CULTURA CUBANA

El rincón de la poesía

Siamo entusiasti di aprire una nuova collaborazione che speriamo sia ben accolta da tutti i nostri visitatori. Diamo il benvenuto a Yuleisy Cruz Lezcano  poetessa, scrittrice e professionista della salute originaria di Cuba. Laureata in Scienze Biologiche e successivamente in Scienze Infermieristiche e Ostetriche presso l’Università di Bologna, ha unito la formazione scientifica a una profonda vocazione umanistica. Attualmente frequenta un master universitario di secondo livello in Gestione della violenza in ambito sociale, sanitario ed educativo, tema su cui è attivamente impegnata anche attraverso un progetto educativo itinerante che promuove la sensibilizzazione contro la violenza sulle donne.

Autrice prolifica, ha pubblicato 18 libri, alcuni dei quali in edizione bilingue (italiano/spagnolo e spagnolo/portoghese), ricevendo premi e riconoscimenti in numerosi concorsi letterari nazionali e internazionali. Il suo ultimo libro, "Di un’altra voce sarà la paura" (Leonida Edizioni, 2024), è stato candidato al Premio Strega, selezionato per il Salone Internazionale del Libro di Torino 2024 e presentato in numerosi contesti prestigiosi: dalla Televisione di Stato della Repubblica di San Marino a Tele Granducato della Toscana, dall’ambasciata cubana a Roma al Festival Libri nel Borgo Antico di Bisceglie, fino alla trasmissione Street Talk di Andrea Villani, in onda su 22 reti televisive italiane. Il libro è diventato anche lo strumento centrale di un percorso itinerante di educazione e sensibilizzazione, presentato in scuole, comuni e associazioni in tutta Italia.

Nel 2024 è stata selezionata per partecipare al Festival Letterario di Venezia “La Palabra en el Mundo”, confermando la sua centralità nella scena poetica internazionale. Nello stesso anno ha ottenuto il Gran Premio della Giuria al Premio Internazionale “Il Meleto di Guido Gozzano” e il Premio Ginevra al Switzerland Literary Prize con il libro bilingue Doble acento para un naufragio, pubblicato da Edicões Fantasma in Portogallo. È stata inoltre giurata del Premio Internazionale La Estación del arte (Madrid) e selezionata dal progetto Latilma, in collaborazione con l’Università di Roma.

Nel 2023, oltre a numerose partecipazioni a festival e convegni (tra cui Poesia e migrazione a Padova e il Festival Sudamericana a San Ginesio), ha ricevuto la menzione di merito al Premio Nosside e il Gran Premio della Giuria al Premio Ossi di Seppia. Ha curato performance poetico-teatrali come "Intrecci: la fatica e il canto" presso il Museo Nazionale della Paglia a Signa, e ha partecipato a mostre poetico-pittoriche e a festival internazionali in Messico, Tunisia e Spagna.

Traduttrice letteraria dal e verso lo spagnolo, si dedica alla diffusione della poesia italiana in Spagna e Sudamerica e viceversa, attraverso collaborazioni con riviste, blog e progetti editoriali. È redattrice del giornale letterario del Premio Nabokov e del blog Alessandria Today, nonché giurata in vari premi letterari, tra cui Nabokov, Napoli Cultural Classic e Artebellariva.

Le sue poesie sono state tradotte in francese, inglese, spagnolo, portoghese e albanese, e pubblicate in numerose riviste letterarie internazionali. È membro d’onore del Festival della Poesia di Tozeur (Tunisia) e ha rappresentato Cuba in festival di poesia a livello europeo e latinoamericano, tra cui Veracruz ciudad de los poetas.


 

Principali pubblicazioni:

  • Di un’altra voce sarà la paura, Leonida Edizioni, 2024

  • Doble acento para un naufragio (bilingue spagnolo/portoghese), Edições Fantasma, 2023

  • L’infanzia dell’erba, Melville Edizioni, 2021

  • Demamah: il signore del deserto (bilingue italiano/spagnolo), Monetti Editore, 2019

  • Inventario delle cose perdute, Leonida Edizioni, 2018

  • Fotogrammi di confine, Laura Capone Editore, 2017

  • Soffio di anime erranti, Prospettiva Editrice, 2017

  • Credibili incertezze, Leonida Edizioni, 2016

  • Due amanti noi, FusibiliaLibri, 2015

  • Tracce di semi sonori con i colori della vita, Centro Studi Tindari Patti, 2014

  • Pensieri trasognati per un sogno, Centro Studi Tindari Patti, 2013
    (e molte altre opere pubblicate dal 2013 ad oggi)

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Inoltre Yuleisy Cruz Lezcano é disponibile per progetti culturali. Al momento propone il seguente:

Titolo del Progetto:

Di un’altra voce sarà la paura – Poesia, denuncia e rinascita”

Durata evento: 1 ora e 30 minuti
Format: Presentazione + dibattito partecipato
Luogo: Sede dell’associazione

Descrizione del Progetto

Il progetto nasce con l’obiettivo di unire cultura, poesia e riflessione sociale attraverso la presentazione del libro “Di un’altra voce sarà la paura” di Yuleisy Cruz Lezcano. L’opera affronta con sensibilità e potenza lirica il tema della violenza di genere, toccando le corde più profonde dell’emozione e della coscienza civile. Si affronteranno tematiche cruciali legate alla violenza contro le donne, alla distorsione dei valori sociali, all’importanza della denuncia e alla necessità di un lavoro sinergico tra i servizi territoriali. Il progetto intende dare voce alle fragilità umane e stimolare un dibattito attivo, collettivo e consapevole sul fenomeno della violenza di genere e le sue ramificazioni sociali, psicologiche e culturali.

Obiettivi generali

Sensibilizzare il pubblico sul tema della violenza di genere attraverso la poesia e il dibattito.
Promuovere la cultura della denuncia e dell’ascolto.
Analizzare i fattori sociali, culturali e psicologici connessi alla violenza.
Riflettere sui modelli relazionali sani e sull’importanza dell’educazione affettiva.
Favorire un confronto aperto.
Sottolineare il ruolo della comunicazione e dei media nel contrasto alla violenza.
Proporre la creazione di un osservatorio territoriale permanente.

 

Obiettivi Specifici

Presentare il libro come strumento artistico e sociale di denuncia.
Introdurre una riflessione condivisa su dipendenze emotive, traumi e rinascita.
Esaminare i modelli sociali e culturali che alimentano la violenza.
Promuovere l’importanza della denuncia e del lavoro in rete dei servizi.
Offrire uno spazio libero per interventi, pensieri e proposte del pubblico.

per eventuali ulteriori informazioni e dettagli potete inoltrare una mail a: associazione@siporcuba.it

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RIME DI TERRA E NOSTALGIA

(Di Yuleisy Cruz Lezcano)

Quando penso alla mia infanzia a Santa Clara, Cuba, è impossibile non ricordare il calore di quelle sere di domenica davanti al televisore russo in bianco e nero, il solo che avevamo in casa. Erano le sette di sera, l’ora sacra in cui iniziava Palmas y cañas, quel programma televisivo che più di ogni altra cosa, incarnava l’anima vera della nostra Cuba contadina. Seduta sulle ginocchia di mio padre o davanti a lui, nella sedia a dondolo, aspettavo con ansia quel momento magico. Le risate che scaturivano dalle battute argute, dai rimbecchi in rima tra Justo Vega e Adolfo Alfonso, erano musica per le mie orecchie. Cercavamo di imitarli, mio padre, mio fratello ed io, provando a costruire rime improvvisate con la stessa ironia e grazia. Era un rito che ci univa, un gioco di parole che profumava di casa, di radici profonde. Non tutti avevano la televisione; per questo lasciavamo le persiane spalancate, e la luce del piccolo schermo si spargeva nella strada, attirando gli sguardi di vicini e bambini che entravano senza invito. La nostra casa si riempiva di voci, di sorrisi, di occhi curiosi che si posavano sullo schermo, condividendo quel momento semplice ma potentissimo. Palmas y cañas non era solo un programma: era la voce di un’intera cultura che si faceva spettacolo, festa, resistenza.

Le decima, quelle strofe di dieci versi scandite con ritmo e precisione, erano l’essenza del “guateque”. Non erano solo poesie, ma veri duelli poetici, ricchi di ironia, di dolore e di memoria. La controversia tra Justo e Adolfo durò più di vent’anni e rappresentava la quintessenza della nostra tradizione orale. Quelle battute, quei versi, sapevano far ridere ma anche far riflettere sul mondo duro che circondava i campesinos. Mio padre spesso sorrideva scuotendo la testa, e io, bambina, sentivo dentro quel ritmo, quell’energia nuova, quella voce che veniva dal popolo e che a quel popolo doveva tornare. La scena si animava poi di balli che sembravano prendere vita dalle immagini in bianco e nero. Vedevo le donne vestite di bianco, con abiti lunghi e leggeri, quasi una nuvola che danzava, un foulard colorato stretto in vita, un dettaglio di colore che rischiarava il candore del tessuto. Gli uomini con il sombrero calato in testa, camicie di lino e pantaloni chiari, muovevano i piedi con passo deciso nel ritmo sincopato del “zapateo”, del “papalote”, del “gavilán”. Quei balli raccontavano la terra, la fatica, la gioia semplice della vita campesina, e io guardavo sognando di poterli un giorno danzare. Palmas y cañas era molto più di uno spettacolo televisivo: era un presidio culturale. Il programma, nato nel 1962 per promuovere le espressioni autentiche del mondo rurale cubano, aveva saputo mantenere viva la nostra cubania anche nei tempi più difficili. Era la casa del punto “guajiro” (contadino), delle controversie poetiche, della musica “ranchera”, delle “tonadas”, della “guaracha” e del “son”. Era il luogo dove si celebrava la bellezza e la forza della nostra gente, la sua saggezza, la sua ironia, la sua dignità.

Da tempo vivo in Italia, lontana dalla mia terra, ma porto con me il ricordo di quelle domeniche, di quella stanza piena di bambini, delle persiane aperte e della voce potente che dava il via al “guateque”: «¡Ramón, el guateeeeeque!». Ogni volta che scrivo, sento dentro l’eco di quelle parole, di quei versi improvvisati. La diaspora è fatta di nostalgia, di dolore, ma anche di forza. È portare con sé una cultura fatta di suoni, di storie e di passioni che non si spengono, ma diventano più vive nel ricordo. Perché Palmas y cañas, con la sua poesia popolare e i suoi balli, con la sua ironia e il suo amore per la terra, ha seminato in me un seme che continua a germogliare, ogni volta che scelgo una parola, ogni volta che cerco di restituire, attraverso la scrittura, quella bellezza e quella verità che ho imparato a casa, seduta sul davanzale della porta a Santa Clara, guardando le strade strette e ascoltando la voce di un popolo che non smetteva mai di cantare.

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DONNE OVER 58 ESCLUSE DAL LAVORO, LA TRAPPOLA DELL’ETÀ

Ogni giorno, in Italia, centinaia di donne tra i 58 e i 60 anni si svegliano con un peso sul petto: non sanno se riusciranno ad arrivare a fine mese. E non perché non abbiano lavorato. Hanno passato la vita nei reparti di fabbrica, negli uffici, nei servizi, nei negozi. Turni massacranti, straordinari non pagati, ferie saltate. Hanno cresciuto figli, curato genitori, fatto quadrare i conti. E dopo quasi quarant’anni di lavoro, quando la pensione sembrava vicina, ecco il colpo di scena: l’azienda fallisce, chiude o viene venduta a una multinazionale che taglia il personale. Queste donne, spesso tra i 58 e i 60 anni, sono a un passo dalla pensione. Ma in molti casi manca ancora uno o due anni di contributi. E mentre lo Stato chiede 30.000 o anche 35.000 euro per riscattare questi ultimi anni, il mercato del lavoro le considera “non ricollocabili”, “troppo vecchie”, “poco produttive”. Una doppia esclusione: niente lavoro, niente pensione.

A quell’età, nessuno assume. Non perché manchi la voglia o le competenze, ma perché il sistema è costruito per espellere chi ha superato i 55 anni. Gli annunci di lavoro raramente includono persone over 50, figuriamoci over 58. I centri per l’impiego propongono corsi generici, spesso inutili. Le aziende preferiscono giovani senza esperienza ma con contratti precari e flessibili. Molte di queste donne finiscono così in un limbo drammatico: troppo giovani per la pensione, troppo anziane per lavorare. E allora, per sopravvivere, si arrangiano. Lavori in nero, qualche ora di pulizie pagata 5 euro all’ora, assistenza a persone anziane senza contratto, servizi saltuari, sottopagati e senza alcuna tutela. Un mercato sommerso che le espone allo sfruttamento, all’instabilità, all’umiliazione. Una vita in apnea, fatta di ansie e conti che non tornano.

Anche chi riesce ad andare in pensione, lo fa con assegni di 800 o 900 euro al mese. Cifre che non permettono una vita dignitosa, specialmente in un Paese dove l'inflazione ha colpito duramente beni di prima necessità, energia, affitti. Il paradosso è evidente: chi ha lavorato una vita finisce in povertà. Non per mancanza di impegno, ma per le ingiustizie di un sistema che non protegge nei momenti cruciali. Questa non è solo una questione previdenziale. È una ferita sociale, economica, culturale. È una disuguaglianza profonda, che colpisce soprattutto le donne. Donne che magari hanno interrotto la carriera per prendersi cura della famiglia, e che oggi pagano un doppio prezzo: meno contributi e meno possibilità di reinserimento.

A questo punto la denuncia non basta, bisogna rilanciare idee e proposte concrete per invertire la rotta

Contrastare questo fenomeno non è solo possibile, è doveroso. Serve una svolta decisa nelle politiche del lavoro, del welfare e della previdenza. Ecco alcune proposte concrete: Lo Stato potrebbe istituire un fondo pubblico per coprire i contributi mancanti a chi è vicino alla pensione ma ha perso il lavoro per cause indipendenti dalla propria volontà. Un meccanismo simile esiste già per gli anni di laurea (riscatto agevolato), ma va esteso e adattato alle situazioni di fragilità reale. Oppure si potrebbe inserire il pensionamento anticipato per le lavoratrici ultra 58enni disoccupate, infatti, è necessario reintrodurre o rafforzare strumenti simili a “Opzione Donna”, rendendoli realmente accessibili e senza penalizzazioni eccessive. È giusto permettere a chi ha lavorato 38 o 39 anni e ha perso il lavoro a un passo dalla pensione di andare in quiescenza con dignità. Un altro strumento possibile per una maggiore giustizia sociale sono gli incentivi forti all’assunzione delle lavoratrici over 55, accompagnati magari da detrazioni fiscali, decontribuzioni, sgravi per chi assume donne ultra 55enni. Questa alternativa si propone come un modo per rendere più competitivo il loro impiego rispetto ai contratti precari. Ma serve anche una campagna culturale per combattere i pregiudizi sull’età. Le formule possono essere varie per esempio si potrebbe introdurre una forma di sussidio, simile a un reddito di transizione, per coprire il periodo tra la perdita del lavoro e l’accesso alla pensione. Questa misura eviterebbe il ricorso al lavoro nero e garantirebbe dignità e sicurezza.

Credo, sinceramente, che per affrontare il problema dell’invisibilità di queste ex- lavoratrici occorra una battaglia di civiltà. Sono convinta che questo non è solo un problema delle donne over 58. È un problema di tutti. Perché una società che lascia indietro le sue lavoratrici più esperte e fedeli è una società che non rispetta sé stessa. Il rischio, se non si interviene, è di avere nei prossimi anni un esercito di nuove povere: donne sole, escluse, invisibili. Serve un cambio di rotta politico, ma anche culturale. Dobbiamo imparare a valorizzare l’esperienza, a combattere la discriminazione anagrafica, a proteggere chi ha lavorato tutta la vita. Dobbiamo ridare dignità e voce a queste donne, e riconoscere il loro diritto a un futuro sicuro.


 

 

 

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