SFUMATURE DELLA GUERRA DELL'IMPERO

 

Aggressione e propaganda statunitensi contro Cuba
Perché l'antagonismo degli Usa contro Cuba non accenna a diminuire?



Michael Parenti


In tempi recenti, le relazioni tra gli Usa e Cuba sono andate peggiorando sempre più. Sotto l'amministrazione di George W. Bush, il boicottaggio si è fatto più severo. I gruppi di interesse americani a L'Avana hanno finanziato e diretto forme di agitazione contro il governo. Il dipartimento di Stato ha reso quanto mai stringenti le limitazioni per chi desidera visitare l'isola. Ma la cosa più inquietante è che all'inizio del 2003 gli esperti americani hanno cominciato a parlare esplicitamente di invadere Cuba - anche se la discussione è stata temporaneamente sospesa, dopo che l'invasione dell'Iraq si è rivelata incredibilmente costosa.

Per oltre quattro decenni, i politici di Washington hanno invariabilmente trattato Cuba con ostilità. I governanti americani e i media a loro più fedeli hanno propagandato ogni sorta di informazione distorta, cercando di fuorviare il mondo circa la loro politica aggressiva nei confronti dell'isola caraibica. Perché?

In difesa del capitalismo globale

Nel giugno del 1959, circa nove mesi dopo il trionfo della rivoluzione cubana, il governo de L'Avana promulgò una riforma agraria con cui lo stato si appropriava delle grandi proprietà terriere. A seguito di questa legge, gli zuccherifici statunitensi persero circa 1.6 milioni di acri di ottima terra e molti milioni di dollari di esportazioni.
L'anno successivo, il Presidente Dwight Eisenhower, menzionando "l'ostilità" de L'Avana nei confronti degli Stati uniti, ridusse la quota delle importazioni di zucchero cubano del 95 per cento, imponendo in pratica un boicotaggio completo dello zucchero prodotto dallo stato cubano. Tre mesi dopo, nell'ottobre del 1959, il governo cubano nazionalizzò tutte le banche e le imprese commerciali e industriali, molte delle quali appartenevano a compagnie statunitensi.
Dopo la transizione da un sistema di libero mercato dominato dalle imprese americane a un'economia socialista non orientata al profitto, Cuba divenne il bersaglio di una serie di attacchi incessanti perpetrati dalle forze di sicurezza americane: sabotaggi, spionaggio, terrorismo, dirottamenti aerei, sanzioni commerciali, embargo e un'invasione vera e propria. L'obiettivo di questi attacchi era indebolire la Rivoluzione e restituire Cuba alla mercé del capitalismo globale.

La politica degli Usa nei confronti di Cuba è coerente con la più generale politica statunitense di sovvertire tutti quei paesi che cercano una via alternativa nell'uso della terra, del capitale, del lavoro, dei mercati e delle risorse naturali. Tutti i paesi o i movimenti politici che enfatizzano lo sviluppo, l'equo accesso ai servizi essenziali e la proprietà pubblica sono condannati come nemici e diventano il bersaglio di sanzioni e di altre forme di aggressione. Al contrario, i paesi "amici degli Usa" e "filo-occidentali" sono quelli che si mettono a disposizione dei grandi investitori americani, a condizioni totalmente favorevoli agli interessi delle multinazionali.

Naturalmente, questo non è ciò che i politici americani dicono alla popolazione nordamericana. Nel luglio del 1960, la Casa Bianca accusò Cuba di essere "ostile" agli Stati uniti (nonostante il governo cubano avesse più volte cercato di instaurare delle relazioni amichevoli). Il governo di Castro, nelle parole di Eisenhower, era "dominato dal comunismo internazionale". I funzionari statunitensi hanno più volte accusato il governo dell'isola di essere una dittatura brutale, sostenendo che gli Usa non avessero altra alternativa che "restituire" la libertà al popolo cubano.

I politici americani non hanno mai spiegato perché si siano così improvvisamente preoccupati della libertà dei cubani. Nei vent'anni antecedenti la rivoluzione, le amministrazioni di Washington non si sono mai opposte al regime autocratico e brutalmente repressivo del generale Fulgencio Batista. Al contrario, gli inviavano aiuti militari, facevano affari con lui, e lo trattavano bene in ogni senso. La differenza sostanziale tra Castro e Batista, mai espressamente menzionata, era che Batista aprì Cuba alla penetrazione dei capitali statunitensi. Al contrario, Castro e il suo movimento rivoluzionario tolsero alle aziende private il controllo dell'economia, nazionalizzarono le imprese statunitensi e rinnovarono la struttura di classe, cercando di renderla più egalitaria.

Inutile a dirsi, gli Usa hanno applicato anche ad altri paesi i maltrattamenti di cui è stata oggetto Cuba. Numerosi regimi, potenzialmente dissidenti, che hanno cercato di instaurare relazioni amichevoli con gli Usa, hanno ottenuto da Washington solo abusi e aggressioni: il Vietnam, il Chile di Salvador Allende, il Mozambico, l'Angola, la Cambogia, il Nicaragua sandinista, il Panama di Torrijo, Grenada (sotto il movimento New Jewel), la Yugoslavia di Milosevic, Haiti (con Aristide), il Venezuela di Hugo Chavez e molti altri.

Il modus operandi degli Usa è il seguente:

cominciano a criticare il governo preso di mira per aver messo in prigione i macellai, gli assassini, i terroristi e i torturatori del regime precedente, spalleggiato dagli Usa; bollano il governo rivoluzionario o riformista come "totalitario" per non aver immediatamente istituito un sistema elettorale di tipo occidentale; lanciano attacchi ad personam contro i leader, bollandoli come fanatici, brutali, repressivi, genocidi, assetati di potere o persino squilibrati mentali; accusano il paese di essere una minaccia alla stabilità e alla pace regionale; molestano, destabilizzano e impongono sanzioni per distruggerne l'economia; e attaccano con forze surrogante, addestrate, equipaggiate e finanziate dagli Stati uniti e comandate da membri del regime precedente, o addirittura con l'esercito regolare statunitense.

Un'opinione pubblica manipolata

Il modo in cui la stampa capitalista si è prestata alla crociata contro Cuba può aiutarci a capire perché il pubblico americano sia così disinformato circa le questioni che riguardano l'isola caraibica. Seguendo la linea ufficiale della Casa bianca, i media istituzionali negano regolarmente che gli Stati uniti abbiano ambizioni aggressive nei confronti di Cuba o di qualunque altro governo. L'atteggiamento nei confronti dell'isola, dicono, è semplicemente una difesa contro i piani di espansione del comunismo. Cuba è stata ripetutamente condannata quale strumento dell'aggressione e dell'espansionismo sovietico. Ma adesso che l'URSS non esiste più, Cuba è tratta ancora come un nemico mortale. Gli atti di aggressione statunitensi - inclusa l'invasione armata - continuano a essere magicamente trasformati in azioni difensive.

Prendiamo, per esempio, la Baia dei porci. Nell'aprile del 1961, circa 1600 emigrati cubani di destra, addestrati e finanziati dalla CIA, e assistiti da centinaia di "consiglieri" statunitensi, invasero Cuba. Nelle parole di uno dei loro leader, Manuel de Varona (citato nel New York Daily News dell'8 gennaio 1961), il loro obiettivo era rovesciare Castro e instaurare "un regime provvisorio" che "restituisse tutte le proprietà ai legittimi titolari". Le voci sull'invasione imminente si diffusero rapidamente in tutto il Centro America. Negli Stati uniti, tuttavia, pochi erano al corrente dei fatti. Le sempre maggiori prove sui piani di invasione vennero soppresse dalla Associated Press, da United Press International e dai principali giornali e settimanali - un'incredibile atto di auto-censura.

L'accusa mossa da Fidel Castro, che i governanti statunitensi avevano in programma di invadere Cuba, venne liquidata come "pura... propaganda antiamericana" dal New York Times e come "un piccolo melodramma di pessimo gusto" dalla rivista Time. Quando Washington ruppe le relazioni diplomatiche con l'isola nel gennaio 1961, il New York Times spiegò: "ad aver logorato la pazienza degli Stati uniti è stata una nuova propaganda offensiva de L'Avana, che ha accusato gli Stati uniti di pianificare 'un'invasione imminente' di Cuba". In realtà, l'invasione della Baia dei porci si rivelò essere ben più che un semplice frutto dell'immaginazione di Fidel Castro.

Tale è il predominio dell'ortodossia anti-comunista nella vita pubblica statunitense che, dopo la Baia dei porci, non vi fu alcuna discussione critica fra i politici americani e i media circa l'inappropriatezza morale e legale dell'invasione. Al contrario, i commenti si occuparono solo questioni tattiche. Vi furono vari riferimenti al "fiasco" e al "tentativo disastroso" e alla necessità di liberare Cuba dal "giogo comunista". Non si ammise mai che l'invasione fallì non a causa "dell'insufficiente copertura aerea", come sostenevano alcuni degli invasori, ma perché il popolo cubano, anziché sollevarsi al seguito delle forze contro-rivoluzionarie, come speravano i leader americani, serrarono i ranghi a difesa della loro Rivoluzione.

Tra gli esiliati cubani presi prigionieri vicino la Baia dei porci (secondo il governo cubano) c'erano persone le cui famiglie, nel complesso, avevano posseduto a Cuba più di 900 mila acri di terra, 9.666 case, 70 fabbriche, 5 miniere, 2 banche e 10 zuccherifici. Erano i discendenti della classe proprietaria privilegiata della Cuba pre-rivoluzionaria, che tornavano per reclamare le loro ingenti proprietà. Ma i media statunitensi li presentarono come strenui difensori della libertà - che avevano vissuto comodamente e senza protestare troppo sotto il regime di Batista.

Perché mai il popolo Cubano avrebbe dovuto sopportare "la dittatura di Castro"? Questa cosa negli Usa non è mai stata spiegata. La stampa statunitense non ha mai speso una parola sui progressi fatti dai cubani dopo la Rivoluzione, sui milioni di cubani che per la prima volta avevano accesso all'istruzione, alle cure mediche, a una casa decente, a un lavoro ben pagato e a buone condizioni lavorative, e una serie di altri servizi pubblici - sicuramente ben lontani dall'essere perfetti, pur offrendo sicuramente una vita migliore delle miserie causate dal libero mercato e dal regime di Batista e degli Usa.

A causa dell'embargo statunitense, Cuba ha il più alto costo per tonnellata di import-export al mondo; deve infatti comprare i pulmini scolastici e le medicine dal Giappone e da altri paesi lontani. Un miglioramento delle relazioni con gli Stati uniti garantirebbe più commercio, tecnologie, turismo e la possibilità di ridurre le spese militari. Eppure, i tentativi fatti da L'Avana per instaurare relazioni amichevoli sono stati respinti da tutte le amministrazioni di Washington.

Se il governo americano giustifica la propria ostilità dicendo che Cuba è a sua volta ostile nei confronti degli Usa, quale giustificazione può addurre quando il governo cubano cerca di essere amichevole? La risposta è cercare di enfatizzare gli aspetti negativi. Anche quando parlano dei cordiali tentativi di apertura da parte di Cuba, i media e i politici statunitensi continuano a insistere sullo stereotipo di un sinistro "regime marxista" manipolatore e aggressivo. Il 1 agosto 1984, il New York Times pubblicò un'analisi intitolata "What's Behind Castro's Softer Tone" (Cosa si nasconde dietro i toni gentili di Castro). Il titolo stesso suggeriva che Castro stesse tramando qualcosa. La frase di apertura diceva: "Ancora una volta Fidel Castro parla come se volesse migliorare le relazioni con gli Stati uniti" ("come se", non perché di fatto lo volesse). Secondo il NYT, Castro voleva "approfittare" del commercio, della tecnologia e del turismo statunitense, perché "avrebbe preferito non dover spendere tanto tempo ed energie sulla difesa nazionale". Eppure, si trattava di basi promettenti per un miglioramento delle relazioni fra i due paesi. Fidel Castro stava dicendo l'interesse nazionale cubano risiedeva nel migliorare le relazioni economiche e diplomatiche con Washington e non, come sostenevano gli Stati uniti, nell'escalation militare e in scontri aggressivi. Nonostante tutto, l'analisi del NYT non diede alcuna importanza alle intenzioni di Fidel, presentando invece il resto della storia dal punto di vista del governo statunitense. Per esempio, sottolineò come i funzionari di Washington "sembrano scettici... l'amministrazione continua a credere che il modo migliore di trattare con il leader cubano sia con fermezza incrollabile... I funzionari dell'amministrazione non vedono alcun vantaggio nel cedere...".

L'articolo non spiegava cosa giustificasse questo atteggiamento "scettico", né perché una risposta negativa a Castro su tutta linea dovesse essere descritta come "fermezza incrollabile" invece di, diciamo, "inflessibilità incrollabile". Né diceva perché prendere seriamente in considerazione le proposte del leader cubano significasse "cedere". L'impressione che dava l'articolo era che Fidel Castro, affamato di potere, stesse cercando di ottenere qualcosa da noi, e che i nostri leader non erano certo pronti a farsi ingannare. Non c'era alcuna spiegazione di cosa avrebbero perso gli Stati uniti se avessero instaurato delle relazioni amichevoli con Cuba.

In breve, l'atteggiamento degli Usa è immune a qualunque prova. Se i Cubani condannano l'aggressione statunitense, questo dimostra la loro ostilità e i loro piani diabolici. Se si comportano in modo amichevole e cercano di negoziare un accordo, mostrandosi disponibili a fare concessioni, allora si assume che stiano tramando qualcosa, ricorrendo a ogni sorta di inganno e manipolazione. La posizione degli Usa non è smentibile: A e non-A sono la prova della stessa cosa.

Democrazia a due pesi e due misure

I politici statunitensi hanno sempre condannato Cuba per il controllo sulla stampa. I cubani, ci dicono, sono vittime di un indottrinamento totalitario e non possono godere della diversità di opinioni che si troverebbero sui media statunitensi "liberi e indipendenti". In realtà, il cubano medio ha più accesso a fonti di notizie occidentali di quanto l'americano medio non abbia a fonti cubane. Lo stesso avveniva nell'ex Unione sovietica. Nel 1985, il Mikhail Gorbachev fece notare come programmi televisivi, film, libri, musica e riviste statunitensi fossero relativamente diffusi nell'URSS, rispetto alla quasi totale assenza di film e pubblicazioni sovietiche negli Usa. Offrì di smettere di censurare le trasmissioni di Voice of America nel suo paese, se Washington avesse permesso a Radio Mosca di trasmettere normalmente negli Usa. Il governo americano declinò l'offerta.

Allo stesso modo, Cuba è bombardata da trasmissioni statunitensi, inclusi Voice of America, programmi in lingua spagnola trasmessi da Miami, e una stazione radio di propaganda americana chiamata "Radio Martì". L'Avana ha chiesto agli Usa di concedere a Cuba una frequenza per trasmettere i propri programmi negli Stati uniti, ma Washington si è rifiutato di farlo. Rispondendo a coloro che denunciano la mancanza di dissenso nei media cubani, Fidel Castro ha promesso di aprire la stampa cubana a tutti gli oppositori della Rivoluzione il giorno in cui i comunisti americani abbiano libero accesso ai principali media americani. Inutile dire che Washington non ha accettato l'offerta.

Cuba è stata anche condannata per non permettere alla sua gente di lasciare il paese. Il fatto che così tante persone vogliano lasciare Cuba viene addotto come prova del fatto che il socialismo cubano sia un sistema fortemente repressivo, anziché del fatto che l'embargo statunitense abbia reso la vita difficile ai cubani. Che milioni di persone vogliano abbandonare paesi capitalisti come Messico, Nigeria, Polonia, El Salvador, Filippine, Corea del Sud, Macedonia e moltissimi altri non viene mai usato per mettere in discussione il sistema di libero mercato, che causa tanta miseria ai paesi del Terzo mondo.

In base a un accordo tra L'Avana e Washington, il governo cubano ha consentito ai cubani di partire per gli Usa purché disponessero di un visto statunitense. Washington aveva promesso di concedere 20 mila visti l'anno, ma non l'ha fatto, preferendo invece incitare le partenze illegali, che hanno un maggior valore di propaganda. I cubani che fuggivano illegalmente su piccole imbarcazioni o con mezzi sequestrati venivano accolti come eroi che rischiavano la vita per sfuggire alla tirannia di Castro, ottenendo diritto di asilo negli Usa. Quando L'Avana ha annunciato che avrebbe permesso a chiunque di partire, l'amministrazione di Clinton tornò a chiudere le frontiere, temendo un'ondata migratoria. Adesso i politici temono che la fuga di troppi rifugiati politici possa aiutare Castro a restare al potere, riducendo le tensioni nella società cubana. Cuba viene condannata, sia quando permette ai suoi cittadini di andar via sia quando lo vieta.

In mancanza di una chiara prospettiva di classe, le opinioni degli esperti su Cuba sono basate sulle apparenze. Trovandomi a una riunione del World Affairs Council a San Francisco, ho sentito alcuni partecipanti raccontare come, ironicamente, Cuba sia tornata al punto in cui era prima della Rivoluzione. Nella Cuba pre-rivoluzionaria, i migliori hotel e negozi erano riservati agli stranieri e a quei pochi cubani che avessero dollari. Oggi è lo stesso, osservavano sogghignando gli esperti.

Questa conclusione ignora alcune differenze cruciali. Avendo un bisogno disperato di valuta forte, il governo rivoluzionario ha deciso di approfittare delle meravigliose spiagge e del clima soleggiato del paese per sviluppare l'industria del turismo. Oggi il turismo è una delle fonti principali di valuta forte per Cuba, se non la più importante. È vero, i turisti possono permettersi di alloggiare in hotel che la maggior parte dei cubani non possono neppure sognare. Ma nella Cuba pre-rivoluzionaria, i profitti del turismo finivano nelle tasche delle grandi imprese, dei generali, dei giocatori d'azzardo e dei gangster. Oggi i profitti sono divisi fra gli investitori stranieri, che costruiscono e gestiscono gli hotel, e il governo cubano. La quota spettante al governo serve a pagare gli ospedali, l'istruzione, i macchinari, l'importazione di petrolio, e così via. In altre parole, il popolo cubano si appropria di molti dei benefici del turismo - così come di quelli delle esportazioni di zucchero, caffè, tabacco, rum, pesce, miele, nichel e marmo.

Se Cuba fosse nelle condizioni in cui si trovava prima della Rivoluzione, completamente asservita allo stato americano, Washington avrebbe già terminato l'embargo e abbracciato L'Avana, come ha già fatto in una certa misura con la Cina e il Vietnam, che stanno incoraggiando la crescita dell'investimento privato nei settori a bassi salari. Quando il governo cubano smetterà di usare il settore pubblico per redistribuire una parte del proprio surplus alla popolazione, quando permetterà a poche imprese di intascare tutta la ricchezza, e quando restituirà le fabbriche e le terre a una ricca classe di proprietari - come hanno fatto gli ex paesi comunisti dell'Europa dell'Est - allora sì che tornerà indietro ai tempi precedenti la Rivoluzione, ritrovandosi ancora una volta schiava delle privatizzazioni e del libero mercato. Solo allora verrà accolta a braccia aperte da Washington.

Nel 1994, ho scritto una lettera al deputato Lee Hamilton, presidente del Foreign Affairs Commitee della Camera dei rappresentanti, chiedendo con urgenza una normalizzazione dei rapporti con Cuba. Hamilton rispose dicendo che la politica statunitense nei confronti di Cuba doveva essere "aggiornata" in modo da essere più efficace, e che gli Stati uniti "avrebbero dovuto far entrare Cuba in contatto con le idee e la pratica della democrazia... e con i benefici economici di un sistema di libero mercato". L'embargo, continuava Hamilton, era stato imposto per "promuovere un cambiamento democratico a Cuba e in risposta alla confisca, su larga scala, delle proprietà americane da parte del regime di Castro".

Inutile a dirsi, Hamilton non spiegò perché il suo governo - che aveva appoggiato per generazioni la dittatura pre-rivoluzionaria - insistesse adesso per instaurare sull'isola una democrazia in stile americano. La sua lettera era però rivelatoria; in essa, Hamilton riconosceva che la politica di Washington mirava a portare avanti la causa del "sistema di libero mercato" e a vendicare "la confisca, su larga scala, delle proprietà americane".

Chi non crede che i politici statunitensi siano impegnati a propagare il capitalismo dovrebbe notare come, in realtà, spingano espressamente per "riforme orientare al mercato" in un paese dopo l'altro (inclusi, oggi, la Serbia e l'Iraq). Non è più necessario accusare loro di avere queste intenzioni. Quasi tutte le loro azioni e, sempre più frequentemente, le loro parole sono una dimostrazione evidente di quello che stanno facendo. Se costretti a scegliere fra una democrazia senza capitalismo, o un capitalismo senza democrazia, i politici americani prediligono senza esitare il secondo, pur preferendo anche darsi, dove possibile, una parvenza di legittimità, attraverso una "democrazia" controllata e ben limitata.

Tutto questo dovrebbe ricordarci che i maggiori nemici della pace e della democrazia non sono a L'Avana, ma a Washington.

 

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