Non importa 
  quale ritratto. Uno qualunque: serio, sorridendo, con l’arma in mano, con 
  Fidel o senza Fidel, proclamando un discorso nelle Nazioni Unite, o morto, col 
  petto nudo e gli occhi socchiusi, come se dell'altro lato della vita volesse 
  ancora accompagnare la traccia del mondo che ha dovuto lasciare, come se non 
  si rassegnasse ad ignorare per sempre i cammini delle infinite creature che 
  stavano per nascere. Su ognuna di queste immagini si potrebbe riflettere 
  profusamente, in un modo lirico o in un modo drammatico, con l'obiettività 
  prosaica dello storiografo o semplicemente come chi si dispone a parlare 
  dell'amico che scopre di avere perso perché non è mai riuscito a 
  conoscerlo...  
  In un 
  Portogallo infelice ed imbavagliato da Salazar e da Caetano arrivò un giorno 
  il ritratto clandestino di Ernesto Che Guevara, il più celebre di tutti, 
  quello fatto con macchie forti di nero e rosso, che si convertì nell'immagine 
  universale dei sogni rivoluzionari del mondo, promessa di vittorie così 
  fertili che non dovrebbero degenerare mai nella routine né in scetticismi, ma 
  prima dare luogo ad altri molti trionfi, quello del bene sul male, quello 
  della giustizia sull’iniquità, quello della libertà sulla necessità. 
  Incorniciato o fissato alla parete con mezzi precari, quel ritratto fu 
  presente in dibattiti politici appassionati in terra portoghese, esaltò le 
  argomentazioni, attenuò gli scoraggiamenti, cullò le speranze. Fu visto come 
  un Cristo che sarebbe disceso dalla croce per togliere dalla stessa croce 
  l'umanità, come un essere dotato di poteri assoluti che fosse capace di 
  estrarre da una pietra l'acqua con cui si avrebbe ammazzato tutta la sete, e 
  di trasformare quella stessa acqua nel vino con cui si berrebbe lo splendore 
  della vita. E tutto questo era certo perché il ritratto del Che Guevara fu, 
  agli occhi di milioni di persone, il ritratto della dignità suprema 
  dell'essere umano.  
  Ma fu anche 
  usato come decorazione incongruente in molte case della piccola e della media 
  borghesia intellettuale portoghese, i cui integranti consideravano le 
  ideologie politiche di affermazione socialista come un mero capriccio 
  congiunturale, forma suppostamente rischiosa di occupare ozi mentali, 
  frivolezza mondana che non ha potuto resistere al primo scontro con la realtà, 
  quando i fatti vennero ad esigere il compimento delle parole. Allora, il 
  ritratto del Che Guevara, attestazione, in primo luogo, di tanti infiammati 
  annunci di compromesso e di azione futura, giudice, ora, della paura coperta, 
  della rinuncia vigliacca o del tradimento aperto, fu tolto dalle pareti, 
  nascosto, nella migliore ipotesi, in fondo ad un armadio, o radicalmente 
  distrutto, come si vuole fare con qualcosa che fosse stato un motivo di 
  vergogna.  
  Una delle 
  lezioni politiche più istruttive, nei tempi di oggi, sarebbe sapere quello che 
  pensano di se stessi quelle migliaia e migliaia di uomini e donne che ebbero 
  un giorno il ritratto del Che Guevara sulla testata del letto, in tutto il 
  mondo, o di fronte al tavolo da lavoro, o nella sala dove ricevevano gli 
  amici, e che ora sorridono per avere creduto o aver finto di credere. Alcuni 
  direbbero che la vita cambiò, che Che Guevara, perdendo la sua guerra, ci fece 
  perdere la nostra, e pertanto era inutile mettersi a piangere, come un bambino 
  a cui è stato rovesciato il latte. Altri confesserebbero che si sono lasciati 
  avvolgere da una moda del tempo, la stessa che ha fatto crescere le barbe ed 
  allungare le chiome, come se la rivoluzione fosse una questione tra 
  parrucchieri. I più onesti riconoscerebbero che il cuore gli fa male, che 
  sentono in lui il movimento perpetuo di un rimorso, come se la loro vera vita 
  avesse sospeso il suo corso ed ora chiedesse a loro, ossessivamente, dove 
  pensano di andare senza ideali né speranze, senza un'idea di futuro che dia 
  qualche senso al presente.  
  Che Guevara, 
  se così si può dire, esisteva già prima di essere nato, Che Guevara, se così 
  si può affermare, continuò esistendo dopo essere morto. Perché Che Guevara è 
  solo l'altro nome di quello che c'è di più giusto e degno nello spirito umano. 
  Quello che tante volte vive assopito dentro di noi. Quello che dobbiamo 
  svegliare per conoscere e conosciamo, per aggregare il passo umile di uno solo 
  a quello di tutti.