MIRADA CUBANA ARCHIVIO


 

 


La continua aggressione mediatica contro Cuba

Nelle considerazioni a seguire, nel mio piccolo, cercherò di colmare questa disinformazione imposta dal sistema (dis)informativo main stream, cui non sfugge nemmeno 'Zeus News', con la pubblicazione dell'articolo odierno (12/03/2009) "Sono dodici gli Stati canaglia dell'Internet", basato sulle asserzioni di 'Reporters sans Frontières', fonte della falsa notizia.

A tale scopo, riprenderò alcuni appunti miei di qualche tempo fa, perciò mi scuso in anticipo per qualche eventuale ripetizione o lacuna nell'esposizione.

Va innanzi tutto osservato che a Cuba esistono migliaia di computers a disposizione dei cittadini, in biblioteche, scuole, università, centri sociali che possono essere consultati gratuitamente e liberamente.  Il loro uso è insegnato gratuitamente a giovani, adulti e anziani in tutta l'Isola.  Chiunque abbia girato per le città cubane ed abbia occhi per vedere può confermare la presenza pressoché capillare nel Paese dei "Club de Computación". 

Il fatto è che IL GOVERNO CUBANO HA DOVUTO, FINORA, LIMITARE L'USO DI INTERNET AI PRIVATI A CAUSA DEL BLOCCO USA CHE IMPEDISCE A CUBA DI COLLEGARSI AI CAVI SOTTOMARINI AD ALTA VELOCITÀ CHE UNISCONO LA FLORIDA CON IL MESSICO.

Per questa ragione, la rete informatica cubana deve dipendere dalle connessioni via satellite che sono molto più lente, costose e precarie.  Quindi le connessioni devono essere riservate, in primo luogo, ai servizi di primaria necessità, come ospedali, scuole ecc.

In pratica, gli Stati Uniti bloccano l'accesso di Cuba alla banda di Internet e poi accusano l'Isola di restringere l'uso di questo servizio a pochi privilegiati.  Le restrizioni imposte a Cuba impediscono all'Isola di usufruire di velocità di connessione alla Rete addirittura persino disponibili, invece, per un qualsiasi utente privato, in altre nazioni.

Dalla nascita di Internet, Washington ha bloccato Cuba nell'utilizzazione della Rete informativa mondiale e contemporaneamente ha cominciato una feroce campagna accusando l'Isola di negare la libertà di connessione.  Per via delle leggi del Blocco, Cuba non può collegarsi ai canali internazionali di fibra ottica che passano vicino alle sue coste ed è obbligata a farlo via satellite, metodo più caro e che limita l'uso di questa risorsa.

Cuba, come Paese, ha accesso ad Internet dal 1996 e solo via satellite.  La connessione via cavo è invece più rapida, di miglior qualità e tra il 15 e il 25% più economica che via satellite.  Nel 2005 Cuba infatti, ha pagato più di 4 milioni di dollari per poter accedere a Internet via satellite, secondo quanto riportato dal Ministero dell'Informatica e delle Comunicazioni di Cuba (MIC).

Oggi, dopo 13 anni, in conseguenza del suddetto bloqueo USA Cuba non ha ancora ottenuto accesso ai cavi di fibre ottiche che passano proprio vicino alle sue coste.  Ogni volta che Cuba voglia aggiungere un nuovo canale ad Internet, la controparte statunitense deve ottenere la licenza appropriata dal Dipartimento del Tesoro USA.  Parimenti, se una compagnia nordamericana volesse aprire un nuovo canale a Cuba o decida di aumentare la velocità della connessione, ugualmente deve farsi rilasciare un'apposita licenza dal Dipartimento del Tesoro USA.

Ne consegue che l'autorizzazione dell'ampiezza di banda via satellite di cui dispone è di soli 65 Megabyte al secondo (MB/s) in uscita e 124 MB/s in entrata, vale a dire inferiore a quello di molte aziende e persino di alcuni utenti privati con connessioni a fibre ottiche ad alta velocità (ADSL) in altri Paesi (in Australia, Bangladesh, Regno Unito, Italia o negli Stati Uniti, ad esempio, una persona può accedere all'alta velocità con un servizio ADSL e con la possibilità di download fino a 24 MB al secondo e in Norvegia o in Giappone si superano persino i 100 MB).

Ciò, ovviamente, non è sufficiente per le necessità di sviluppo di Cuba.  I suoi costi d'acceso ad Internet sono inoltre molto più elevati.  Peraltro, la stessa telefonia non era riuscita ad avanzare, sino a soli pochi anni fa, verso la digitalizzazione e l'installazione di fibre ottiche su tutto il territorio nazionale, e questo limite infrastrutturale ha rappresentato un enorme ostacolo.

L'acquisto di hardware (come Intel, Hewlett Packard, IBM e Macintosh) e software (es. la sola Microsoft, che con Windows domina oltre il 90% del mercato dei sistemi operativi installati nei PC) a Cuba, sempre a causa del bloqueo, non può avvenire direttamente dagli Stati Uniti, che sono l'emporio mondiale della tecnologia informatica, e avviene perciò da Paesi terzi, con maggiori costi di trasporto e rincari anche del 30%. Oltre a ciò, gli Stati Uniti esercitano un controllo egemonico sui server, di cui i principali del mondo si trovano proprio in territorio statunitense.

Stanti tali limitazioni imposte dal bloqueo, la diffusione di Internet a Cuba procede secondo un modello di appropriazione sociale delle tecnologie informatiche e delle comunicazioni, cioè appunto seguendo criteri di priorità sociale, privilegiando, ad es., la diffusione dell'informazione medica (attraverso la rete di salute "Infomed" appositamente dedicata ai medici cubani), i portali informativi per gli intellettuali e gli artisti (Cubarte) la ricerca scientifica e universitaria nei vari rami del sapere, della produzione e dei servizi.

Così, con gli scarsi mezzi economici e tecnologici di cui dispone, le possibilità offerte da Internet e, in generale, dalle nuove tecnologie sono messe a disposizione degli interessi vitali di tutta la popolazione del Paese, non solo a chi è connesso in rete.

Le autorità cubane hanno cioè deciso di dare la priorità della connessione alla Rete in maniera organizzata, per garantire il suo uso sociale in forma adeguata a medici, scienziati, studenti, professionisti, personalità della cultura, centri di ricerca, ecc.

Questa strategia è riconosciuta da istituzioni internazionali come un esempio positivo per altri Paesi in via di sviluppo che vogliono superare il divario digitale esistente con i Paesi ricchi, un modello per i Paesi sottosviluppati.  Tutte le scuole, anche quelle più remote di campagna (incluse quelle ove non giunge la rete elettrica nazionale), sono dotate di computer, TV e videoregistratori alimentati all'occorrenza da pannelli fotovoltaici (come del resto anche i consultori medici di campagna, presenti capillarmente ovunque).  In ogni comune del Paese si può trovare un "Joven Club de Computación" per le persone di qualsiasi età che vogliano apprendere l'uso del computer e farne pratica.

In base ai dati risalenti a 3 anni fa (2006), a Cuba esistono oltre 1.370 domini registrati <.cu> e 2.500 circa siti web, di cui 135 appartenenti ad organi di stampa, ci sono 940.000 utenti di posta elettronica e altri 219.000 di Internet, che diventano centinaia di migliaia tenendo conto del carattere sociale che permette che uno stesso punto di connessione sia utilizzato da varie persone.

Con circa 377.000 PC usati per scopi di pubblica utilità ed una proporzione di 3,4 PC ogni 100 abitanti, si può affermare che oggi Cuba sta estendendo la socializzazione delle nuove tecnologie dell'informazione. La media aumenta però considerevolmente se si considera che, in effetti, queste macchine si trovano in centri di studio, culturali, industriali e sanitari, oltre che nelle banche e negli uffici postali.

Il 100% dei centri d'insegnamento, per esempio, utilizza le nuove tecnologie come appoggio ai programmi scolastici, assieme a televisori e video, a vantaggio dei 2.230.658 studenti delle 12.784 scuole esistenti.  Tutti gli istituti di studio del paese impiegano computer nel processo educativo, comprese 2.368 scuole rurali con pannelli solari fotovoltaici, 93 delle quali hanno un numero d'iscritti pari ad un solo alunno (uno!).

La domanda che dovrebbe porsi una persona dotata di semplice buon senso sarebbe, allora:  MA SE LO STATO CUBANO VOLESSE DAVVERO IMPEDIRE L'ACCESSO AD INTERNET ALLA POPOLAZIONE, PERCHÉ MAI SPENDEREBBE COSÌ INGENTI RISORSE PER CURARNE LA FORMAZIONE INFORMATICA?

Dalla nascita di Internet, gli Stati Uniti hanno bloccato Cuba nell'utilizzo della rete informatica mondiale e contemporaneamente hanno cominciato una feroce campagna accusando l'Isola di negare la libertà di connessione.

E se i nemici di Cuba considerano che Cuba, per giustificare il suo presunto fallimento, invoca a pretesto il blocco economico, commerciale e finanziario imposto nei suoi confronti, perché il Governo degli Stati Uniti non toglie ai cubani il pretesto, eliminando il bloqueo?

Fortunatamente, il blocco di Cuba all'accesso alla rete delle reti potrebbe terminare nel 2010.  Infatti, sta per essere collocato un grosso cavo sottomarino a fibre ottiche che unirà Cuba al Venezuela, risolvendo così definitivamente il problema.

La limitazione alla diffusione di Internet a Cuba, dunque, va posta in relazione in primo luogo al bloqueo (Vedi articolo sul "Granma" al link http://www.granma.cu/italiano/2006/noviembre/mier8/bloqueo-it.html) e alle carenze tecnologiche che necessariamente la supportano, in particolare alla rete telefonica nazionale, che non raggiunge le abitazioni private se non in una percentuale piuttosto bassa (inferiore al 7%) rispetto agli standard europei e, per lo più, con una diffusione concentrata essenzialmente nella capitale.

Da un punto di vista tecnico, avendo poca banda a disposizione, Cuba non può permettersi un alto volume di utenti. Per motivi non certo imputabili alla volontà dei Paesi del Terzo Mondo, esiste infatti un divario incolmabile tra l'accesso alle tecnologie dei Paesi più poveri ed i Paesi a più alto sviluppo economico. Sarebbe pertanto assolutamente privo di senso fare un paragone tra queste realtà ben diverse senza tenerne debitamente conto.

La diffusione di Internet a Cuba procede, perciò, secondo criteri di priorità sociale e di progressiva gradualità, privilegiando ad es. la diffusione dell'informazione medica (attraverso la rete "Infomed" appositamente dedicata), la ricerca universitaria, il sistema bancario e finanziario, quello postale e delle telecomunicazioni, le imprese economico-commerciali e le strutture turistiche (hotel, aeroporti internazionali, Internet points, ecc.). 

Come già detto, tutte le scuole, anche quelle più remote di campagna (incluse quelle ove non giunge la rete elettrica nazionale), sono dotate di computer, TV e videoregistratori alimentati all'occorrenza da pannelli ad energia solare (come del resto anche i consultori medici di campagna, presenti capillarmente ovunque).

Ove non esistano gli Internet Points per l'accesso pubblico a Internet, sono quasi sempre gli uffici postali (presenti in tutte le città) che forniscono un apposito servizio d'invio della posta elettronica, più limitato ma anche molto più economico rispetto all'accesso a Internet vero e proprio. 

In quasi tutti i principali hotel, oltre ai turisti stranieri, è pertanto possibile incontrare cittadini cubani connessi ad Internet e persino collegati in chat con i loro amici all'estero (in questo caso a pagamento, ovviamente, più o meno agli stessi prezzi che qui da noi in Italia).

Certo che le autorità cubane esercitano un controllo al riguardo.  Del resto le nostre autorità lo fanno anche da noi. Evidenzio a tal proposito che il decreto Pisanu in materia di anti terrorismo prevede l'obbligo per gli utenti di fornire le generalità ed esibire un documento d'identità in qualsiasi punto pubblico di accesso ad Internet nel territorio italico. Per non parlare delle limitazioni personali in vigore negli Stati Uniti conseguenti al "Patrioct Act", ivi compresi la sorveglianza, la violazione della privacy e lo spionaggio nelle comunicazioni, anche senza le dovute autorizzazioni giudiziarie, imposte ai cittadini statunitensi dopo la tragedia dell'11 Settembre, violazioni di cui è attualmente oggetto di uno scandalo proprio l'Amministrazione Bush.

Al riguardo, vale la pena osservare che Cuba è un Paese che ha pagato al terrorismo un pesante tributo di sangue. E' inoltre un dato inconfutabile che, nel continente americano, la CIA ne è da sempre il principale sponsor ed artefice, con tutti i più avanzati mezzi tecnologici possibili, in virtù delle immense dotazioni finanziarie e dello strapotere economico, politico e militare degli Stati Uniti.

Chiarito ciò, cerchiamo anche di capire perché si mettono in giro queste fandonie.  Una seria informazione, infatti, non può prescindere dalla verifica dell'attendibilità delle fonti, in questo caso il gruppo francese "Reporters sans frontières" (RSF).  Come osservano, giustamente, altri commentatori ben più autorevoli di me, quella dei "reporter senza frontiere morali" è, in effetti, un vero e proprio esempio d'informazione a comando.  In effetti, RSF riceve appositamente denaro per "satanizzare" l'uso di Internet a Cuba.  RSF, la famosa organizzazione di Robert Ménard & Soci che sostiene di promuovere e difendere la libertà di stampa, ogni anno stila la lista nera dei Paesi definiti "nemici di Internet" in cui, com'è prevedibile, Cuba non deve mai mancare.

Va perciò detto che questi grandi comunicatori sono regolarmente retribuiti dall'USAID (United States Agency for International Development), organismo del Dipartimento di Stato di Washington con cui gli Stati Uniti concedono i finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo, attraverso l'intermediazione del CFC (Center for a Free Cuba).  Inoltre, mediante il NED (National Endowment for Democracy), altro organismo che a sua volta dipende dal Congresso degli Stati Uniti e che è incaricato di promuovere la politica estera statunitense, sono finanziati una serie di siti web e presunte agenzie di stampa satelliti di RSF, responsabili di continue aggressioni contro Cuba, purtroppo non solo mediatiche.

Il pensiero di questi professionisti della disinformazione è indubbiamente ispirato dalla regola aurea coniata dall'indiscusso talento propagandista del Terzo Reich, Paul Joseph Goebbels: "Una bugia ripetuta mille volte si converte in una verità".  La menzogna, infatti, da sempre è una componente organica del potere egemonico per fabbricare il consenso, come ampiamente dimostrato, ad esempio, con l'invasione dell'Iraq alla ricerca delle famose armi di distruzione di massa, mai rinvenute.

RSF sarebbe di cero moralmente più credibile se, tra le priorità di cui potrebbe invece occuparsi, considerasse che proprio il governo degli Stati Uniti, loro finanziatore (e che si dovrebbe pertanto presumere aver a cuore la libertà d'informazione), la prima cosa che ha fatto nell'intervento militare a Belgrado, è stata quella di bombardare la sede della TV serba. Lo stesso ha fatto a Baghdad con la TV irachena. In Iraq si sono portati al seguito soltanto i più fedeli giornalisti "embedded", quindi hanno deliberatamente bombardato l'Hotel Palestine ove erano ospitati i giornalisti internazionali, causando tra l'altro la morte del cameraman spagnolo José Couso.  In proposito RSF si era distinta escludendo categoricamente la responsabilità USA, nonostante le flagranti prove dimostrate.

Poi le autorità d'occupazione statunitensi hanno espulso dall'Iraq "Al Jazeera", colpevole di riferire sugli effetti sulla popolazione civile dei bombardamenti USA che hanno completamente raso al suolo la città di Fallujah. La catena araba, in quella parte del mondo, era l'unico network diverso dalla CNN che poteva coprire le notizie sui crimini contro l'umanità perpetrati "esportando la democrazia", in nome della lotta contro il terrorismo.

Perciò l'Amministrazione Bush è arrivata a pianificare il bombardamento della sua sede in Qatar, nel Golfo Persico. Nel frattempo hanno deportato a Guantánamo il loro corrispondente in Afganistan, il sudanese Sami al Hajj, sottoponendolo a torture e a maltrattamenti inumani (descritti nell'articolo sottostante, in spagnolo). Il suo caso è stato oggetto di precisi rapporti di "Amnesty Internacional", ma RSF, diretta dal giornalista francese Robert Ménard, non ha ritenuto di occuparsene.

E' quanto mai significativo l'assordante silenzio in proposito di "Reporter sans frontieres". Evidentemente, la proclamata difesa della libertà di stampa non è il vero fine delle proprie campagne giornalistiche.  Per RSF, alias Robert Ménard è indubbiamente molto più interessante cercare qualche pretesto per attaccare la terribile "dittatura" cubana. Proprio per questo, infatti, viene pagato.

Domando a RSF:  Cos'ha da dire l'organizzazione per la libertà di stampa "Reporter sans frontieres" su come la libertà d'informazione è garantita nell'Iraq occupato dal Paese presumibilmente più libero del mondo, gli Stati Uniti d'America?  Per RSF, bombardare le TV, imprigionare, torturare e uccidere i giornalisti scomodi per raccontare una verità sulla guerra d'aggressione illegale che non sia quella riportata dalla CNN e dagli altri giornalisti "embedded", significa forse "esportare la democrazia" e "difendere la libertà di stampa"?

La (presunta) tutela della libertà di stampa e d'informazione da parte di RSF non è che un mero pretesto per operazioni politiche di bassa lega, funzionali al padrone che la paga. 

Per questo ritengo ora più che mai necessario evitare di prestarsi alle solite, squallide, avvilenti pretestuose e strumentali campagne mediatiche anticubane, posto che nessun Paese è perfetto e che naturalmente anche Cuba è suscettibile di miglioramenti, che però sarebbero di certo molto più facilmente realizzabili qualora il cosiddetto autoproclamato "mondo libero" si decidesse a lasciarla vivere in pace e a rispettarne la sovranità.

Un cordiale saluto.

Aldo Garuti

 

 

 

info@siporcuba.it

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