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                                Tra guerre civili e resistenze. A 200 anni 
                                dall’indipendenza e a 100 dalla Rivoluzione 
                                
                                di 
                                Claudio Albertani
 All’alba del 16 settembre 1810, Miguel Hidalgo e 
                                Costilla, parroco del paese di Dolores, lanciò 
                                l’appello che diede inizio al movimento per 
                                l’indipendenza del Messico. Duecento anni dopo, 
                                quel traguardo è ancora da raggiungere. Le 
                                fastose cerimonie di commemorazione - un 
                                dispendioso pasticcio senza contenuto storico e 
                                privo di sapore popolare - non hanno potuto 
                                nascondere la realtà di un paese assoggettato a 
                                varie dipendenze, scannato dalla violenza e 
                                immerso nella peggior crisi economica degli 
                                ultimi decenni. Un paese dove un gruppo di 
                                potere, rapace e irresponsabile, impone un 
                                modello di spoliazione sociale che ha precedenti 
                                solo nel Porfiriato. Ordine e progresso Nel 
                                corso del 1910, a ridosso del primo centenario 
                                dell’indipendenza, il giornalista nordamericano 
                                John Kenneth Turner pubblicò una serie di 
                                cronache pubblicate poi in un libro alla fine di 
                                quello stesso anno: “México bárbaro”. 
                                Inizialmente pubblicato in Inghilterra e poco 
                                dopo negli Stati Uniti. Turner non era un 
                                reporter qualunque, ma uno stretto collaboratore 
                                dei fratelli Flores Magón che lavoravano per una 
                                rivoluzione socialista e libertaria dall’esilio, 
                                negli USA. Fingendosi un rispettabile uomo 
                                d’affari Turner era riuscito a documentare la 
                                spaventosa situazione in cui si trovavano i 
                                lavoratori sotto il regime del dittatore 
                                Porfirio Díaz. Il risultato è una delle opere 
                                più devastanti mai scritte su di un paese, e 
                                nonostante che in Messico la pubblicazione sia 
                                avvenuta molto più tardi, provocò un grosso 
                                scandalo.  Come i governanti di oggi, Díaz 
                                era molto attento alla propria immagine 
                                all’estero. Il primo luglio era stato eletto 
                                presidente per l’ottava volta grazie a brogli 
                                elettorali, e cercava di convincere gli 
                                investitori che con il suo partito “Ordine e 
                                progresso” - non molto diverso da quello di 
                                Felipe Calderon che si chiama “Ordine e 
                                legalità” - il Messico si sarebbe trasformato in 
                                un prospero paese dove regnavano pace e 
                                stabilità sociale. Il tiranno aveva sperperato 
                                un’autentica fortuna nei festeggiamenti del 
                                Centenario dell’Indipendenza, culminati il 16 
                                settembre con parate militari e cerimonie 
                                patriottiche. Voleva mostrare i suoi progressi 
                                modernizzatori. Più di venti chilometri di 
                                ferrovie, un’ampia rete telegrafica, linee 
                                telefoniche, luce elettrica e grandiose opere 
                                pubbliche come i fiammanti porti di Veracruz, 
                                Coatzacoalcos e Salina Cruz. I ricchi cittadini 
                                potevano acquistare costose mercanzie importate 
                                dall’Europa e dagli Stati Uniti nei centri 
                                commerciali “Il Palazzo di Ferro” e “Il Porto di 
                                Liverpool”. Ma Turner rivela l’esistenza di un 
                                altro Messico, un Messico feroce, dove imperava 
                                una disuguaglianza brutale, senza libertà 
                                politica né libertà di parola o di stampa, senza 
                                libere elezioni, senza un sistema giudiziario 
                                degno di questo nome, senza garanzie individuali 
                                e senza libertà per cercare la felicità; un 
                                paese dove il potere esecutivo governava grazie 
                                alla corruzione e un esercito onnipresente, dove 
                                i politici avevano un prezzo e i giudici si 
                                vendevano al miglior offerente. Gran parte della 
                                popolazione viveva in misere condizioni. Vere 
                                macchine divoratrici di vite umane, le fattorie 
                                erano diventate il modello dello sfruttamento in 
                                campagna. Gli schiavi maya dello Yucatan 
                                morivano più rapidamente di quanto nascevano, e 
                                i due terzi degli schiavi maquis importati da 
                                Sonora morivano nel primo anno dal loro arrivo 
                                nella regione. A Valle Nacional (Oaxaca) la 
                                situazione era pure peggiore: gli schiavi, 
                                eccetto pochi - forse il 5% - morivano entro 
                                sette, otto mesi. La situazione non era migliore 
                                nelle miniere e nelle fabbriche dove gli operai 
                                faticano per dodici o più ore, senza alcuna 
                                libertà, men che mai quella di sciopero. Turner 
                                non si limitava a fare l’inventario delle 
                                disgrazie nazionali: opinava che la schiavitù, 
                                il campesinato, la povertà, l’ignoranza e la 
                                generale prostrazione del popolo avevano una 
                                causa con nome cognome, si dovevano 
                                all’organizzazione economica e politica del 
                                paese, una forma di capitalismo particolarmente 
                                perversa e dannosa. Il libro concludeva con una 
                                profezia: il Messico era una polveriera che 
                                stava per scoppiare. La profezia si compì 
                                presto; nel 1917 scoppiò la rivoluzione con una 
                                violenza senza precedenti. Nel 1910 il paese 
                                aveva 15,2 milioni abitanti; nei dieci anni 
                                seguenti ci furono almeno un milione di morti 
                                (alcune fonti stimano due milioni di morti) e un 
                                milione di profughi negli Stati Uniti. Sono 
                                cifre terribili, pur in un secolo così caldo 
                                come il XX. Con quali risultati? “Un trionfo di 
                                carta”, secondo l’espressione di James Cockroft. 
                                L’articolo 1 della Costituzione proibiva la 
                                schiavitù; il 3 istituiva la scuola primaria 
                                pubblica, laica e gratuita; il 27 consacrava il 
                                diritto alla terra e permetteva le 
                                espropriazioni “per causa di pubblica utilità” 
                                aprendo la possibilità legale della restituzione 
                                delle comunità indigene; il 123 istituiva la 
                                giornata lavorativa di otto ore, il diritto di 
                                associazione, di sciopero e la proibizione del 
                                lavoro infantile. I costituenti sanzionavano la 
                                liquidazione del porfiriato e, timorosi di un 
                                altro incendio, facevano importanti concessioni 
                                ai movimenti popolari. Il sogno magonista di 
                                saldare le lotte comunitarie dei contadini 
                                indigeni - quegli uomini che “non volevano 
                                cambiare e per questo hanno fatto una 
                                rivoluzione”  - con le lotte degli operai 
                                industriali ed entrambe col movimento libertario 
                                internazionale è rimasta lettera morta. Presto 
                                la rivoluzione si è trasformata nella dittatura 
                                di un partito - la più lunga del XX secolo - 
                                finendo col ingrossare la lista delle 
                                rivoluzioni sconfitte. Il popolo non ha mai 
                                dimenticato del tutto i suoi sogni di 
                                emancipazione, ecco perché le numerose 
                                ribellioni armate che hanno insanguinato il 
                                Messico dopo la rivoluzione: il movimento 
                                cristero, l’insorgenza jaramillista, il 
                                Movimento 23 di settembre, il Partito dei 
                                Poveri, l’Unione Popolare, il Fronte Cívico 
                                Guerrerense, solo per nominare le più note. Le 
                                ultime espressioni di quella che si potrebbe 
                                definire la storia del Messico sotterraneo - 
                                l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale 
                                EZLN, in Chiapas, l’Esercito Popolare 
                                Rivoluzionario, EPR, e l’Esercito Rivoluzionario 
                                del Popolo Insorgente, ERPI, in quattro o cinque 
                                stati della Repubblica - sono una dimostrazione 
                                della persistenza di quadri guerriglieri attivi 
                                per generazioni e che si collegano alle lotte 
                                del presente. Montagne di denaro Come spiegare 
                                questa situazione in un paese che dal 1994 fa 
                                parte della OCDE, l’esclusivo club delle nazioni 
                                ricche? La risposta è semplice: il Messico 
                                feroce che Turner rivelò con tanta crudezza non 
                                ha mai smesso di esistere. La differenza è che 
                                ora, insieme ai poveri di sempre, troviamo degli 
                                individui straordinariamente potenti e 
                                influenti. In un’epoca caratterizzata da 
                                disuguaglianze laceranti, ci sono economie così 
                                polarizzate come quella messicana. Secondo i 
                                dati della Banca Mondiale, la decima parte dei 
                                messicani che sta al vertice della piramide 
                                sociale, monopolizza 430.597.200 miliardi di 
                                dollari, cioè il 41.3 % delle entrate nazionali, 
                                mentre la popolazione più povera riceve l’1,2%. 
                                Il Messico è la tredicesima economia del mondo, 
                                ma la numero 75 su 186 paesi rispetto alla 
                                capacità di acquisto dei suoi abitanti. Se 
                                immaginiamo il panorama sociale come una catena 
                                montuosa, sulla montagna più alta troviamo il 
                                magnate delle telecomunicazioni, Carlos Slim, 
                                che la rivista Forbes classifica come l’uomo più 
                                ricco del mondo. Vale 53 miliardi di dollari e 
                                vende il servizio di Internet più lento del 
                                pianeta. Molte migliaia di milioni più in basso, 
                                ma sempre nella lista, troviamo anche i re del 
                                duopolio televisivo, Emilio Azcárraga Jean, di 
                                TELEVISA, Ricardo Salinas Pliego, di TV Azteca, 
                                che si contendono il dubbio onore di 
                                addormentare il popolo e avvelenare il dibattito 
                                politico. La donna più ricca è María Asunción 
                                Aramburuzabala, padrona della Cervecería Modelo, 
                                la fabbrica della mondialmente nota (e 
                                transgenica) birra Corona. Lorenzo Zambrano, 
                                monarca del cemento (CEMEX), ha costruito la sua 
                                fortuna vendendo caro nel mercato messicano - 
                                dove gode quasi del monopolio - e a poco 
                                all’estero, dove deve lottare con la 
                                concorrenza. Jerónimo Arango, signore dei 
                                supermercati, è socio di Wal-Mart, il più grande 
                                leader mondiale nel taglio dei salari. Ha 
                                inventato un ingegnoso sistema d pagamento degli 
                                stipendi con buoni del supermercato che restaura 
                                i centri commerciali di lusso aboliti dalla 
                                rivoluzione. Il milionario più cercato è un 
                                narcotrafficante. Joaquín Guzmán Loera, capo del 
                                tristemente celebre cartello di Sinaloa, che con 
                                una fortuna calcolata sui 100 milioni di 
                                dollari, occupa un modesto 937 nella lista dei 
                                più ricchi, ma un vistoso 38 in quella dei 
                                potenti. Evaso da una prigione nel 2001 e 
                                segnalato come il narcotrafficante favorito dal 
                                Partito di Azione Nazionale (PAN) attualmente al 
                                potere. Originario della sierra di Badiraguato, 
                                Sinaloa, Guzmán Loera, di 54 anni, non ha finito 
                                le scuole elementari, ma è il protagonista di un 
                                mito nazionale: le canzoni scritte in suo onore, 
                                note come “narcocorridos”. Le banche sono quasi 
                                tutte consorzi transnazionali. Prendono 
                                interessi inauditi, pagano molto poco il 
                                risparmio e vendono carissimo i servizi 
                                procurandosi guadagni impensabili in altri 
                                paesi. L’agroindustria (Monsanto), l’acqua 
                                (VIVENDI) e l’energia (FENOSA, Iberdrola e 
                                Repsol) quest’ultima concessionaria della Cuenca 
                                de Burgos, uno dei maggiori giacimenti di gas 
                                naturale dell’America Latina, sono pure in mani 
                                straniere. Il bottino più iniquo è quello 
                                dell’industria petrolifera (PEMEX), legalmente 
                                proprietà della nazione, ma da un paio di 
                                decenni concessa all’iniziativa privata grazie 
                                ad inganni legali. C’é una novità: mentre in 
                                passato l’investimento estero proveniva da un 
                                solo paese, gli Stati Uniti, ora c’è anche la 
                                presenza - non meno vorace - del capitale 
                                europeo, in particolare spagnolo, il che dà un 
                                tono grottesco alla retorica bicentenario del 
                                governo e spiega perché il “socialista” 
                                Rodríguez Zapatero è stato uno dei primi a 
                                complimentarsi col “liberale” Felipe Calderón 
                                quando si è impadronito della presidenza con la 
                                frode, nel 2006. Le miniere meritano un discorso 
                                a parte. Si trova in gran parte accaparrata da 
                                imprese canadesi come la Minera San Xavier a San 
                                Luís Potosí, la Black Fire en Chicomuselo, 
                                Chiapas, e la Continuum, a San José del Progreso, 
                                Oaxaca. Tutte ostentano una nera storia di 
                                repressione dei lavoratori e contaminazione 
                                ambientale, ma la situazione non è migliore nel 
                                Grupo México, terzo produttore mondiale di rame, 
                                il cui presidente e azionista maggioritario è il 
                                messicano Germán Larrea. Tant’è che 65 
                                lavoratori sono morti nel febbraio del 2006 per 
                                un’esplosione nata dalla negligenza dell’impresa 
                                nella miniera Pasta de Concho, Coahuila. Il 
                                tragico incidente ha scatenato una lotta per il 
                                recupero dei corpi e il miglioramento delle 
                                condizioni, lotta fallita. Nel giugno del 2010 
                                c’è stato uno sciopero culminato in uno scontro 
                                aperto fino a quando, tra il 6 e il 7 la polizia 
                                ha sgomberato i lavoratori a Pasta de Concho e a 
                                Cananea, Sonora, quasi ad evocare i fatti di 
                                sangue del 1906 proprio a Cananea, considerati 
                                uno degli antecedenti della rivoluzione 
                                messicana. Lo scenario attuale è diverso, e 
                                qualcuno sta già pensando che l’industria 
                                mineraria stia attuando un esperimento 
                                d’ingegneria sociale. Gli apparati del potere 
                                fabbricano conflitti per favorire le miniere e 
                                mantenere il controllo sulla forza lavoro. “Il 
                                metodo è noto: fare in modo che le autorità 
                                assumano il comando della corporazione; spingere 
                                la divisione della comunità; cercare il miglior 
                                momento per montare una provocazione e stare 
                                pronti ad assassinare qualcuno perché la 
                                comunità resti indebolita, carica di accuse e 
                                con gente in carcere”. Se continuiamo con la 
                                nostra altimetria sociale, molto più in basso 
                                troviamo una classe media spremuta, sfinita e 
                                sempre pronta alla servitù volontaria. Al fondo 
                                dell’abisso, aggrappati ai margini delle 
                                metropoli, sui fianchi dei monti o nelle lande 
                                desertiche, giacciono i messicani che stanno 
                                male. Sono la maggioranza. Secondo i dati 
                                ufficiali, appena il 18% della popolazione 
                                totale (circa 105 milioni di abitanti) ha il 
                                reddito sufficiente per soddisfare i diritti 
                                sociali di base (alimentazione, abitazione, 
                                educazione e sanità). In cambio, 47.2 milioni di 
                                messicani vivono in povertà estrema e 35 milioni 
                                sono prossimi a questa condizione di carenze. 
                                Carenze che possono essere letali, come nel caso 
                                dell’incendio della Guardería ABC, capitato il 9 
                                giugno 2009 a Hermosillo, Sonora, che ha fatto 
                                49 bambini morti e 76 feriti. La causa? 
                                L’Istituto Messicano di Assistenza Sociale 
                                appalta ad aziende private l’amministrazione 
                                degli asili, e queste, in combutta con le 
                                autorità non fanno il dovuto per garantire le 
                                condizioni minime di sicurezza. Chi ne patisce? 
                                Di certo non i figli dei ricchi. La Commissione 
                                Economica per l’America Latina (Cepal), segnala 
                                che il Messico concentra il 18% di tutta la 
                                popolazione infantile dell’America Latina: 15.8 
                                milioni di cui 4 milioni in povertà estrema. 
                                Eterna alleata del potere, la gerarchia 
                                cattolica benedice ce l’ingiustizia. Rincara le 
                                sue battaglie antiumane coprendo le infamie 
                                abominevoli dei suoi preti pederasti, denigrando 
                                gli omosessuali e conducendo un’appassionata 
                                crociata contro la depenalizzazione dell’aborto. 
                                Recentemente, il governo clericale di Guanajuato 
                                ha condannato a 15 anni di prigione 7 donne per 
                                “delitto di omicidio parentale”, cioè aborto. 
                                Fortunatamente, sono uscite tutte lo scorso 7 
                                settembre grazia a una lunga lotta per la 
                                riforma del Codice Penale statale, che adesso 
                                impone “solo” pene da tre a otto anni per lo 
                                stesso delitto. Una delle donne liberate,Yolanda 
                                Martínez Montoya, è stata dietro le sbarre sette 
                                anni. “Non ci diamo per vinte. C’è molto da fare 
                                e da cambiare”, ha dichiarato uscendo dal 
                                carcere col pugno alzato.  Alla Chiesa e ai 
                                suoi speculatori bisogna urlargli in faccia le 
                                parole del prete Hidalgo: “Aprite gli occhi, 
                                americani, non lasciatevi sedurre dai nostri 
                                nemici, loro non sono cattolici, il loro dio è 
                                il denaro..”  Carente di legittimità, preso 
                                il trono nel 2006 grazie a uno sporco gioco 
                                mediatico e a una sfacciata manipolazione dei 
                                voti, il presidente Felipe Calderón (del PAN), 
                                ha rapidamente inventato una strana guerra 
                                contro il crimine organizzato ben sapendo che 
                                “la sicurezza del potere si fonda 
                                sull’insicurezza dei cittadini” (Leonardo 
                                Sciascia). Questa guerra, che nell’attualità 
                                attira l’attenzione mondiale, si svolge fra 
                                cartelli della droga che si disputano il 
                                controllo del territorio e tra qualcuno di 
                                questi e lo Stato. Non ha ideologie ed eroi, ma 
                                secondo le cifre ufficiali, tra dicembre 2006 e 
                                oggi ha già fatto 28 mila morti. Quanti di loro 
                                sono innocenti? Senza alcun legame coi narcos? 
                                Non ci sono dati al riguardo ma sappiamo che 
                                l’esercito ha ucciso “accidentalmente” un bimbo 
                                monello, una famiglia disgraziata, 
                                un’automobilista imprudente. Dal 2000 a oggi 
                                sessanta giornalisti sono stati eliminati, 
                                undici dei quali solo quest’anno, e altri undici 
                                sono scomparsi. L’ultimo tragico incidente è la 
                                morte di Luis Carlos Santiago, un fotografo di 
                                21 anni, ucciso da sicari il 19 settembre a 
                                Ciudad Juárez, Chihuahua. Lavorava per El Diario 
                                di Juárez che nel 2008 aveva già avuto 
                                l’assassinio di un impiegato, Armando Rodríguez 
                                Carrión, mentre il suo collega Jorge Luis 
                                Aguirre, ha chiesto e ottenuto asilo politico 
                                negli Stati uniti dopo aver ricevuto minacce.  
                                Secondo l’Istituto Internazionale della Stampa, 
                                con sede in Austria, il Messico è il paese più 
                                pericoloso del mondo per il mestiere di 
                                giornalista. Usando il linguaggio orwelliano che 
                                Bush usò in Iraq e che continua a usare Obama in 
                                Afganistan, Calderón parla di “danni 
                                collaterali”. Oggi, 96.000 militari pattugliano 
                                le strade del Messico con la scusa della guerra 
                                ai cartelli della droga. Serve a qualcosa? No. 
                                La guerra di Calderón non è credibile perché i 
                                cartelli della droga contano sulla complicità 
                                della polizia, di ufficiali dell’esercito, 
                                uomini dei corpi speciali, non più in servizio e 
                                ancora attivi. L’Intelligence rivela che il 62% 
                                degli agenti di polizia sono controllati dal 
                                narcotraffico e che ogni mese ricevono 70 mila 
                                pesos (circa 3.500 Euro). La rivista Contralínea 
                                segnala che tra dicembre 2006 e febbraio 2010, 
                                sono state emesse 735 sentenze per delinquenza 
                                organizzata. Si tratta dello 0.6 % delle 121.199 
                                persone detenute nello stesso periodo per 
                                presunti vincoli col crimine organizzato. E gli 
                                altri? Sono innocenti o possono far intervenire 
                                la complicità di qualche autorità per essere 
                                liberati. Il delitto più grave è essere poveri, 
                                e il castigo prevede il carcere, la tortura, la 
                                scomparsa e l’assassinio. Dietro la guerra al 
                                narcotraffico si nasconde un’altra guerra, la 
                                guerra dello Stato contro la società che ritorna 
                                dagli anni settanta, quando centinaia di 
                                messicani furono eliminati dai corpi di polizia. 
                                Una recente indagine giornalistica segnala che 
                                tra dicembre 2006 e oggi ci sono stati circa 
                                3.000 persone scomparse per motivi politici, 
                                tratta di persone e lotta al narcotraffico. La 
                                data che segna il ritorno della guerra sporca è 
                                il 25 maggio 2007, quando due dirigenti del EPR, 
                                Raymundo Rivera Bravo e Edmundo Reyes Amaya, 
                                sono stati arrestati a Oaxaca e da allora sono 
                                scomparsi. Qual è la base sociale del crimine 
                                organizzato? In Messico ci sono sette milioni e 
                                mezzo di giovani che non lavorano e non 
                                studiano. Hanno un sogno: uscire dalla miseria. 
                                Alcuni mettono le loro speranze in entità 
                                sovrannaturali come la Santa Muerte, uno 
                                scheletro che distribuisce miracoli a Tepito, il 
                                peggior quartiere di Città del Messico. D’altra 
                                parte, il narcotraffico produce introiti 
                                equivalenti a 40 miliardi di dollari l’anno (di 
                                cui circa il 70% ritorna nell’economia formale), 
                                quasi pari alle rimesse degli emigrati, più il 
                                totale delle esportazioni petrolifere. E’ 
                                l’unico settore in cui il lavoro abbonda, perché 
                                il Messico non è solo un paese di transito della 
                                droga ma pure un grosso centro di consumo 
                                (cocaina al primo posto, ma anche oppiacei, 
                                anfetamine, estasi e le nuove droghe 
                                sintetiche). Il recente film “Infierno” capta 
                                benissimo l’orrenda fascinazione che il mondo 
                                del narcotraffico esercita sulla gioventù. Un 
                                emigrante, Benjamín García, ritorna al suo paese 
                                dopo essere stato deportato negli Stati Uniti. 
                                Arriva con tante illusioni, ma di fronte ad un 
                                panorama desolante entra in una banda di 
                                narcotrafficante e ottiene, per la prima volta, 
                                una raggiante, per quanto effimera, prosperità. 
                                Il finale è tragico e il messaggio chiarissimo: 
                                il crimine organizzato è sempre esistito, ma ora 
                                si sovrappone a una classe politica cinica e a 
                                una crisi economica devastante, creando un clima 
                                apocalittico. L’altra possibilità è emigrare. 
                                Quanti disgraziati muoiono provando a forzare la 
                                frontiera al nord? Le fonti sono discordanti, di 
                                certo si sa solo che sono migliaia ogni anno. 
                                Pur così, le politiche migratorie statunitensi - 
                                la malfamata legge SB1070 dell’Arizona che 
                                criminalizza gli immigrati senza documenti e la 
                                costruzione del muro della vergogna lungo la 
                                frontiera - non riescono a impedire il flusso 
                                migratorio, perché la pressione è enorme. Quello 
                                che ottengono è che i migranti cerchino forme 
                                sempre più rischiose per varcare la linea, 
                                cadendo nelle mani di mafie sempre più 
                                assassine. Negli ultimi anni si è assistito alla 
                                moltiplicazione degli assassini di migranti, 
                                specialmente donne, non solo negli Stati Uniti, 
                                ma anche in Messico. Molti non sono messicani, 
                                sono giovani di centro e Sudamerica in cerca 
                                dello stesso sogno. A Ciudad Juárez, posto di 
                                transito verso gli USA, sono stati registrati 
                                7.649 omicidi di donne dal 1993. A chi 
                                appartengono le mani assassine che hanno 
                                troncato le loro vite? Nessuno lo sa con 
                                certezza, anche se la complicità delle autorità 
                                locali, statali e federali non è certo un 
                                segreto. Il più recente e obbrobrioso crimine 
                                contro i migranti si è verificato il 24 agosto 
                                scorso, quando 72 persone (58 uomini e 14 donne; 
                                il peggior massacro in Messico dal 1968) che 
                                stavano andando verso gli Stati Uniti sono stati 
                                brutalmente assassinati a San Fernando, 
                                Tamaulipas, da pistoleri appartenenti agli Zeta, 
                                un cartello particolarmente truculento che si 
                                occupa di narcotraffico e tratta di persone. Il 
                                motivo? Non avevano pagato il riscatto. Il 
                                sequestro - bisogna ricordarlo - è un affare 
                                prospero nel Messico del bicentenario. Secondo 
                                il presidente della Commissione Nazionale per i 
                                Diritti Umani (CNDH), Raúl Plascencia Villanueva, 
                                nel primo semestre del 2010 ci sono stati 10 
                                mila casi solo fra i migranti. Mentre capita 
                                tutto ciò, è curioso notare che l’agenzia 
                                internazionale d’investimento Morgan Stanley 
                                eleva la sua considerazione per il Messico da 
                                “interessante” a “molto interessante”. Cioè, il 
                                paese è in rovina, ma gli affari vanno bene. 
                                Anni fa - da quel memorabile 1° gennaio 1994 - 
                                giorno della ribellione indigena del Chiapas, 
                                fino alla meno gloriosa insurrezione guidata 
                                dall’Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca, 
                                APPO (2006) - il Messico non è stato solo un 
                                paese di laceranti ingiustizie, ma anche un 
                                laboratorio sociale e politico d’importanza 
                                internazionale. Oggi, i movimenti sociali si 
                                trovano malconci, ma non sottomessi. Prima del 
                                naufragio dell’altra Campagna - che nel 2006 ha 
                                cercato senza successo un’alternativa elettorale 
                                ai grandi problemi nazionali - le comunità 
                                raggruppate nell’EZLN sono ripiegate nei loro 
                                territori montagnosi del sudovest e lì 
                                continuano, nonostante la guerra sporca che il 
                                governo non ha mai smesso di condurre contro di 
                                loro. Organizzate nei Caracoles o Giunte del 
                                buon governo, rafforzano la loro autonomia, 
                                applicano progetti produttivi e migliorano i 
                                sistemi alternativi di educazione e sanità. Il 
                                prolungato silenzio del subcomandante Marcos non 
                                deve ingannare; evidentemente è finito il suo 
                                ruolo di portavoce dell’EZLN e le comunità 
                                ribelli hanno assunto un controllo più diretto 
                                dei loro problemi interni. E’ una giusta 
                                decisione nella situazione attuale. E’ vero che 
                                la sua presenza nazionale e internazionale è 
                                minore, ma ciò che fanno è un esempio di lotta 
                                libertaria, specie per quei 15 milioni 
                                d’indigeni che, in posti diversi, rimangono 
                                esposti al pericolo di etnocidio silenzioso, 
                                quando non direttamente allo sterminio fisico. 
                                San Juan Copala, una comunità triqui di Oaxaca, 
                                si è trasformata nella succursale 
                                latinoamericana della Striscia di Gaza. Perché? 
                                Perché i suoi abitanti hanno commesso il doppio 
                                crimine di lottare contro i caciques affiliati 
                                all’Unione del Benessere Sociale della Regione 
                                Triqui (UBISORT), -dipendenza locale del Partido 
                                Revolucionario Institucional, il partito che 
                                monopolizza il potere federale fino al 2000 e ha 
                                perso le elezioni statali - e di proclamarsi 
                                autonomo. La risposta del governatore Ulises 
                                Ruiz, il malfamato autore della repressione del 
                                movimento del 2006, è stato efficace: promuovere 
                                e sostenere gruppi di paramilitari armati fino 
                                ai denti che mantengono accerchiato il paese, 
                                tagliano l’energia elettrica, chiudono scuole e 
                                i servizi sanitari in totale impunità. Non 
                                soddisfatti, uccidono vilmente 15 persone nel 
                                corso di quest’anno (tra loro due attivisti 
                                umanitari Beatriz Cariño e Jyri Jaakkola) e 
                                violentano un numero imprecisato d donne. Adesso 
                                impediscono l’entrata di viveri e acqua e la 
                                circolazione delle persone. Il 13 settembre, 
                                mentre i riflettori si concentravano sulla festa 
                                nazionale, si sono impadroniti del palazzo 
                                municipale minacciando di massacrare tutti gli 
                                autonomisti se non avessero abbandonato la 
                                regione a breve. Il giorno 18 hanno ucciso due 
                                comunardi, Paulino Ramírez y David García 
                                Ramírez, e fatto sparire Eugenio Martínez López. 
                                Questa situazione non è esclusiva di Oaxaca. 
                                Scenari simili si riproducono anche nel Chiapas, 
                                Veracruz, Puebla, Nayarit, Jalisco, Guerrero e 
                                Michoacán, Stati governati dal Partido de la 
                                Revolución Democrática (PRD) che si definisce di 
                                sinistra. A Xochistlahuaca, Guerrero, il popolo 
                                amuzgo lotta contro caciques protetti dal 
                                governatore perredista Zeferino Torreblanca e 
                                Radio Ñomndaa (la voce dell’acqua), un’emittente 
                                che da voce ai popoli indigeni della regione, 
                                vive in stato d’assedio permanente. A Santa 
                                María Ostula, popolo nahua della costa 
                                michoacana, i comunardi hanno pubblicato nel 
                                giugno 2009 un manifesto di portata storica che 
                                rivendica il diritto dei popoli indios a 
                                difendere la propria vita, la libertà, la 
                                cultura e la terra. Azione seguente, hanno 
                                ricuperato più di 700 ettari di proprietà 
                                comunale illegalmente occupata da caciques 
                                meticci. Da allora, vivono braccati da esercito, 
                                polizia e gruppi d’assalto. Ci sono già stati 
                                otto comunardi assassinati e altri tre 
                                scomparsi. A Città del Messico, che la sinistra 
                                governa dal 1997, la repressione si dirige 
                                principalmente contro giovani dei collettivi 
                                libertari e anarcopunks, che negli ultimi anni 
                                si sono moltiplicati e sono percepiti come un 
                                pericolo per l’attuale capo del governo, Marcelo 
                                Ebrard. Con la collaborazione dell’ex sindaco di 
                                New York, Rudolph Giuliani, applica il piano 
                                “Tolleranza Zero”, il che implica che adesso i 
                                giovani sono considerati colpevoli fino a quando 
                                non dimostrano la loro innocenza. 
                                L’irresponsabilità poliziesca è notevole. Nel 
                                giugno 2008 un agente di polizia di servizio 
                                nella discoteca News Divine, ha fatto 11 morti, 
                                tre poliziotti e nove ragazzi minorenni. Molti 
                                attivisti che protestano sono arrestati per 
                                l’unico delitto di trovarsi nel posto sbagliato 
                                e nel momento sbagliato, e per non avere il 
                                denaro per comprare la giustizia. Oggi ci sono 5 
                                giovani anarchici detenuti nelle carceri del 
                                Distretto Federale. Sono: Abraham López Martínez, 
                                Fermín Gómez Trejo e Carlos de Silva Orozco, 
                                incarcerati dal 15 dicembre del 2009 per aver 
                                lanciato delle molotov su automobili; Adrián 
                                Magdaleno, accusato fabbricazione di esplosivi 
                                artigianali all’interno di un vagone della 
                                metropolitana; Víctor Herrera Govea, studente 
                                incarcerato per aver esercitato il suo diritto a 
                                protestare contro la repressione nella marcia 
                                del 2 ottobre del 2009.  La spoliazione 
                                sociale viaggia alla pari della catastrofe 
                                ambientale. Da molto tempo, la deforestazione fa 
                                stragi nel mondo intero, ma in particolare del 
                                mondo, dove alimenta un ciclo infernale di 
                                calamità “naturali” dove le siccità si alternano 
                                alle inondazioni. Da un alto avanza la 
                                desertificazione, dall’altro ogni volta che 
                                piove più del normale, franano monti, esondano 
                                torrenti e sommergono città intere (l’ultimo 
                                nubifragio ha fatto un milione di danni solo 
                                nello stato di Veracruz). Per colmo, il governo 
                                federale fomenta un Programma di Riduzione 
                                dell’Emissione per Deforestazione e Degrado dei 
                                Boschi (REDD) in cui aziende altamente nocive 
                                comprano e vendono legalmente il diritto a 
                                contaminare col sotterfugio che s’impegnano a 
                                rimboschire in altre zone del mondo.  
                                Questi gravissimi problemi ambientali si 
                                acutizzano di fronte a megaprogetti turistici 
                                che divorano risorse naturali e rinverdisono la 
                                schiavitù di porfiriana memoria: privatizzazioni 
                                dei servizi idrici in intere bioregioni; 
                                costruzioni di canalizzazioni che deviano fiumi 
                                e distruggono microclimi (La Parota, Guerrero; 
                                Paso de la Reyna, Oaxaca; El Zapotillo e 
                                Arcediano, Jalisco; El Cajón, Nayari); parchi 
                                eolici che fanno tabula rasa della fauna e 
                                divorano terre comunali (La Ventosa, Oaxaca); 
                                discariche cielo aperto che inquinano 
                                coltivazioni e falde acquifere (Tlaquiltenango, 
                                Morelos Tulum, Quintana Roo, Guadalcazar, San 
                                Luis Potosí e Tlaxcala); piantagioni 
                                transgeniche che avvelenano la madre terra. Sono 
                                tutti affari succulenti, ma possono trasformarsi 
                                in fattori di rivolta come dimostra il 
                                moltiplicarsi di movimenti in difesa dell’acqua, 
                                della terra, dell’aria, la biodiversità, gli 
                                alimenti e la sanità. Alcuni si accorpano 
                                nell’Assemblea Nazionale delle Vittime 
                                Ambientale che coordina e da visibilità alle 
                                loro lotte. La risposta del governo è quella di 
                                sempre: incarcerare o assassinare militanti 
                                ambientalisti, e col pretesto di combattere il 
                                crimine organizzato, militarizzare regioni 
                                intere. Anche le fabbriche non sono in pace. 
                                L’offensiva antilavorativa del governo panista è 
                                tremenda tutti i giorni viene a mancare una 
                                fonte di lavoro, un sindacato o un contatto. 
                                Lotta eroica – e in buona parte solitaria – dei 
                                lavoratori del Sindacato Messicano degli 
                                Elettricisti – uno di quelli più antichi del 
                                paese, che vuole difendere il posto di lavoro in 
                                Luz y Fuerza del Centro, industria pubblica, 
                                chiusa illegalmente dal governo federale. Oggi 
                                il Messico presenta un concentrato di tutte le 
                                avversità che gravano sul pianeta: totalitarismo 
                                economico, devastazione ambientale, una 
                                polarizzazione sociale oscena, partiti 
                                “canaglia” che si contendono il potere per 
                                arricchirsi, televisioni che mettono e tolgono 
                                dal potere, mafie sanguinarie che corrompono il 
                                tessuto sociale. Sarebbe avventato, pertanto, 
                                concludere rinnovando la profezia di John 
                                Kenneth Turner sull’imminenza di una rivoluzione 
                                redentrice o scommettendo sul rinnovamento 
                                centenario del metabolismo politico: 1810, 1910, 
                                2010.  La nostra storia, comunque, non 
                                finisce qui. “L stadio supremo della produzione 
                                mercantile e il progetto della sua totale 
                                negazione, altrettanto ricco di contraddizioni, 
                                stanno crescendo insieme”, ha scritto Guy Debord. 
                                Il Messico ha uno zoccolo duro e una dialettica 
                                vitale, anche se per molti incomprensibile, 
                                proprio quello che ci vuole per affrontare 
                                l’occhio del ciclone. Ricordiamoci le parole di 
                                B. Traven: “Siamo l’aurora. Il nostro continente 
                                deciderà il segno del prossimo millennio; qui si 
                                prepara la culla di una nuova cultura. E nascerà 
                                un Messico, perché è qui che si sperimentano i 
                                dolori del parto”. E quest’aurora non smette di 
                                albeggiare. Rimane poco tempo.
 
   
        
        Il sangue 
        dei narcos. Messico: la “guerra della droga” ha già provocato 30mila 
        morti in quattro anni. 
        
          
        di ANDREA NECCIAI 
            
        Nel 2001, il Segretario di Stato Usa, Colin Powell, a proposito della 
        lotta al narcotraffico in America latina dovette riconoscere che il 
        problema della droga, che da decenni affligge la regione, non è 
        endemico, bensì “dipende da ciò che succede nelle strade di New York e 
        nelle vie di tutte le nostre grandi città”. In altre parole, il 
        narcotraffico nell’area latinoamericana cresce e si alimenta grazie alla 
        domanda di stupefacenti che proviene, prevalentemente, dagli Stati 
        Uniti.
        In Messico dopo l’adozione del Plan Mérida, che prevede aiuti economici 
        per 350 milioni di dollari all’anno, il governo panista di Felipe 
        Calderón aveva cominciato una vera e propria guerra contro i cartelli 
        della droga, mobilitando migliaia di soldati tra effettivi 
        dell’esercito, della marina militare e della polizia federale. A 
        distanza di qualche anno, i “risultati” raggiunti sono ora sotto gli 
        occhi di tutti: i massacri all’ordine del giorno, le operazioni di 
        polizia anticrimine degenerate in guerra civile e il Paese trasformato 
        in un gigantesco, orrendo, mattatoio.
        In teoria, e secondo gli accordi presi con i vicini nordamericani, la 
        guerra ai narcotrafficanti avrebbe dovuto impedire alla droga 
        proveniente dal Sudamerica di fare il suo ingresso in Messico, 
        attraverso la frontiera con Guatemala e Belize, per poi essere smistata 
        verso gli Stati Uniti. Ma nei fatti, l’offensiva poliziesco-militare non 
        ha prodotto alcun effetto positivo. Anzi, nel sud del Messico regna 
        incontrastata la famigerata banda dei “Los Zetas” che si arricchisce, 
        oltre che con la droga, anche con il traffico dei migranti 
        centroamericani, in cerca di fortuna al nord, sfruttando questo enorme 
        serbatoio di mano d’opera a buon mercato nella prostituzione e nella 
        schiavitù del lavoro nei campi. 
        Secondo molti analisti, i fautori di questa guerra inutile, il 
        presidente Calderón e i suoi mèntori nordamericani, continuano ad 
        ignorare - o forse fanno finta di non sapere - che per affrontare 
        opportunamente la questione narcotraffico si dovrebbe tener conto, 
        anzitutto, di tre fattori fondamentali. E tutti e tre riconducibili alla 
        medesima matrice.   
        In primo luogo, la maggiore richiesta di stupefacenti proviene dalla 
        stessa nazione che più si impegna a combattere la proliferazione del 
        narcotraffico in tutta l’America latina. Negli Stati Uniti, infatti, 
        vivono milioni di consumatori di droga che si servono di un terzo di 
        tutta la cocaina prodotta nel mondo: un giro d’affari gigantesco che fa 
        gola un po’ a tutti, coinvolgendo anche le banche statunitensi. Dalla 
        XII Conferenza Internazionale sul Riciclaggio è emerso che gli istituti 
        di credito Usa, solo nell’ultimo decennio, avrebbero accolto nei loro 
        caveaux tra i 2,5 ed i 5 trilioni di dollari, frutto di attività 
        illecite come - appunto - il narcotraffico. 
        Dunque, meglio farebbero le autorità statunitensi a concentrarsi di più 
        sugli aspetti legati alla prevenzione del fenomeno (magari investendo 
        più risorse in programmi sociali per limitare il consumo di droghe nella 
        popolazione), anziché insistere unicamente sul versante della 
        repressione manu militari. 
        In secondo luogo, dagli Stati Uniti arrivano anche le armi per i 
        cartelli messicani, grazie ad una fitta rete di “collaboratori”, tra 
        funzionari di frontiera compiacenti e poliziotti corrotti, e alle 
        protezioni a livello politico-imprenditoriale di cui godono gli stessi
        narcos.   
        Ed infine, andrebbero esaminate più a fondo alcune tra le più disastrose 
        conseguenze del NAFTA, lo sciagurato accordo di libero commercio tra 
        Stati Uniti, Canada e Messico, entrato in vigore a fine anni ’90. Il 
        NAFTA, oltre a provocare l’impoverimento progressivo di intere masse di 
        popolazione, ha costretto milioni di contadini svantaggiati ad 
        abbandonare per sempre le loro terre, oppure a dedicarsi a coltivazioni 
        più redditizie, passando dal mais all’oppio (e/o alla marijuana). Ciò 
        risulta pure da un recente dossier pubblicato dal periodico “La Jornada”, 
        che denuncia la presenza nel nord del Messico di grandi latifondi 
        coltivati ad oppiacei, molti dei quali sono addirittura sorvegliati dai 
        militari. Secondo le stime più ottimistiche, un quarto di tutta 
        l’economia messicana sarebbe già nelle mani dei  
        narcos. 
          
        Per molti Paesi dell’America latina, decidere di adottare la strategia 
        nordamericana di contrasto al narcotraffico, con i suoi metodi 
        repressivi, significa esporsi sempre di più all’ingerenza della Casa 
        Bianca nei propri affari interni, con il rischio di cadere - o ricadere 
        - sotto il suo controllo militare, economico e politico. Come nel caso 
        messicano, in cui la sovranità del Paese è stata consegnata agli Stati 
        Uniti in cambio dell’adozione di una politica antidroga cinica e 
        spietata. Ed è ovvio che dietro il paravento della lotta al crimine 
        organizzato si nascondono soprattutto ingenti interessi economici. Così, 
        mentre il sangue di tanti messicani scorre a fiotti nelle strade, pochi 
        privilegiati si ingrassano con i lauti profitti della “narcoguerra”. 
 
        
        I parlamentari messicani e statunitensi condannano gli omicidi alla 
        frontiera 
        di 
        Félix Albisu 
        PL – 
        Parlamentari messicani e statunitensi che hanno partecipato alla XLIX 
        Riunione Interparlamentare binazionale in Messico, hanno condannato gli 
        omicidi commessi dagli agenti statunitensi della pattuglia di frontiera. I 
        parlamentari di uno e dell’altro paese hanno chiesto ai rispettivi 
        governi di non lasciare impuni le morti dei messicani Sergio A. 
        Hernández e Anastasio Hernández avvenute in territorio statunitense in 
        prossimità della frontiera. I 
        membri dell’incontro annuale interparlamentare di Campeche nella 
        penisola dello Yucatan, hanno osservato un minuto di silenzio nella 
        sessione di sabato in onore ai caduti di entrambi gli stati, e hanno 
        chiesto la realizzazione di indagini pertinenti e l’applicazione della 
        giustizia. Allo 
        stesso tempo, senatori, deputati e congressisti di entrambe le nazioni 
        hanno trasmesso un messaggio di condoglianza per le morti tragiche ai 
        famigliari del giovane Hernández Rojas e di Hernández Güereca in azioni 
        anti-immigratorie registrate nella parte statunitense della frontiera.
        Cristhoper Dodd, co-presidente della delegazione del Congresso degli 
        Stati Uniti ha detto che simili incidenti, come molti altri che si erano 
        già verificati al confine, indicano che è necessario che il Messico e 
        Washington continuino a cooperare per risolvere tutti i problemi 
        migratori.  Ha poi 
        aggiunto che è necessario conoscere i fatti completi per applicare la 
        giustizia e salvare vite innocenti, e per evitare tragedie simili nel 
        futuro. Il 
        senatore democratico si è impegnato a far consegnare da parte del 
        governo degli Stati Uniti i risultati delle indagini corrispondenti alle 
        due morti nei prossimi sei o sette mesi.  Mentre 
        si portavano avanti i lavori nella capitale dello stato nel sud-est 
        messicano, un gruppo di circa 60 attivisti e militanti del partito 
        Convergencia hanno realizzato un atto di protesta e hanno cercato di 
        entrare nel Centro delle Convenzioni secolo XXI, dove aveva luogo 
        l’appuntamento. Nello 
        stesso incontro, il presidente della Camera dei Deputati del Messico, 
        Francisco Ramírez Acuña, del Partito di governo Azione Nazionale, ha 
        attribuito tali azioni di violenza degli agenti di frontiera degli Stati 
        Uniti alla pressione causata dalla legge SB 1070 dell’Arizona. 
 
          
          MESSICO: rinasce l'MLN - Movimento di Liberazione 
          Nazionale 
          Al via il Congresso Costitutivo del Movimento di 
          Liberazione Nazionale. - 
          
          Dall'elezione del presidente Felipe Calderon, in Messico si accumulano 
          tensioni sociali e politiche che rischiano di portare a un'esplosione. 
          Il 1 settembre scorso, un fiume di persone ha affollato le strade del 
          Messico, per uno sciopero Civile nazionale che è stato un insieme di 
          azioni di protesta simultanee, pacifiche e massive in tutto il Paese.
           
          Anche se non appartiene ai temi di 
          attualità scottante scelti dai grandi media per agitare preoccupazioni 
          o giustificare politiche interventiste, la situazione che vive in 
          questi ultimi anni il Messico è così grave da configurare secondo 
          molti un vero e proprio conflitto interno. Dall’elezione di Felipe 
          Calderòn–per la quale movimenti sociali messicani e osservatori 
          internazionali hanno gridato alla frode–l’offensiva delle 
          multinazionali, il conflitto sociale e la repressione feroce delle 
          opposizioni sono divenuti più aspri e cruenti che mai. 
          Calderòn ha implementato, seguendo le orme del 
          predecessore Fox, una strategia economica espansiva di costruzione di 
          mega infrastrutture, favorendo gli investimenti privati e la 
          penetrazione delle imprese nei territori rurali. La progressiva e 
          totale liberalizzazione dei mercati – che per Calderòn equivale a 
          produrre crescita economica e quindi sviluppo sociale – ha causato 
          però nella realtà un aumento della povertà e delle disuguaglianze.
 
          Come conseguenza dell’imposizione di politiche 
          estrattive o produttive, della privatizzazione dei beni di base e dei 
          servizi sociali, dello sfollamento di intere comunità per fare posto a 
          stabilimenti industriali e della metodica spoliazione delle risorse 
          naturali, l’opposizione popolare è cresciuta enormemente, aggravando 
          il conflitto sociale che caratterizza da decenni il paese. 
 
          La dismissione delle fabbriche maquiladoras nella zona 
          di confine con gli Stati Uniti ha causato una emorragia di migranti 
          verso gli Stati Uniti. Contemporaneamente, l’abbandono delle campagne 
          da parte delle comunità rurali, l’affollamento delle città, la 
          privatizzazione dei servizi di base, dell’acqua, delle case ha portato 
          ad un sensibile peggioramento delle condizioni di vita di milioni di 
          persone e ad un aumento delle mobilitazioni popolari in difesa dei 
          propri diritti.
 
          Come conseguenza di questa fase di rinnovata 
          conflittualità sociale, le comunità e i movimenti sociali del Messicostanno denunciando da mesi una escalation di violenza provocata dalle 
          forze pubbliche.
 
          Il 1 settembre scorso, un fiume di persone ha affollato 
          le strade del Messico, per uno sciopero Civile nazionale che è stato 
          un insieme di azioni di protesta simultanee, pacifiche e massive in 
          tutto il Paese. 
 
          Lo scopo è stato quello di sensibilizzare l'opinione 
          pubblica nazionale ed internazionale sulla scontentezza del popolo 
          messicano nei confronti degli strumenti neoliberali del regime 
          capeggiato da Felipe Calderón, tra i cui ci sono la privatizzazione 
          del petrolio, la riforma della Legge dell'ISSSTE, il Trattato di 
          Libero Commercio, la Riforma Lavorativa, la Riforma del Codice Penale, 
          l'innalzamento dei prezzi, la violazione dell'autonomia sindacale, la 
          mancanza della democrazia e la repressione nei confronti delle giuste 
          lotte dei lavoratori e del popolo. 
 
          Per sedare le manifestazioni di protesta il governo 
          sceglie da tempo la via della repressione, rifiutando ogni forma di 
          dialogo. Già da alcuni anni a questa parte molti analisti hanno 
          parlato di una «colombianizzazione» della situazione messicana, 
          caratterizzata da un intervento sempre maggiore della presenza 
          militare nella vita civile utilizzando pretesti come la lotta al 
          narcotraffico o al terrorismo. 
 
          Il Plan México, finanziato dagli Stati Uniti per 
          combattere teoricamente il narcotraffico, è utilizzato come scusa per 
          militarizzare ulteriormente il paese soprattutto nelle zone dove il 
          conflitto sociale è più forte.
 
          Secondo la rete di azione messicana contro il libero 
          commercio « la criminalizzazione della lotta sociale è una strategia 
          statale che non implica solo un utilizzo distorto delle leggi al fine 
          di detenere e condannare con pene esemplari coloro che si oppongono ad 
          un modello di sfruttamento, ma anche la progressiva identificazione 
          della lotta sociale come attività delinquenziale, addirittura 
          terroristica. In tutto il Messico sono moltissimi gli esempi di 
          resistenza contro le politiche promosse dal governo, e non passa 
          giorno che non vengano uccise per mano delle forze armate 10-15 
          persone, la maggior parte delle quali impegnate in azioni di difesa 
          del territorio e dei diritti della popolazione».
 
          Per unire tutte le vertenze territoriali e le istanze 
          legittime portate avanti da comunità, sindacati, associazioni, 
          movimenti sociali e forze politiche, il 13 settembre si celebrerà il 
          Congresso Costitutivo dall'MLN, un movimento nazionale di liberazione, 
          di zapatiana memoria, che vuole porsi come progetto unitario verso la 
          costruzione di un futuro diverso per il popolo messicano.  
            
          MLN -
          
          Giunta Organizzativa del Congresso 
          
          Organizzazioni NazionaliFrente Popular Francisco Villa
 Movimiento Nacional Organizado “Aquí Estamos”
 Frente Popular Revolucionario
 Partido Comunista de México Marxista Leninista
 Partido Popular Socialista de México
 Unión Popular de Vendedores Ambulantes 28 de Octubre
 Organizzazioni Locali
 Sección XVIII SNTE-CNTE
 Alianza de Tranviarios de México
 Movimiento Democrático de Zacatecas
 Organización Obrero Campesina Emiliano Zapata (Oaxaca)
 Organización Campesina Emiliano Zapata (Chiapas)
 Organización Proletaria Emiliano Zapata (Chiapas)
 12 etnias (Chiapas)
 MCD (Chiapas)
 UGOCP (Chiapas)
 Unión popular Independiente Coahuila
 Trabajadores de la educación Morelos
 Trabajadores de la educación Sección 36 Valle de México
 Trabajadores de la educación DF
 Colectivo Sur
 Colectivo SUTIN
 Comité de Defensa de Colonos de Tultitlán
 Consejo Coordinador Obrero Popular-Durango
 Colectivo Monterrey
 MLN Guerrero
 Ediciones del Poder Popular
 MLN Morelos
 El Pregón DF
 El Pregón Morelos
 Unión de Juristas de México
 Organizzazioni in via di coinvolgimento
 Trabajadores de la educación de: Baja California Norte
 California Sur, Jalisco, Querétaro, Aguas Calientes, San Luís Potosí, 
          Guanajuato, Tlaxcala
 Calpulli Tlahtoani
 Frente de Pueblos en Defensa de 
          
          
          
          la Tierra
 Colectivo 
          Situam
 SNTSS Unidad Sindical
     
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