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                          Che sinistromedia del 
                          piffero ! (indovinare 
                          chi è il pifferaio)
                          
                          
                          NE AMMAZZA PIU’ 
                          LA SPOCCHIA CHE L’ETA’ 
                          Il 
                          collateralismo inconsapevole – e incosciente – delle 
                          dame de “il manifesto”
                              
                          14/01/2007v 
                            
                          Io sono nato in un dolce 
                          paese                    Sono lettore di un rosso 
                          giornale
                          
                          Dove chi sbaglia non 
                          paga le spese            che un dì nel brodo metteva 
                          del sale 
                          
                          Dove chi grida più 
                          forte ha ragione           ora arsenico e vecchi 
                          merletti 
                          
                          Tanto c’è il sole e 
                          il mare blù                     spengono il rosso e il 
                          tempo che fu. 
                          (Sergio Endrigo) 
                          
                            
                          
                          O, cara stampa di 
                          sinistra! 
                          E pensare che quanto, 
                          nel 1971, firmai per la prima volta sul “manifesto” le 
                          mie corrispondenze da una guerra allora ancora 
                          grandemente ignota, quella di liberazione dell’Eritrea 
                          e quella di secessione filovaticana e filoisraeliana 
                          del Sud Sudan (stessa zuppa oggi nel Darfur, con 
                          aggiunta di colonialisti francesi, tedeschi e 
                          statunitensi), scoppiavo di contentezza. Avevo alle 
                          spalle un giornale del PCI, “Paese Sera” che, 
                          coerentemente con quella Yalta che Togliatti incise a 
                          lettere indelebili nel DNA del partito, si era seccato 
                          delle mie cronache sul grande movimento che, scaturito 
                          dal ’68, andava mettendo in crisi le “compatibilità” 
                          sistemiche perseguite dal suo editore di riferimento. 
                          Quanto a me, mi era divenuta intollerabile la 
                          funzione, collaborazionista fino alla delazione con 
                          gli sgherri della controrivoluzione 
                          democristoamerikana, che quel partito si era dato in 
                          ideale continuità con l’amnistia, con la rassegnazione 
                          sui brogli del’48, il recupero dell’amministrazione 
                          statale fascista, con la mordacchia al popolo in 
                          occasione dell’attentato a Togliatti. Fallimenti che 
                          tuttora paghiamo, sempre più caro. Del resto dove 
                          quella generazione politica è finita e cosa abbia 
                          figliato ci viene rammentano giornalmente i 
                          Fassinodalemabersanipetruccioliferrarabondi e, con 
                          fastidiosa periodicità, gli 
                          ingraorossandaparlatosgrenafortilettera22. 
                            
                          Dunque, mi ero buttato 
                          alle spalle quello che pur rimane nella storia uno dei 
                          migliori giornali italiani, a dispetto del vertice 
                          PCI, e, rimesso in spalla il vecchio fagotto, avevo 
                          detto addio alla testata (allora diretta da Giorgio 
                          Cingoli, poi craxista) e ripreso ad andar per guerre e 
                          rivoluzioni, sempre per le lande che mi avevano 
                          ospitato al battesimo del fuoco, la Guerra dei Sei 
                          Giorni. Lasciai “Paese Sera” e quelli si vendicarono. 
                          Una vendetta freddissima, addirittura preventiva: in 
                          sei anni di lavoro mi avevano pagato i contributi per 
                          appena otto settimane.  Gli epigoni ancora in vita 
                          possono trarre soddisfazione dal fatto che quella 
                          gestione “comunista” del lavoratore mi ha lasciato al 
                          minimo della pensione. Ma che fa. 
                          Però è vera quella cosa 
                          dei corsi e ricorsi. Non m’è capitato quasi lo stesso 
                          con “Liberazione”? Giornale che più comunista non si 
                          può, con un  direttore, Sandro Curzi, che, più 
                          compagno di lui si muore. Direttore che, appeso al 
                          filo di Bertisconi, mi licenziò in tronco, senza 
                          neanche la letterina di prammatica “Grazie per il 
                          lavoro svolto, ma circostanze di ristrutturazione 
                          redazionale ci costringono, bla, bla, bla…”, senza gli 
                          otto giorni, senza l’art.18, figurarsi, senza 
                          buonuscita, solo per aver scritto che a Cuba i 
                          dissidenti condannati erano mercenari degli Usa  con 
                          piani terroristici (cosa poi provata e da nessuno 
                          messa in dicusssione, ma in controtendenza con la 
                          marcia di avvicinamento del Bertisconi allo scranno 
                          d’oro. Qui fui io a gustarmi una vendetta, questa però 
                          calda calda, come si conviene ai giusti: una sonora 
                          condanna di “Liberazione” da un equo magistrato del 
                          Tribunale Civile di Roma. Quasi comico l’ulteriore 
                          corso e ricorso, quello della cacciata da Radio Città 
                          Aperta, l’emittente vernacolare di Roma, allorché 
                          questi  post-autonomi, più rivoluzionari dei fedayin, 
                          si accorsero che costituivo una mela marcia nel 
                          paniere di pomi d’oro che si apprestavano ad offrire 
                          al più bello, bravo, efficiente, hollywoodiano, 
                          filopalestinese, antimperialista, antagonista, sindaco 
                          d’Italia, Veltroni, portandogli in dotazione 
                          elettorale (06%) le armate del “movimento”. 
                            
                          
                          Spocchia fessa e 
                          spocchia intelligente 
                          Potrebbe sembrare che me 
                          la tiri da vittima , ma dovreste vedere con che ghigno 
                          di allegra desolazione batto questi tasti in faccia al 
                          “manifesto” Tutto sommato i ricordi che a volte 
                          risalgono dal pozzo mi confortano di una sola, 
                          semplice cosa: che non è detto che invecchiando si 
                          incitrullisce. Ed è altrettanto vero che chi se la 
                          tira ha il 100% di possibilità in più, se il tempo che 
                          passa si accompagna a tale atteggiamento, di 
                          invecchiare coglione. Di spocchia, saccenteria, 
                          arroganza, supponenza, alterigia, iattanza, superbia, 
                          protervia, altezzosità… (l’italiano, dato il carattere 
                          della sua razza padrona, ne ha a profusione di questi 
                          termini), ce ne sono essenzialmente due tipi: quello 
                          dei dotti e quello dei ciuci. Però entrambi conducono 
                          allo stesso esito: l’ottusità, con l’aggravante per la 
                          prima categoria dell’intelligenza offesa e dell’altrui 
                          fiducia tradita. Il burino incolto, il piccolo 
                          borghese imbozzolato nei suoi affanni di ascesa 
                          sociale, sotto copertura di ossimoriche mescolanze tra 
                          verbosità antagonistiche  e pratiche “realiste” (vedi 
                          il salto della quaglia dei rivoluzionari vernacolari 
                          in appoggio al sindaco romano della restaurazione),  
                          per quanto blateri supponenti sinistrismi, resta 
                          inesorabilmente intrappolato nel proprio opportunismo 
                          di classe. E più invecchia, più si esercita in lifting 
                          e apparizioni sul balconcino, e più  ne traspare la 
                          trama solipsista e autoreferenziale. La vicenda 
                          politica in atto non viene da lui minimamente 
                          modificata. Succede il contrario. E l’esito è da 
                          parrocchietta di paese, con quelle armate di beghine, 
                          polli e marpioni. 
                          Più gravida di 
                          conseguenze nefaste è l’intossicazione di presunzione 
                          e alterigia che affetta i dotti, specie quando il loro 
                          invecchiamento sinapsico corre in parallelo con 
                          l’attuale senescenza dei tempi. Tempi che tanto più 
                          decadono e si corrompono quanto più dall’arco 
                          anticostituzionale  Bertinotti - Berlusconi si 
                          proclamano nuovismi e innovazioni. Già, perché questi 
                          sapienti appartengono alla schiera di coloro che hanno 
                          fatto e continuano a fare opinione sul serio, opinione 
                          di massa. In tal modo assumono la responsabilità di 
                          interpretare e portare avanti le nostre istanze e di 
                          rispondere alle nostre domande. Se invecchiano male, 
                          nel senso che sempre meno ci offrono rappresentazioni 
                          veritiere e alternative e sempre più si accodano agli 
                          stereotipi del famigerato “senso comune” e, peggio, 
                          delle imposture del nemico di classe, difesi dallo 
                          scudo mistificante della propria reputazione 
                          intellettuale, allora il danno è grosso, il tradimento 
                          è pesante, lo smarrimento indotto è rovinoso. Il 
                          fenomeno, ahinoi, è di antica tradizione cattolica 
                          italica, in parte ha anche a che fare con la 
                          sostituzione, che si vorrebbe fisiologica, delle 
                          pantofole agli scarponi, ma nel presente di una vera e 
                          propria nemesi euripidea a precipizio verso la 
                          catastrofe, diventa collusione con i cavalieri 
                          dell’apocalisse. 
                            
                          
                          Dal battistrada Ingrao, 
                          agli emuli del “manifesto” 
                          Non so se il paradigma 
                          del brutto invecchiamento si debba applicare al guru 
                          della sinistra collateralista di Bertinotti, Pietro 
                          Ingrao, se è vero che l’incoerenza politico-morale  e 
                          l’opportunismo, pur allignandovi più spesso che tra i 
                          giovani, non sono esclusiva dei suoi anni davanti al 
                          caminetto, o dell’ultima zoppicante rincorsa a qualche 
                          piedistallo o poltrona. L’illustre uomo non ha fiatato 
                          davanti ai, del resto opinabili, fatti di Ungheria, 
                          poi, con giuliva disinvoltura, li ha reinterpretati in 
                          perfetta sintonia con la vulgata Cia di ieri e 
                          sinistramente “innovativa” di oggi. Non ha mosso un 
                          dito quando la sua squadra di “eretici”, contaminata 
                          dall’ultimo afflato rivoluzionario del Grande Secolo, 
                          fu cacciata a calcioni dal Partito, preferendo, in 
                          virtù del pragmatismo di quel partito e del suo, 
                          assidersi sul terzo scranno di una repubblica agli 
                          ordini di mafia, massoneria e colonialisti Usa. Come 
                          ha percepito, dal buon ritiro ciociaro dagli 
                          inutilissimi versi, la tromba bertinottiana della 
                          nonviolenza con i gradi della Nato e del revisionismo 
                          sotto dettatura confindustriale, si è precipitato ad 
                          accogliere nella propria aura di “comunista” 
                          compatibile le arlecchinate del vippaiolo in cachmere. 
                          Male invecchiato? Ma no, il personaggio vanta una 
                          coerenza di ferro  dai tempi delle ciliegie a quelli 
                          delle castagne. Lasciamolo fuori. Lui, con la sua 
                          feluca e la sua fusciacca di padre della patria. 
                            
                          
                          Una “ragazza del 
                          Novecento” invecchiata male 
                          Sotto il titoletto 
                          “Siamo tutti del manifesto”, quel giornale, che già 
                          nella presentazione grafica si presenta ostico e 
                          perciò ostile, pare invocare uno spirito di corpo da 
                          vecio alpin, mentre, elencando nomi e sottoscrizioni, 
                          non fa che manifestare ed esercitare il sottile, 
                          speriamo inconsapevole, ricatto del “non c’è di 
                          meglio”. Come attestano le poche delle tante critiche 
                          ed invettive di lettori esasperati da forma e 
                          contenuto, che Parlato pubblica, a volte con benevola 
                          accondiscendenza, a volte, quando il discorso non sa 
                          proprio di “spirito di corpo”, con arcigno fastidio. 
                          Ma quale spirito di corpo, che non sia di angosciosa 
                          “riduzione del danno”, può mai invocare tra coloro la 
                          cui verità, fede e speranza “comunista” è da anni 
                          appesa a quelle colonne di piombo, chi, come Rossana 
                          Rossanda, dalla cattedra di maestra del pensiero 
                          antagonista scivola nei bassifondi della truffaldina 
                          speculazione capitalista?  Marciando trionfante su 
                          cinque colonne a cinque stelle del giornale, con 
                          l’aureola di chi la sa sempre più lunga di qualsiasi  
                          vermicello umano, la “maestra di pensiero” ha fatto 
                          rizzare i capelli a proprio tutti i consapevoli della 
                          devastazione capitalista del pianeta. Ha affondato la 
                          sua affilatissima lama nella schiena di chi, con ogni, 
                          comprovata, ragione 
                          tecnico-scientifico-cultural-politica, si oppone alla 
                          scellerata, miliardaria idiozia del Mose, contribuendo 
                          così a tappare la bocca alla laguna, al mare, ai 
                          veneziani, alla schiera dei migliori ingegneri marini 
                          del nostro e di altri paesi. Ragazzi, ce ne vuole di 
                          protervia per dare a questa meraviglia di mondo e di 
                          ecosistema tali apodittiche mazzate di incompetenza. 
                          Cos’è, un rigurgito dello sviluppiamo cresciaiolo 
                          tuttora rampante tra i sopravvissuti dello “sviluppo 
                          delle forze produttive”? Nel quale si intravede la 
                          trama nascosta che afratella certi comunisti al 
                          capitalismo, ammirato come transizione “ineluttabile” 
                          al socialismo. La bulimia confindustriale del 
                          Consorzio Venezia Nuova, già sull’orlo della disfatta 
                          grazie alle virtù valsusiane dei veneziani, ne ha 
                          cavato conforto, brindisi e prospettive auree. E 
                          pensare che fra vent’anni quel carcassone di ferraglia 
                          immanutenibile, ma dalle uova d’oro, grazie allo 
                          scioglimento dei ghiacci sarà superato da “acque alte” 
                          che quelle attuali, da stivaloni, parranno dune 
                          libiche. C’è poi stata, dopo una caterva di critiche, 
                          riprovazioni, dimostrazioni, da spiaccicare al muro il 
                          più petulante dei grilli parlanti, la replica 
                          dell’augusta madre di tutti i comunismi. Basterebbe 
                          l’incipit per sottolinearne disponibilità, modestia 
                          tecnologica e apertura al dubbio: “Con 
                          gli interventi pubblicati ieri si chiude, per quanto 
                          mi riguarda, la discussione aperta da un mio articolo 
                          su Venezia…” Chiuso, finito, chi ha avuto 
                          ha avuto, si buttassero pure in acqua centomila veneti 
                          a bloccare il mostro: populismi plebei. E indi giù 
                          cinque colonnone di vaniloquio burocratico-apodittico 
                          senza un cencio di argomentazione che potesse 
                          incrinare la granitica solidità degli esperti perbene.
                           
                            
                          
                          Una stampella agli 
                          stragisti delle Torri Gemelle, carezze a Sofri 
                           
                          Stessa sicumera, del 
                          resto, su fatti di ancora maggiore portata planetaria, 
                          quando il giornale offre praterie di (brutta) carta al 
                          contrasto contro la crescente fiumana di negatori o 
                          disputatori, anche di altissimo livello intellettuale 
                          e tecnico, della grottesca versione ufficiale dell’11 
                          settembre e seguenti. Costoro sono sistemati a forza 
                          di “psicopatici”, “paranoici”, “dietrologi”, “complottisti”. 
                          L’anonima stragi di Washington merita il premio di 
                          quel cretino di Striscia la notizia che va in giro 
                          assegnando “gongoli”. Il “manifesto”, invece. merita 
                          la croce di ferro con diamanti e allori dei militanti 
                          al servizio dell’impostura del millennio. 
                            
                          Lasciamo perdere 
                          l’indecoroso abbaiare del “manifesto”, in coro con 
                          tutti i cani del razzismo occidentocentrico, su Saddam 
                          e sul suo assassinio. L’unico a ringhiare contro, non 
                          ripetendo il mantra Usraeliano del “dittatore 
                          sanguinario” dai crimini peggio di Gengis Khan e 
                          Hitler, è  Stefano Chiarini. E non si sa come ancora 
                          sopravviva in questo bollettino degli stereotipi 
                          imperialisti tinti di rosa e di 
                          pietas 
                          cristiana, vedi l’appalto di buona parte degli Esteri 
                          ai melliflui e caritatevoli cattolici di “Lettera 22”, 
                          di “Misna”, di “Terres des  hommes” e di trucidissimi 
                          onganisti vari, tutti missionari in vorace appetito di 
                          guerre da deplorare per poi farne greppia (grazie 
                          viceministro alla cooperazione del “governo amico”, 
                          Patrizia Sentinelli!).  
                          Ma non lasciamo perdere 
                          il superpezzo scritto sotto il titolo, al solito di 
                          elegante modestia, “Consuntivo”.  
                          E già, chi se non la “ragazza del novecento” poteva 
                          redigere un irrevocabile e implicitamente 
                          inconfutabile “consuntivo”? I consuntivi li fanno i 
                          monarchi, i maitre 
                          a pensee, presidenti e duci, segretari 
                          nazionali, capibastone e capi officina, sindaci e 
                          certificatori di bilanci 
                            
                          Nonostante le 
                          perplessità che sulle valutazioni di Rossanda a molti 
                          erano venuti fin dall’accanita e irrevocabile difesa 
                          fatta, senza il benché minimo accenno alle nefandezze 
                          politico-letterarie, del rinnegato sharonista e 
                          bombarolo virtuale di Jugoslavia e di tutto il resto, 
                          Adriano Sofri (per antica consorteria, per 
                          dabbenaggine, per astuzia giudaico-cristiana?).O 
                          dell’analoga apodittica perentorietà sull’integrità 
                          delle Brigate Rosse di seconda generazione – parlo dei 
                          capi, tutti fuori; non dei seguaci ignari, 
                          rispettabilissimi  perciò tutti dentro -, attribuiti 
                          al famigerato “album di famiglia” (i ministri degli 
                          interni Dc ancora si commuovono), anziché al manuale 
                          Cia degli anni ’50 in cui si pianificavano 
                          dettagliatamente virgulti di questo tipo per 
                          intralciare il cammino delle sinistre di massa e 
                          d’avanguardia verso un potere antiatlantico. Un 
                          sospetto piccolo piccolo non le poteva venire dalle 
                          capriole di gonfalobieri rivoluzionari come Brandirali, 
                          Liguori, lo stesso Sofri, Pietrostefani, Lerner, 
                          Riotta, Ferrara, Panella, Capuozzo, Boato e tutta 
                          l’armata di guardie bianche transitata dalle barricate 
                          e dai Vietcong, ai Consigli d’amministrazione, a Vespa 
                          e ai marines? Un po’ di 
                          Stay behind 
                          per le bombe di destra, e un po’ di sparatori di 
                          “sinistra” per gli attentati a esponenti progressisti 
                          e a governanti filoarabi. 
                          La protervia è la madre 
                          di tutte le cantonate e però diventa oggettivo 
                          collateralismo quando va a puntellare i muri maestri 
                          della costruzione del nuovo ordine mondiale. 
                           
                            
                          
                          Su Saddam ignoranza e 
                          vergogna 
                          Per esempio quando ci si 
                          occupa di Saddam, o del Darfur, puntato dal 
                          colonialismo, o della Cecenia greggioconducente da 
                          strappare alla Russia, ove si fornisce gratuito 
                          avallo, tanto più grave perché da “sinistra”, alle 
                          fandonie che una strategia, fondata su guerra, 
                          genocidio, impoverimento e fascistizzazione 
                          universale, deve necessariamente diffondere per 
                          ottenere, se non il consenso, la passività dei 
                          sudditi.  Veniamo dunque al maestoso 
                          consuntivo 
                          rossandiano. Stigmatizzate, come di prammatica da 
                          Bush a Re Abdallah, le modalità del linciaggio del 
                          legittimo presidente iracheno (manco una parola sulla 
                          dignità e sul coraggio con cui l’uomo ha affrontato i 
                          carnefici), è assestatasi così sul 
                          politically correct,
                          ecco che l’astuta analista si mette a 
                          ripetere in la minore le fregnacce strumentali del 
                          comander in chief: 
                          Saddam era bell’e liquidato dopo la cattura e la 
                          spiata che lo aveva fatto tirare fuori dal buco ed 
                          esaminare come 
                          una vacca al mercato, 
                          esordisce con trasparente disprezzo per il soggetto e 
                          malcelata soddisfazione per la “liquidazione”. 
                          Rossanda avrebbe il dovere professionale di nutrire le 
                          sue aporie con qualcosa di più serio della 
                          “Repubblica”, del TG1, o del “New York Times” . Se lo 
                          avesse assolto, avrebbe saputo delle smentite 
                          documentate da testimoni e dagli stessi comunicati 
                          interni Usa, che il presidente iracheno nel buco c’era 
                          stato messo dagli scagnozzi statunitensi un paio di 
                          mesi dopo essere stato catturato con una sparatoria 
                          nella casa del parente che lo ha tradito. Sentenzia 
                          poi la nostra storica e qui la spocchia si nutre di 
                          ignoranza mescolata a impudicizia: “Né 
                          l’Iraq né il mondo sono stati molto turbati dalla sua 
                          seconda fine..Saddam era finito (e dagli!). 
                          Forse la prestigiosa madre di tutte le arroganze è 
                          stata lei a essere poco turbata dall’obbrobrio degli 
                          uni e dal valore dell’altro. Forse non considera – 
                          parossismo di incancrenito eurocentrismo  – i popoli 
                          arabi parte del mondo. Che nelle settimane dopo 
                          l’assassinio, decine di migliaia di iracheni si siano 
                          mossi verso la tomba del loro presidente, da tutti i 
                          pizzi del paese, sfidando quel che ben si può 
                          immaginare sarebbero state le conseguenze nel 
                          mattatoio degli squadroni della morte Usa- iraniani di 
                          Moqtada al Sadr; che in tutti i paesi arabi, dallo 
                          Yemen alla Giordania, dall’Egitto all’Algeria, dal 
                          Qatar al Sudan e alla Siria (prossime vittime dei 
                          tagliatori di teste euro-israelo-americani, agevolati 
                          dagli anatemi umanitari di Rossanda e Co.) continuino 
                          a svolgersi manifestazioni di odio agli assassini e di 
                          onore a Saddam; che anche nella nostra parte di mondo 
                          “non turbato” milioni di coscienze non avvizzite 
                          abbiano espresso, almeno in rete, orrore per 
                          l’impiccagione e per lo tsunami trentennale di 
                          calunnie che l’hanno agevolata; che già soltanto la 
                          mia personale afflizione-esecrazione era tale da 
                          colmare le voragini di insensibilità di questa maestra 
                          del pensiero “antagonista”, tutto questo nelle 
                          ammuffite stanze della torre d’avorio capalbiese non è 
                          potuto penetrare.  
                            
                          L’autrice paga poi pegno 
                          alla propria reputazione di fine letterata vagolando 
                          nel  più e nel meno: 
                          Siamo alla 
                          riproducibilità dell’opera d’arte nell’età della 
                          tecnica che permette a chiunque di ripetersi 
                          l’esecuzione in casa quando gli gira… questa è la 
                          modernità o postmodernità (?), per tornare 
                          con foga all’oggetto sociale preferito dal giornale in 
                          sintonia con gli indirizzi propagandistici dei 
                          planeticidi. Per accreditare la validità delle varie 
                          pere tossiche fatte all’opinione occidentale dagli 
                          uffici di intossicazione della Cia e del Mossad, ci 
                          sono due modi: ingigantire il fatto, o sminuirlo. La 
                          seconda opzione è la più scaltra: si dà l’impressione 
                          di non essere cascati nella psicosi terroristica 
                          alimentata dai cani di guerra e di tirannia, si prende 
                          una qualche elegante distanza da Rice, Rumsfeld, 
                          Cheney, D’Alema e Olmert. Molto chic. L’effetto rimane 
                          lo stesso: si accredita quello che, dopo la favola di 
                          Cristo, è il raggiro dell’umanità dalle conseguenze 
                          più tragiche. 
                          Così Rossanda ci 
                          istruisce che non è mica stato  l’attacco alle Torri 
                          Gemelle a segnare lo spartiacque del secolo, 
                          lo spettro di un 
                          terrorismo che si ergeva inaspettato e possente contro 
                          la nostra ricca e calcolatrice civiltà. Questa tesi…è 
                          andata spegnendosi con Al Qaida, congegno nascosto e 
                          poco attivo, a conti fatti evento minore 
                          (sic!). Poco conta 
                          infatti Osama bin Laden… e, quanto all’uccisione di Al 
                          Zarkawi in Iraq, non ha segnato discontinuità alcuna. 
                          Né è Al Qaida ad agitare l’Afghanistan. A distanza di 
                          neanche dieci anni , l’attacco alle due Torri appare 
                          un feroce fuoco d’artificio, dall’effetto ampliato 
                          dalla tecnica di costruzione (sic!)dei 
                          due edifici, che ha ferito l’invulnerabilità degli 
                          Stati Uniti e dato corpo all’organizzazione di 
                          un’enorme vendetta…. I conti sono stati saldati sulla 
                          pelle di un paese come l’Iraq… Ragazzi, 
                          viene a mancare il respiro davanti a un’Al Qaida 
                          “congegno nascosto e poco attivo, a conti fatti evento 
                          minore”! Qui non si sa se ci si deve inchinare a un 
                          cinismo da salotto di Talleyrand, o se si deve correre 
                          a strappare le vesti alla veneranda signora per vedere 
                          che cosa cazzo c’è sotto a tanta improntitudine. Per 
                          quell’evento minore, poco attivo, a cui si sono 
                          attribuite carneficine di migliaia di innocenti in 
                          grattacieli, metropolitane, treni, alberghi, 
                          discoteche e, con l’ologramma Zarkawi (ma non hai mai 
                          letto gli annunci funebri angloamericani per uno 
                          Zarkawi, rozzo tagliagole al servizio degli Usa in 
                          Afghanistan, disintegrato alle bombe in Curdistan nel 
                          2003? Perché non lo chiedi a sua moglie?), una buona 
                          fetta dei 650.000 sterminati in Iraq dal 2003, siamo 
                          finiti in guerra dopo guerra, in bagni di sangue che 
                          nessun Hitler avrebbe mai sognato di eguagliare. 
                          Grazie a quell’”evento minore”, un’America in crisi 
                          strutturale e sull’orlo della bancarotta da debito e 
                          sovrapproduzione, ha potuto riattivare la locomotiva 
                          del complesso militar-industriale e trascinarsi dietro 
                          mezza umanità. E’ quell’evento che sta alla base del 
                          fascismo dilagante in tutto l’Occidente, della 
                          demolizione della democrazia pur formale, della 
                          liquidazione di ogni norma di diritto internazionale, 
                          della legittimizzazione e a volte legalizzazione del 
                          sequestro e della tortura, della detenzione senza 
                          processo e sul sospetto, del genocidio strisciante, 
                          anzi galoppante, condotto, tra i sorrisi dei cicisbei 
                          atlantici e nel consenso di una popolazione 
                          intossicata di razzismo bellicista, fino alla 
                          colonizzazione di una città veneta a fini di sterminio 
                          di genti consentita dal “governo amico” di 
                          centrosinistra, lestissimo ad affrontare problemi 
                          “urbanistici”. La pericolosa stolidità di una simile 
                          minimizzazione – che vorrebbe apparire alternativa al 
                          pompaggio dell’11 settembre, di Al Qaida, del 
                          “terrorismo islamico”, fatto dai pianificatori della 
                          paura e della conseguente sottomissione – è aggravata 
                          dall’esplicita conferma di tutti i paradigmi inventati 
                          dall’imperialismo nazisionista e utili alla sua 
                          affermazione. 
                            
                          Con questa capifila dei 
                          fanciulli invecchiati nel buio del pifferaio con 
                          stella di Davide e stelle e striscie, non ci si cessa 
                          di stupire. A due giorni dall’exploit di oggettivo 
                          fiancheggiamento al mito del terrorismo islamico, 
                          Rossanda si produce, dopo anni dal disvelamento 
                          dell’operazione Vaticano-Cia chiamata “Solidarnosc”, 
                          nell’ennesimo tributo al genio di Adriano Sofri, 
                          definito “il più saggio e informato” commentatore 
                          degli eventi polacchi attorno alla cacciata di un  
                          vescovo che, poveretto, aveva sfiorato per motivi di 
                          lavoro il servizio segreto comunista. Quel Sofri che 
                          torna a esaltare la vicenda del sindacato 
                          destabilizzatore filosionista e filoUsa, dopo aver 
                          negli anni fornito benzina e bombe ai 
                          cacciabombardieri Nato con la menzogna delle “stragi 
                          del pane” di Sarajevo. E tutti e due giù a commemorare 
                          con tenera nostalgia arnesi della controrivoluzione   
                          come Kuron, Michnik e Modzwelewski  che, facendosi 
                          scudo della giusta rabbia operaia di Danzica, hanno 
                          spianato la strada agli orridi gemelli fascisti oggi 
                          al potere a Varsavia. 
                            
                          
                          Sgrena, ostaggio degli 
                          islamici
                          
                          o dell’islamofobia? 
                          Se l’islamofobia,  
                          intrecciata a temi come il terrorismo e il 
                          fondamentalismo islamico, di programmata derivazione 
                          dall’autofagia dell’11 settembre, rappresenta la 
                          cornice culturale e politica per la guerra globale 
                          preventiva e permanente di sfoltimento dell’umanità e 
                          di garanzia di potere per le elite occidentali, alla 
                          scuola di Rossanda si sono formate, fino a superare la 
                          maestra, altre protagoniste. Sorvoliamo sul Marina 
                          Forti, interlocutrice della borghesia chic di Tehran, 
                          con il suo Iran da stigmatizzare in termini olmertiani, 
                          non già perché d’intesa con gli occidentali sbrana il 
                          popolo iracheno e punta farne un’estensione del 
                          proprio espansionismo subimperialista, ma perché, tra 
                          veli e difesa della sovranità, insiste a percorrere 
                          una strada che non conduce ai Wall Mart e alle tette e 
                          natiche carlucciane. Soffermiamoci, invece, su 
                          un’autentica protagonista dell’involuzione del 
                          “manifesto”: Giuliana Sgrena. L’abbiamo trovata 
                          insopportabile già ai tempi di quel bigottismo 
                          democraticista e occidentocentrico con cui affrontava, 
                          decontestualizzandole come meglio non potrebbe una 
                          qualsiasi Giovanna Botteri (moglie di quel Lanfranco 
                          Pace, ex-Potop, oggi reggicoda di Giuliano Ferrara e 
                          corifeo di qualsivoglia delinquenza politica 
                          imperialista), realtà complesse, lacerate tra 
                          autodeterminazione e voracità colonialiste, come 
                          l’Algeria o l’Iraq. Ma le avevamo perdonate molte cose 
                          alla luce del sequestro subito a Baghdad. E’ vero che 
                          ci eravamo chiesti come mai, al ritorno, ristabilita e 
                          onorata, non avesse mai scritto una parola di quello 
                          che le profughe intervistate nell’ospedale le avevano 
                          raccontato (verosimilmente il massacro al fosforo di 
                          Falluja, appena successo) durante le due ore trascorse 
                          con loro prima del rapimento. Dovemmo aspettare 
                          l’ottimo Sigfrido Ranucci, di RaiNews24, per scoprire 
                          quei crimini. E’vero anche che ci siamo stupiti del 
                          suo silenzio, tuttora rigoroso, sul quarto uomo 
                          presente nella vettura di Calipari secondo le 
                          dichiarazioni sia del suo direttore, sia dell’unità di 
                          crisi a Palazzo Chigi (verosimilmente il capo dei 
                          rapitori che, dal servizio agli Usa, era passato, per 
                          congruo compenso e promessa di espatrio, a quello del 
                          Sismi). Ma abbiamo capito e compatito. Sono cose che 
                          possono comportare rischi pesanti. Ma che ora Sgrena 
                          debba addirittura eccedere nei favori a coloro che, 
                          con ogni probabilità hanno inflitto afflizioni 
                          tremende a lei come ai tanti altri rapiti non in 
                          sintonia con un potere che punisce i non 
                          embedded, 
                          beh, questo ci risulta proprio inaccettabile. 
                            
                          
                          Sgrena di Somalia 
                          Il 12 gennaio 07, 
                          l’autorevole “commento” a firma Giuliana Sgrena, una 
                          giornalista zeppa di pregiudizi da  “Piccole Ancelle 
                          di Maria”, si apre con il titolo 
                          L’incubo somalo di 
                          Bush. E già siamo a un rovesciamento: i 
                          somali – ed è inteso che si tratta delle Corti 
                          Islamiche – sarebbero un incubo per la vittima Bush, e 
                          non Bush, con i suoi fantocci del governo da provetta 
                          e degli ascari etiopici del tiranno fantoccio Meles 
                          Zenawi, sarebbe l’incubo dei somali. Sappiamo tutti 
                          come stanno le cose. Non Sgrena, che naviga nelle 
                          tempeste sfiorando appena le increspature di schiuma, 
                          bastonatrice che è di musulmani – a meno che non 
                          soffrano e piangano - ovunque le capitino a tiro e 
                          corifea, al pari della collega Forti, delle borghesie 
                          compratore del terzo mondo, quelle “emancipate” e 
                          occidentalizzate, sulle quali fa grande affidamento il 
                          colonialismo di ritorno (vedi la sua esaltazione di 
                          una “primavera berbera” in Algeria, fomentata dalla 
                          Francia in funzione secessionista). Anche se sono 
                          quelli che in Palestina raccolgono l’ansia di 
                          resistenza, democrazia (non formale e truffaldina come 
                          la nostra) e onestà della stragrande maggioranza della 
                          popolazione. Anche se in Libano sono laici e 
                          pluralisti che il meno cattolico dei cristiani può 
                          andare a nascondersi (tanto che su costoro Sgrena ha 
                          voluto sorvolare, preferendo riempire un paginone di 
                          confusi discorsi sulla nostra benevolente 
                          “cooperazione” in Libano). Anche se in Somalia, dopo 
                          15 anni di caos dei predoni della guerra,  fomentati e 
                          foraggiati dagli Usa e anche da noi, hanno saputo 
                          dare, almeno per sette mesi, un momento di tregua, 
                          ordine, ricostruzione, dignità, vita, alla gente. 
                          Magari bandendo qualche film, di quelli che insozzano 
                          l’intelletto e il buongusto e, orrore! apendo qualche 
                          moschea. Mai sentito Sgrena deplorare le chiese 
                          cristiane che butterano la terra di altre credenze. 
                          Cito alcune delle 
                          mininukes USraeliane che, tralasciando 
                          addirittura quel poco di piagnucolio che riversava 
                          sulle vittime irachene, mentre ne stigmatizzava 
                          compunta la resistenza, anzi, la “violenza”, la 
                          superdecorata del “manifesto” ha saputo immettere nel 
                          colonnino di “il commento”. Non so se la giornalista 
                          in Somalia ci sia mai stata. Certo non ci ha messo il 
                          naso da quando lì il vento aveva cominciato a cambiare 
                          grazie alle Corti. Sull’invasione degli etiopi, nemici 
                          storici dei somali e sostenitori di un 
                          governo-burletta nominato dalla Cia e da notabili 
                          fuorusciti e stranieri in Kenya, ha da dire: 
                          Inizia anche in 
                          Somalia la caccia ai terroristi, che sarebbero 
                          appoggiati dalle Corti islamiche. Se i terroristi sono 
                          arrivati in Somalia, 
                          e non è da escludere
                          (neretto mio)…
                           
                          
                            
                          
                          Embè, quando ci sono i 
                          terroristi islamici… 
                          Sul termine 
                          “terroristi”, caro a coloro che li innescano 
                          dappertutto perché lubrificante del motore delle 
                          invasioni e occupazioni, Sgrena non mette le 
                          virgolette manco glie lo avesse chiesto il povero 
                          Calipari. Naturalmente che questi ci siano 
                          non è da escludere, 
                          come detta la criminalità organizzata occidentale, 
                          sennò come si fa a sfoltire popolazioni di pastori, 
                          pescatori e agricoltori che si erano illusi di poter 
                          riprendere in pace una propria strada nazionale?  E se 
                          Hamas e Hezbollah e i partigiani iracheni e gli 
                          indipendentisti sardi e i venditori di kebab londinesi 
                          e gli imam di Milano e gli attivisti dei circoli 
                          bolivariani sono terroristi, vuoi che non lo siano 
                          quei selvaggi di somali? Il maresciallo stragista 
                          Graziani, che fin nel sepolcro esibisce il bacio del 
                          grande baciatore di mafia (sentenza di Palermo), si 
                          sente del tutto riabilitato. Al pari di questi, erano 
                          ovviamente terroristi anche i resistenti abissini. La 
                          cara ai missionari Sgrena scrive poi del “precipitoso 
                          ritiro Usa… dopo 
                          l’assassinio di 18 soldati americani. 
                          “Assassinio”, capite, non uccisione, o, che so, la 
                          morte, l’eliminazione. Assassinio ha un sapore 
                          preciso. Per Saddam hanno parlato di esecuzione, hanno 
                          scritto che è stato “giustiziato”…Poi dagli ai sauditi 
                          che esportavano il loro orrido wahabismo (il nostro 
                          cristianesimo, per i cui fogli la Sgrena scrive anche, 
                          ha portato solo rose e libero arbitrio) 
                          travestito da aiuti 
                          umanitari e business  (campi profughi, 
                          orfanotrofi, scuole, 
                          dove le bambine
                          –orrore- 
                          fin dalla più tenera età erano velate e studiavano 
                          arabo). Poi, che bruti opportunisti questi 
                          islamisti: se portavi il chador 
                          ottenevi 100 dollari 
                          al mese. Categoricamente escluso che abbia 
                          mai potuto essere la libera scelta della ragazza, quei 
                          gonzi di somali si facevano infilare il corano anche 
                          nel naso. E ancora: integralisti che tagliano mani e 
                          piedi ai ladri (le fonti, prego, Sgrena! L’Office 
                          of Strategic Information del Pentagono 
                          forse?), che sostengono i taleban – schiuma della 
                          Terra – con quell’integralista di Jama Ali Jama che 
                          guidava (secondo gli USA, ma Sgrena non obietta) 
                          il braccio somalo di 
                          Al Qaida, nientemeno. Viene in mento quell’Al 
                          Qaida che Israele ha tentato di seminare a Gaza tra i 
                          palestinesi e che quelli hanno subito saputo 
                          smascherare e denunciare come operazione sharoniana. 
                          Di passaggio, si sputtana l’Eritrea  quale 
                          alleata di Israele, 
                          che però sopravvive al boicottaggio occidentale e 
                          all’aggressività Usa-etiopica grazie agli aiuti arabi. 
                          Conclude in bellezza l’ex-rapita: spernacchiati coloro 
                          che difendono le Corti 
                          in nome della pace e 
                          della sicurezza, ecco una strombazzata 
                          finale tra le cui righe risuona la marcia dei marines: 
                          Quella delle Corti era una sicurezza 
                          che, come 
                          nell’Afghanistan dei Taleban , si basava sul terrore 
                          (sic!), chiusura 
                          del cinema, proibizione della musica e dei matrimoni 
                          tradizionali. Quel che è certo è che tra intervento
                          (intervento!) 
                          etiope-americano e il 
                          terrore (terrore!) 
                          dei taliban 
                          (taliban!) 
                          somali, ogni soluzione negoziata è pregiudicata.
                          Così, ore che la Somalia è stata restituita 
                          al settore imperialista delle mattanze di sfoltimento, 
                          almeno il 50% della colpa è di quei terroristi delle 
                          Corti (sotto le quali la mattanza era diventata 
                          ricostruzione).
                          Tutto questo non è firmato dalla sorella 
                          soft di Magdi Allam. C’è scritto Giuliana Sgrena, del 
                          “quotidiano comunista”. 
                            
                          
                          Grimaldi di Somalia 
                          nel post-craxismo 
                          Sono stato anch’io in 
                          Somalia, primo giornalista italiano dopo 
                          l’abbattimento del burattino sovietico e poi 
                          statunitense Siad Barre, intimo di festini e porcate 
                          finanziarie dell’oggi ampiamente rivalutato (anche dal 
                          PRC) ladrone Craxi. Era il marzo del 1991 e a 
                          Mogadiscio si fronteggiavano il generale Mohammed 
                          Farah Aidid e un capoclan di nome Ali Mahdi. Aidid era 
                          l’eroe della rivoluzione, avendo mobilitato il paese 
                          per la cacciata del corrotto figuro bushian-craxista, 
                          Ali Mahdi era un rotondetto signorotto della guerra, 
                          oggi di nuovo nelle foto-ricordo dei fantocci, che 
                          stava simpatico agli italiani e all’Occidente in 
                          genere perché garantiva sottomissione coloniale. 
                          Siccome le bande di Mahdi non ce la facevano contro un 
                          Aidid sostenuto dalla maggioranza della popolazione e 
                          da tutta la nobilissima intellighenzia somala, come si 
                          sa intervennero, nel paese “fratello”, torturatori 
                          italiani, Black Hawk statunitensi e salmerie varie. 
                          Aidid sconfisse anche questi invasori e Sgrena non 
                          ricorda che dall’altra parte dei 18 marines 
                          “assassinati”, ci furono 3000 somali massacrati dagli 
                          occupanti. Ali Mahdi era l’uomo di Mario Raffaelli, 
                          sottosegretario per l’Africa del regime Craxi e delle 
                          sue malversazioni. Oggi è l’uomo di Prodi nella stessa 
                          colonia da recuperare. Aidid morì, il figlio tralignò 
                          ed è oggi uno spione degli Usa (pensate al figlio di 
                          Maurizio Ferrara, dirigente del PCI). Dopo di me, in 
                          Somalia la Rai mandò varie Giovanne Botteri, per dire 
                          emissarie mediatiche della mistificazione e rimozione 
                          colonialista. Faceva eccezione la mia collega del TG3 
                          Ilaria Alpi che, pur aderendo all’invenzione degli 
                          “estremisti islamici”, si distinse per le bucce che 
                          fece alla cooperazione italiana di Craxi-Raffaelli, 
                          mettendo il naso nella fogna dello scambio rifiuti 
                          tossici-armi tra La Spezia e Trapani, tra una cosca 
                          massonico-pcista  e la Comunità trapanese Saman del 
                          brigante Mimmo Cardella (riparato in Nicaragua) e del 
                          capoccia lottacontinuista Giorgio Pietrostefani, che 
                          ne curava la copertura francese (riparato in Francia). 
                          E ci rimise le penne e qualcuno dei suoi assassini fa 
                          il generale, qualcun altro il sindaco, qualcuno il 
                          faccendiere. Sgrena, perché non dai un‘occhiata a 
                          questa vicenda? Un minimo di solidarietà tra colleghi, 
                          anzi, tra donne, no? Non interessa, non ci sono 
                          “terroristi islamici” da satanizzare in coro con i 
                          nazisionisti di Washington, Tel Aviv e circondari? 
                            
                          
                          Perché si perdono 
                          lettori, una domanda che la spocchia non si pone 
                          Attraversare “il 
                          manifesto” è come frugare nella fangazza dei cercatori 
                          d’oro brasiliani. Ci vuole una vita per trovare 
                          qualche pepita, Chiarini, Dinucci, Matteuzzi, Robecchi, 
                          Vauro, gli sportivi, i contributi di Cavallari, 
                          Manisco, Petrella… Ma è un percorso in cui ci si 
                          imbratta tutti. Superati  infine anche i roveti delle 
                          pagine culturali, perlopiù tanto astruse e dal 
                          linguaggio così intorcinato e autocompiaciuto da far 
                          pensare a una lucida intenzione di far sentire idiota 
                          chi legge e non ha tre lauree, o un Umberto Eco 
                          sottomano,. tocca andare a risciacquarsi i panni in 
                          rete. Non è questo, comunque, il problema maggiore. Il 
                          problema maggiore, una vera tragedia per chi è appeso 
                          a questa travicella di carta nel liquame dell’imperial-capitalismo 
                          di fine impero, è che dalla travicella ci trafiggono 
                          gli spuntoni delle menzogne dei terroristi bianchi, 
                          cristiani, indoeuropei. Quegli aculei velenosi che 
                          costituiscono lo scheletro che regge l’intero 
                          organismo della ricolonizzazione, dell’abominio 
                          fascista, della criminalità al potere in quasi tutto 
                          quel mondo che se la tira da Civiltà Occidentale. E 
                          ancora peggio è che questo giornale, guadagnatosi una 
                          certa fiducia negli anni delle nostre consonanze con 
                          le carinerie politicamente corrette cucite su questi 
                          stereotipi finalizzati alla lobotomizzazione 
                          universale.- la condanna delle guerre, le denuncia 
                          delle atrocità relate, saggi sul Terzo Mondo… – e 
                          addirittura di alcune valide battaglie – Valsusa, 
                          ambiente, pensioni, precari… -alla fin fine ci dà a 
                          bere il cianuro coperto di zucchero. E sono pochi 
                          quelli che non se lo succhiano. 
                            
                          
                          Cialtrone slavo 
                          Tommaso di Francesco, 
                          che sarebbe innocuo e anche gradevole nelle sue 
                          geremiadi  sulla Jugoslavia perduta, non resiste alla 
                          coazione a ripetere, con il suo 
                          contropulizia 
                          etnica in ogni articolo, quasi fosse un insopprimibile 
                          herpes, la bufala infame della “pulizia etnica” 
                          attribuita ai serbi a giustificazione dello 
                          squartamento dalemian-clintonian-woytiliano di quel 
                          che restava della Jugoslavia. In ciò si affianca ad 
                          altri combattenti della frode fintopacifista, alla 
                          Sofri, Alex Langer, quell’”equilibrato” Remondino che 
                          non fa un pezzo senza menzionare il “despota” 
                          Milosevic, dove il termine “despota” pare il Viagra 
                          dei suoi exploit cerchiobottisti, e poi crociferi di 
                          Sarajevo vari. Ma consentire, lui che è responsabile 
                          esteri, di andare in una prima pagina che potrebbe 
                          essere di “Libero” a un gentiluomo che apre il suo 
                          pezzo con: Sulla 
                          morte di Saddam non c’è da versare una lacrima, 
                          vuol dire
                          distruggere anche quei festoni 
                          umanitar-compassionevoli con cui il giornale già di 
                          Barenghi (“preferisco i marines ai tagliatori di 
                          teste”, oggi correttamente alla Stampa) suole coprire 
                          i peggiori luoghi comuni del nemico di classe. 
                          L’autore poi prosegue con la solfa 
                          corrotto, dittatore, 
                          autoritario,  in lotta per il potere e guidato da 
                          brutali considerazioni pragmatiche 
                          che lo portarono a 
                          collaborare con gli Usa per tutti gli anni’80. 
                          E l’eterna fanfaluca del “Saddam uomo degli 
                          americani”, per quanto nazionalizzatore del petrolio 
                          angloamericano, nemico perenne di Israele e unico 
                          sostenitore dei palestinesi, organizzatore del Fronte 
                          del Rifiuto contro Camp David del ’79,  polo nazionale 
                          arabo contro un Iran prima con lo Shah e poi con gli 
                          ayatollah legati da armi e quattrini a Israele e agli 
                          Usa, ora anche nella spartizione dell’Iraq. Il 
                          “giornalista” non si stanca di spappagallare l’eterna 
                          fola secondo cui il ministro dell’informazione di 
                          Saddam, Saeed al Sahaf, i cui precisi resoconti potei 
                          ascoltare di persona ogni giorno dell’assalto Usa, 
                          raccontava micidiali balle (le raccontavano i generali 
                          Usa a Doha) e “coi tank americani a Baghdad” ripeteva 
                          che la città sarebbe stata la tomba degli aggressori: 
                          quanto avesse ragione viene dimostrato dalla bella 
                          media di 5 occupanti liquidati ogni giorno. Alla fine, 
                          poi, rivela i suoi tratti più intimi: 
                          Il crimine più grande 
                          di Saddam: il suo tentativo di rovesciare il governo 
                          iraniano. Bel lavoro a copertura 
                          dell’attacco di Khomeini  all’Iraq – ero sul posto –, 
                          di Khomeini finanziato per otto anni dal Congresso Usa 
                          (vedi gli atti) e armato da Israele (Iran-Contras). 
                          Grazie a un’intuizione folgorante, lo scrivano ha 
                          un’idea di assoluta rettitudine legale e  morale: 
                          perché non consegnare Saddam all’Aja come Milosevic? 
                          E, dunque, massacrato da una farsa processuale ed 
                          elegantemente avvelenato, anziché volgarmente 
                          impiccato. Almeno Carla del Ponte non gli avrebbe 
                          preso a calci la testa, come ha fatto Moqtada al Sadr, 
                          il boia al guinzaglio Usa (quello che per il Campo 
                          Antimperialista è un leader della Resistenza). “Il 
                          manifesto” glielo fa dire, Tommaso Di Francesco glielo 
                          fa scrivere. Saddam mazziato, il lettore cornuto.. 
                          Questo “compagno di 
                          strada” si chiama Slavoj Zizek. Chi ha pianto sulla 
                          Jugoslavia e su Milosevic lo conosce. Zizek dovrebbe 
                          andare in Iraq. Gli saprebbero rispondere. 
                            
                          Intanto gli risponde 
                          Saddam Hussein, dal luogo a cui tutti gli arabi e gli 
                          oppressi ora guardano per ispirazione, coraggio, 
                          futuro: Combatto 
                          la tirannia Usa in nome degli iracheni, degli arabi, 
                          dei popoli di tutto il mondo. Quanto a me, ho operato 
                          per gli arabi e ho fatto il mio dovere. Sono convinto 
                          che il popolo iracheno combatterà fino all’ultimo. Non 
                          accetterà mai un dominio straniero. Non m’importa di 
                          morire, non è che sono molto attaccato a questa vita. 
                          Per ogni essere umano c’è un tempo per andare. La vita 
                          di ogni singolo iracheno vale la mia. 
                          Il “manifesto” non 
                          pubblicherà mai queste parole. Forse perché i suoi 
                          caratteri non sarebbero all’altezza. Come 
                          “Liberazione” rifiutò di pubblicare la mia intervista 
                          a Milosevic. L’ultima, prima che lo ingoiasse il buco 
                          nero in cui rischiamo di finire,   ballerini sul 
                          Titanic 
                          tenuti per mano da giornalisti “di sinistra”,
                          tutti noi.   
                          Il resto sarebbe 
                          silenzio.  
          
                 
             
          
        
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