RACCONTI SU CUBA


 


 

OLD ECONOMY

 

 

Arrivo a Boyeros a casa di Hernandez.
Compro sigari cubani. Dunque, i sigari cubani si dividono in tre categorie: quelli ufficiali –ovviamente originali- che si acquistano nelle tiendas per turisti e costano una barbarità. Qui si paga allo stato cubano i logici requisiti di veridicità e qualità del prodotto. La seconda categoria sono i sigari falsi. Ma quando dico falsi, intendo vere e proprie fregature, in quanto di tabacco c’è solo la foglia che riveste il contenuto che è un composto di foglie di banano. Questi, sono i sigari che si vendono nella calle, da abili chulos che li appioppano a turisti sprovveduti che pensano di fare un grosso affare, oppure dalle jinetere al proprio novio che, grazie alla forma estatica in cui versa, comprerebbe pure Fidel Castro. La storia che propinano è sempre la solita. Narra di un fantomatico cugino (Cuba è un intreccio di cugini) che, lavorando in una fabbrica di puros, per arrotondare il magro salario, ogni tanto ha l’occasione di rubare qualche scatola per rivendersela. Effettivamente la confezione trae in inganno un occhio inesperto; scatole come quelle originali con tanto di targhette di monopolio e timbri ufficiali. Purtroppo, chi ne compra una scatola non sa che fumerà una Chiquita. L’ultima categoria è rappresentata dal falso d’autore. In questo caso il prodotto è buono (il tabacco è veramente tabacco) ma, ovviamente, non proviene dalle fabbriche ufficiali. Ma in questo caso, nessuno ti racconterà storie farlocche: se sei arrivato a loro –i distributori come Hernandez- è perché sai che stai jineteando a tua volta un buon prodotto che tu stesso spaccerai come autentico e che conosci già che corrisponde alle caratteristiche peculiari di qualità.

Questo commercio parallelo, fa felici molti individui: da chi vende a chi compra.

Il prezzo medio di una scatola si aggira sui 20-25$ e sono tutti giustificati dal guadagno che, se hai i giusti canali di distribuzione del prodotto, puoi sicuramente realizzare.

L’economia sommersa dell’isola somiglia ad una gigantesca borsa nera che si intreccia con il mercato della ricettazione. Si ruba, si vende, si campa.

Per organizzare il mio viaggio a Santiago de Cuba, ho recuperato 50 litri di benzina normale in un sobborgo habanero. Ho riempito due taniche a meno di 3 pesos cubani al  gallone. E altrettanto farò a Baracoa pagando, forse, qualcosa in più. Giro con una Fiat uno con targa particular ma evito il più possibile di rifornirmi ai prezzi ufficiali imposti dallo stato.

Cuba è un universo di compromessi che poi ritrovi materializzati all’interno di vecchie case, sotto forma di impianti hi-fi, televisioni a colori, videoregistratori e PC addirittura collegati clandestinamente al internet, che rappresentano lo status simbol di un benessere del quale il popolo cubano è comunque grato al regime. L’introduzione di un mercato parallelo è la vera rivoluzione nella rivoluzione; è già il “dopo Fidel” anche se il potere militare ha acquisito nuova forza preparandosi agli investimenti nordamericani, logica direttrice economica per Cuba.

Cuba dai due volti. Quello del machetero che coltiva la sua terra e rivende il raccolto magari in mezzo alla Carrettiera Central o quello del dipendente statale che vive del salario e della libreta e, perché emarginato dai circuiti turistici, non godrà di altri benefici a meno che non indirizzati dalla sorella o figlia jinetera.

Ma è anche quello del  camarero di un famoso bar dell’Avana che, con i suoi traffici, guadagna fino a 150$ al giorno, stando in combutta con camajan o chulos che si fanno offrire falsi drink pagati da turisti amichevoli, e lucrando ambedue (il camarero e il chulo) sulla differenza del tipo di bevande ordinate e realmente preparate. Conobbi un italiano (un camajan) che con la scusa di essere l’angelo custode di connazionali in vacanza, si faceva invitare al bar, bevendo falsi Cuba libre (in realtà erano delle semplici Tropicola) e dividendo la differenza del costo tra un drink e un soft drink, con il camarero di turno.

Traffici nei quali gli stranieri residenti ed accreditati da una impresa straniera non restano indifferenti, acquistando a prezzi speciali (come se fosse un porto franco) nelle tiendas per turisti, oggetti e soprattutto bevande, che poi rivenderanno sottobanco alla stessa tiendas, che ha il vantaggio di rivendere a prezzi ufficiali i prodotti fittiziamente già acquistati dal turista accreditato.

Insomma, tutti campano e tutti si industriano.
Se si pensa ad una Cuba come terra di sole jinetere ci si sbaglia alla grande. E i tristi negozi vuoti del Poder Popular restano appannaggio di foto scattate da nostalgici turisti di mezza età che pensano che la colpa della crisi cubana sia originata dal Bloqueo.

En cada barrio se puede.

 

 

info@siporcuba.it

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