il presidente Bush, pur considerando le attenuanti da riconoscersi al suo quoziente d’intelligenza, ha tenuto un comportamento che neanche il direttore di Gardaland. Ha mentito sulla sua  prima esperienza della tragedia, quando affermò in Tv che aveva visto lo schianto alla televisione alle 8.45, ora in cui nessuna emittente aveva ancora trasmesso immagini della tragedia. Il presidente stava visitando una scuola elementare in Florida. Alle 9 meno 5 un suo collaboratore gli comunica il primo schianto. Bush rimane tranquillo e allegro e continua a conversare con i bambini. Stesso comportamento dopo che gli viene comunicato il secondo impatto, per interi 30 minuti. Regola imprescindibile per un capo di Stato, perfino nel Nagorno Karabach, sarebbe stata  chiamare immeditamente i suoi collaboratori più stretti, organizzare la difesa, mettersi al sicuro. Niente di tutto questo. Del resto, grazie ai servizi, conosceva i dettagli dell’operazione terroristica in corso da almeno 7 settimane. Se non, in quanto in cabina di regia, da molto prima.

Di tutti i 19 dirottatori – sette sono stati segnalati in vita  nei loro paesi – non esiste immagine tranne quella di Mohammed Atta, il presunto capo, su un passaporto di plastica e cartone, miracolosamente scampato a schianti, fiamme e fumi e volato fino a quattro isolati dalle Torri. I dirottatori si sarebbero ovviamente imbarcati nei rispettivi aeroporti dove li avrebbero filmati le innumerevoli telecamere che in ogni aeroporto statunitense riprendono tutti, dal momento del parcheggio all’imbarco sull’aereo. Dove sono tali filmati? Quale prova migliore per convincerci dell’esistenza dei dirottatori che l’esibizione su tutte le tv, infinite volte, dei nastri che mostrano i terroristi? E’ che di dirottatori non ce n’erano.

 

Pompieri inascoltati, torri esplose

Le torri sono implose, crollando su se stesse, esattamente come quando si intende abbattere un edificio con cariche esplosive. Tutti i costruttori di edifici verticali interpellati hanno negato che questi crollerebbero venendo colpiti lateralmente da oggetti come i Boeing. Molti testimoni, di cui si è perso traccia, compreso un giornalista della BBC, hanno distintamente udito il botto di esplosioni successive agli impatti. Per effettuare un circostanziato esame del crollo, sarebbe servita l’analisi dei rottami di ferro. Ma le 2800 tonnellate di questi rottami sono stati immediatamente rimossi e fatti sparire da ditte che la stampa ha collegato alla mafia, le stesse che si occuparono delle rimozioni delle macerie dell’edificio dell’FBI a Oklahoma City, dopo l’esplosione attribuita al singolo matto Timothy Weigh. Esistono registrazioni di pompieri di New York giunti al piano dove si era verificato l’impatto e quindi l’incendio. Le dichiarazioni registrate parlano di incendi modesti, domabili e che richiedevano al massimo il rinforzo di un paio di squadre. Eppure si è parlato di incendi furiosi che avrebbero fatto fondere le strutture d’acciaio. Peccato che il kerosene brucia a 800 gradi e l’acciaio fonde solo a 1250-1500. Quei pompieri, sui quali calde lacrime hanno versato Rudolph Giuliani e lo stesso Bush, sono morti nel crollo presumibilmente causato da esplosivi. Nessuna inchiesta neanche qui.

 

Cui prodest

Lo spazio impone un limite all’elenco di assurdità, menzogne, inganni, depistaggi, inasabbiamenti. Ma la logica richiede un minimo di esame del decisivo cui prodest, degli effetti ricavati da ciò che Condoleezza Rice, Consigliere Nazionale per la Sicurezza, aveva auspicato potesse avverarsi: “una grande occasione” per lanciare la guerra all’Afghanistan e, soprattutto all’Iraq, i cui piani erano sul tavolo di Bush molto prima che presunti terroristi costringessero gli Stati Uniti e i loro vassalli alla “guerra contro il terrorismo”. La Cia ha visto aumentare i propri poteri interni ed esterni fino alla supervisione sul meno affidabile FBI e il suo budget del 42%, le forze armate hanno goduto di un incremento finanziario del 37% fino alla cifra siderale di 400 miliardi di dollari. Le “guerre stellari” di Reagan sono uscite dal coma e  hanno oggi (vedi Chossudovsky, www.intermarx.com/ossinter/clima.htlm) messo a punto l’arma suprema, HAARP,  lo strumento di onde ad altissima frequenza che agisce sulla ionosfera e modifica il clima provocando siccità e alluvioni in intere regioni da destabilizzare. Con il “Patriot Act”, legge promulgata nell’atmosfera di panico successiva agli attentati, il governo dei manipolatori delle elezioni in Florida e degli estremisti della dominazione bianca e biblica ha drasticamente ridotto le libertà civili negli Stati Uniti, a partire dall’eliminazione dell’habeas corpus e a finire con i tribunali militari, le detenzioni senza imputazione, processo, difesa, Guantanamo, l’impunità universale dei propri killer dall’Afghanistan a Cuba, dall’Iraq alla Jugoslavia. Sulle ali delle satanizzazioni personali e della demonizzazione di culture e religioni, da molto tempo praticate sugli avversari dell’imperialismo, da Nasser a Milosevic, da Ho Ci Min a Castro, da Boumedienne a Saddam, ma rilanciate con formidabile vigore e la complicità di un sistema informativo ridotto a totale obbedienza, ci si è mossi a disintegrare Afghanistan, Iraq, Palestina, Colombia  e ci si appresta alla resa dei conti con altre “realtà canaglia”, da Cuba al Venezuela, dalla Corea del Nord alla Cina, all’Indonesia, ovunque si pretenda che agisca il tentacolo CIA chiamato Al Qaida, fino all’antagonismo nazionale e di classe nei paesi industrializzati.

 

L’inerzia dell’informazione “antagonista”

A questa minaccia si è risposto, fatta eccezione per i coraggiosi centri di controinformazione presenti negli Stati Uniti e in pochi altri paesi, con imperdonabile timidezza e pigrizia. Servono le mobilitazioni per la pace, ma serve di più l’individuazione della natura mostruosa dell’imperialismo e della sua attuale classe dirigente, fantocci locali compresi. E’ solo delegittimando questa classe dirigente, rivelandone i crimini e le strategie genocide, identificando il terrorismo con le classi dirigenti occidentali, che il rullo compressore della guerra e della fascistizzazione può essere reso visibile alle grandi masse e, dunque, neutralizzato. Le stesse sconvolgenti scoperte fatte dai ricercatori nordamericani e da tanti altri dovrebbero trovare ampio spazio nella comunicazione e nella mobilitazione delle forze di sinistra, anche se questo dovesse significare la perdita di uno strapuntino nel “salotto buono” della politica. Qualcuno dovrebbe gridare, come nei “Vestiti dell’imperatore” di Andersen: “Il re è nudo”.

 

“Il potere costituito si ammanta di una mimetizzazione culturale, utilizzando tattiche per le quali mantiene senza soluzione di continuità una logica di plausibilità. Una sottile, onnipresente e spesso non esplicita propaganda (non di rado placidamente condivisa da chi dovrebbe opporsi) promuove presso l’opinione pubblica un’estesa fiducia ed accettazione dell’autorità dell’establishment, nonché delle definizioni di quest’ultimo di bene e male, impedendo così al pubblico di valutare seriamente la realtà per cui è lo stesso establishment il male per definizione.  Un pubblico distratto attribuisce i risultati delle intriganti attività dell’establishment ad eventualità fortuite, oppure a motivazioni considerate essenzialmente innocue o oneste (non siamo dopottutto in democrazia?). Il progetto diviene irrefutabilmente chiaro solo nel contesto degli esiti, oppure indicando le effettive prove dell’ingerenza criminale. Il pubblico è stato sistematicamente condizionato ad ignorare tali contesti (chi parla più della Jugoslavia?) e a condannare coloro che richiamano l’attenzione su di essi (deridendoli e biasimandoli come “teorici della cospirazione” e “dietrologhi”). Così, il controllo dell’accesso e della diffusione delle informazioni, che costituiscono il riscontro dell’ingerenza, in larga parte bastano a proteggere il programma dell’establishment dallo smascheramento. Dalla delegittimazione”. (Paul David Collins, “The hidden face of terrorism, the dark side of Social Engineering, from antiquity to September 11”, email: thefaceunveiled@excite.com)

Fulvio Grimaldi

 

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Il Manifesto, 17/5/3. La Repubblica, 11/4/2, “11 settembre, una strage evitabile”.

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